Le censure di Facebook

Le censure di Facebook

Di Sergio Ragaini per la rubrica “Libero pensiero”

La tendenza censoria e, soprattutto, punitiva di Facebook sta oggi raggiungendo livelli impensabili. Che arrivano ad escludere, per lunghi periodi, le persone dalla vita del Social, in maniera sempre più estesa. Nello stesso tempo, Facebook non pare offrire alcuna tutela nei confronti di “stalking”, virus informatici e simili. In merito ho una recente esperienza.

Le alternative esistono, come già avevo fatto notare in passato. Tuttavia, queste non vengono sovente “colte”, e gli utenti, soprattutto italiani, si “arroccano” su un Social network che li maltratta e li umilia.

Come spesso accade, soprattutto in Italia, alle lamentele non seguono le azioni: semplicemente, tutto viene “passivamente accettato” come ineluttabile. E i risultati di questo, purtroppo, sono evidenti.

Facebook: a tutt’oggi il più importante Social Network. O, almeno, il più utilizzato.

Sicuramente lo è da parte degli italiani, i quali continuano, nonostante tutto, ad utilizzarlo, nonostante le autentiche “vessazioni” che qui si subiscono.

Di queste vessazioni, di queste autentiche e pesanti violazioni alla libertà di espressione, sancita da tutti i trattati internazionali, oltre che esplicitamente dall’Articolo 21 della Costituzione, avevo già parlato in altri articoli, che potete trovare a questo e a quest’altro indirizzo.

Tuttavia, sicuramente perché, nonostante tutto, le persone continuano ad utilizzare massicciamente questo Social Network, aprendo nuove attività, quali pagine o gruppi, su di esso (ne vedremo più avanti i motivi), queste vessazioni sono arrivate a dei livelli insostenibili. Dove si arriva a cercare non solo la censura, ma la sistematica distruzione, da un punto di vista della fruibilità del Social Network, della persona “rea” di scrivere qualcosa che “viola gli standard della Community”.

Personalmente, non si capisce bene cosa siano queste violazioni degli standard, visto che si viene bloccati per dei post del tutto innocenti, sostanzialmente delle “battute” tra amici.

Come già ribadivo in passato, e come credo sia il caso di ribadire ora, un Diario, che in inglese risulta “timeline”, è uno spazio “privato”. Vale a dire, è uno spazio della persona, dove una persona, a meno di violare leggi internazionali, può scrivere quello che vuole.

Facendo un esempio, è come se qualcuno questionasse sull’arredamento che un titolare di un bar ha nel suo locale: può esprimere un’opinione, ma non può di sicuro fare polemiche su di questo! Il bar è del titolare, e il titolare lo arreda come vuole lui!

Certo, se questo barista compie, al suo interno, azioni contro le leggi vigenti, o contro le convenzioni internazionali sui diritti umani, come maltrattamenti, violenze o simili, è doveroso intervenire: tuttavia, se questo non accade, non ha senso porre questioni.

Ragionando in parallelo, quindi, non ha alcun senso porre questioni su quello che un utente scrive sul proprio diario: è uno spazio “personale”, dove un utente, di conseguenza, scrive quello che desidera, a meno di non violare trattati internazionali.

Qualsiasi “intrusione” in un Diario, decidendo quello che un utente può o non può pubblicare, è quindi una violazione, anche del buonsenso.

Ancora più gravi sono le violazioni di questo tipo all’interno di Gruppi: infatti, un gruppo, soprattutto se “privato”, è una struttura, appunto, “privata”. Vale a dire che nessuno può entrarvi, se non su invito, o con il consenso dell’Amministratore. Andare a porre questioni sui post di un gruppo, quindi, sempre che, ovviamente, non violino trattati internazionali, è una violazione della privacy: sarebbe come se qualcuno decidesse di “sbirciare” nell’abitazione di una persona, decidendo che il quadro che ha posto su una parete non rispetta qualche strano standard, o magari solo il gusto di chi sbircia. Ovviamente tutto questo non ha senso.

Eppure, Facebook, in maniera aggressiva, si permette di questionare su quello che una persona pubblica su uno spazio privato, anche se quello che viene pubblicato non viola alcuna legge internazionale.

Gli episodi in merito non si contano: io stesso, ultimamente, sono stato vittima di azioni da parte di Facebook, per avere pubblicato dei post del tutto “innocenti”. Ad esempio, mi è stato “censurato” un post dove scrivevo che “I soldati ucraini sono degli assassini, Putin è fin troppo tenero con loro”. Una dichiarazione sicuramente “forte”, ma postata sul mio diario, come opinione personale. E che non può quindi essere censurata in questo modo.

Il problema di Facebook, però, come già ribadivo in un mio precedente articolo, non è solo la censura: questo sarebbe il meno, anche se molto grave. Il problema è l’intervenire in maniera punitiva e aggressiva nei confronti della persona giudicata “rea” di determinate azioni.

Ne parlavo già in precedenza: quando viene commessa una di quelle che Facebook chiama “violazioni”, alla persona viene impedita qualsiasi interazione con il Social Network. Nel senso che la persona può solo osservare quanto accade, e accettare eventuali richieste di contatto. Non può però fare nulla: nemmeno mettere “mi piace” ad un post, o accettare l’invito ad unirsi ad un gruppo”: può solo osservare quanto accade, senza possibilità di interazione o di replica.

Sinceramente, credo che tutto questo sia peggio che essere disattivati per un certo periodo: infatti, come veniva raccontato anche in un episodio della nota serie “Ai confini della Realtà”, una delle cose peggiori che una persona possa subire è proprio l’”invisibilità”: vale a dire, essere in un luogo e non essere nemmeno vista, o essere ignorata. In effetti, leggere e non poter interagire è una brutta sensazione di esclusione.

Lo stesso Eric Fromm sosteneva che la vera paura dell’Uomo è quella di rimanere solo: l’esclusione dal gruppo è quindi una delle cose più brutte che possa succedere a qualcuno. Ecco: Facebook fa leva proprio su questa “esclusione” per aumentare il senso di colpa della persona, che si chiederà cosa mai ha fatto per essere trattata in questo modo.

La risposta è che non ha fatto nulla: solo, quello che ha scritto non rientra negli schemi di chi gestisce il tutto. Sì, perché, se questo Social Network, dall’esterno  appare una “Comunità di Utenti”, ed infatti viene chiamato “Community”, al vertice c’è una sorta di “Grande Fratello” che veglia su quello che la persona scrive, ed è pronto ad escludere coloro i quali sono “rei” di scrivere qualcosa che non rientra nei suoi schemi.

E così, aprendo Facebook per controllare i nuovi commenti ai propri post, o le nuove pubblicazioni degli amici, si può ricevere il famigerato messaggio: “Non puoi pubblicare post né commentare per x giorni”. Di seguito, viene mostrato il post “incriminato”, che avrebbe “violato” gli standard della Community”.

Quali siano questi standard non si è mai capito davvero: probabilmente, non esistono davvero degli standard, ma un software che esclude chi pubblica determinate parole nei suoi post. Oppure, questo software di controllo ha un’intelligenza più spiccata di quanto si creda, ed è in grado di comprendere quando un contenuto viola gli interessi di chi gestisce il Social Network.

Già raccontavo di essere stato “bloccato” per 30 giorni per avere “osato” pubblicare una testimonianza di cura domiciliare COVID-19. Tutto qui. Eppure non mi è stato permesso nemmeno di interloquire con qualcuno, spiegando cosa avevo scritto. Nulla: bloccato senza replica.

Da sempre Facebook ha una modalità “aggressiva”: anche quando, tempo fa, Google aveva una modalità molto più “morbida” (qualcuno ricorda, ad esempio, l’ora non più esistente Social Network “Google Plus”), Facebook è stato sempre aggressivo, minaccioso, intimidatorio. Chi, ad esempio, ricorda quanto accadeva nel 2013, ricorderà che questo Social network si era “messo in testa” di fare aggiungere ad un utente solo contatti di utenti che conosceva personalmente.

Il controllo avveniva in maniera semplice: la persona che riceveva una richiesta di contatto, riceveva anche una domanda: “Conosci questo utente anche fuori da Facebook?”. Se la risposta era “no”, chi aveva inviato la richiesta riceveva un avviso. Dopodiché, all’avviso successivo, partivano le “punizioni”, che, in questo caso, consistevano nell’impedire, per un tempo via via crescente, di inviare richieste di contatto. Si veniva anche avvisati con un messaggio di questo tipo: “Se persisti nell’inviare richieste di amicizia a persone che non conosci, ti sarà definitivamente impedito di inviare richieste di amicizia”.

Insomma: questo è un esempio, e non è l’unico, di come Facebook abbia sempre utilizzato metodi “intimidatori” nei confronti degli utenti.

Oggi questa situazione è decisamente “esplosa”, in maniera direi oltre ogni limite.

Prima di spiegare cosa succede oggi, e come Facebook abbia “inasprito” notevolmente questa mentalità punitiva, è il caso di riprendere quello che risulta alla persona “bloccata”. Come dicevo, a questa compare a video un messaggio, che indica che non potrà pubblicare post o commentare (ma anche mettere “mi piace” a post o pagine, inviare richieste di amicizia, e iscriversi a Gruppi) per x giorni. Ma quanto vale questa “x”?

questa x ha un valore crescente, a seconda del numero di “violazioni” commesse. La prima volta vale “24 ore”, poi vale 3, e a seguire 7, 14, 30, talvolta anche 60 o 90.

Oggi pare che Facebook abbia eliminato dei “passaggi intermedi”: ad esempio, da 7 giorni si passa addirittura a 30. Pare anche che questo Social Network abbia eliminato la sospensione per 24 ore: già alla prima violazione scatta quella di 3 giorni. E anche quella di 14 giorni pare essere stata eliminata: da 7 giorni si passa addirittura a 30.

Anche quando il “tempo di punizione” è terminato, sullo “stato” del proprio account le violazioni rimangono indicate, come una vera e propria “fedina penale”, che indica che si è un “utente indisciplinato”. E a ricordarci che, come viene indicato: “Se commetti un’altra violazione, il tuo account potrebbe subire delle limitazioni”. Quel “potrebbe subire”, in realtà, è un “subirà”: in qualche modo, il Social vuole utilizzare una “dolcezza” che non gli è in alcun modo congeniale.

Oggi, però, Facebook, nelle sue “punizioni”, va ancora oltre. Infatti, oltre ad impedire alla persona di pubblicare e commentare per un tempo stabilito, attua altre punizioni per un tempo più lungo, esattamente per il “passo” successivo di punizione.

Queste due punizioni aggiuntive sono l’impedimento alla partecipazione a Gruppi e lo spostamento dei propri post più in basso nel Feed.

Ad esempio, nel mio ultimo “blocco” subito, mi apparivano i seguenti messaggi: “Non puoi scrivere post né commentare per 7 giorni”. “Non puoi Partecipare a Gruppi per 30 giorni”. “I tuoi post saranno spostati più un basso nel feed per 30 giorni”.

Come potete vedere, il tempo di “punizione” per i Gruppi e per il feed si allunga.

Forse qualcuno di voi non sa cosa vuol dire “spostati più in basso nel feed”. Ebbene: vuol dire che le notifiche dei propri post non saranno più così in evidenza. In parole povere: la visibilità dei propri post sarà inferiore. È come se, in una ricerca, alcuni risultati venissero spostati più in basso: ci saranno meno probabilità che vengano presi in considerazione, in quanto, solitamente, ci si sofferma sui primi risultati che si ottengono, e non su quelli posti molto più in basso.

Nel nostro caso, quindi, questo vuol dire che non solo la persona non potrà scrivere post né interagire con il Social Network, ma, per un periodo più lungo, non avrà la possibilità di interagire con qualsiasi Gruppo, compresi i suoi, e i suoi post saranno meno visibili.

Questo, se una persona utilizza Facebook per motivi di visibilità professionale, o qualcosa di simile, vuol dire voler davvero creare danni all’utente. Appare, quindi, una chiara volontà “distruttiva” verso coloro i quali hanno l’unica “colpa” di inserire post che non accettano un pensiero dominante.

Per contro, questo Social Network non offre alcuna tutela in altre circostanze, come molestia o simili. In questo ho un’esperienza personale di vero e proprio “stalking”. Da qualche tempo, infatti, c’è un utente (che magari potrebbero essere anche più utenti) che apre profili falsi al solo scopo di tormentarmi. Subito ho capito che c’era qualcosa che non andava perché, quando provavo a bloccarlo, magicamente questo tornava fuori.

Quando l’ho anche scritto in un post, questo utente ha risposto: “Io sono come l’idra: ho nove teste. Se ne tagli una, ci sono le altre”. Un’altra volta aveva anche scritto: “Bravo, Sergione, blocca blocca… tanto io torno”. Il fatto che mi chiamasse “Sergione”, un appellativo che mi danno talvolta i miei amici, mi fa capire che questa persona mi conosca.  

Comunque, continuando, questo utente ha aperto, e apre diversi profili, con i nomi più “fantasiosi”: da “Remo Labarca” a “Domenica Melalavo”, sino a “Putinfiglio Digranbaldracca”. Ha aperto addirittura un profilo a nome “Sergione Ragaini”.

Questa persona, oltre ad insultare me e i miei contatti, si è anche “permesso”, approfittando del fatto che io sono “bloccato” di scrivere un “necrologio” nei miei confronti, scrivendo che “Sergio Ragaini non è più tra noi”.

Insomma: se questo non è stalking…

Il problema è che, queste cose, Facebook le lascia correre, e non interviene. Già le eventuali segnalazioni sono un vero problema: infatti, mentre su altri Social Network, di cui parleremo più avanti, l’utente può spiegare la situazione in modo dettagliato, su Facebook questo non è possibile: esistono solo delle opzioni predefinite da selezionare. E questo già impedisce di “rendere partecipe” il Social Network di quello che realmente sta accadendo.

Tuttavia, io ho segnalato diversi comportamenti di questo utente, e come me hanno fatto altri amici. La risposta di Facebook è stata che… questa persona non viola nulla.

Insomma: si posta, sul proprio diario, una testimonianza di cure domiciliari COVID-19, e si viene bloccati per un mese; si scrivono insulti “sul profilo di altri”, e va tutto bene.

Questo dice chiaramente cosa è Facebook, e come, attuando quando vuole una mentalità “punitiva”, sino ai peggiori eccessi, non tuteli in alcun modo gli utenti.

Su Facebook, tra l’altro, continuano a girare messaggi “virus”, che si replicano da soli quando aperti. E Facebook, nei confronti di questi non fa assolutamente nulla, e nemmeno li cancella: lascia che intasino i diari degli utenti, e i loro messaggi privati.

Siamo quindi di fronte ad un Social Network che permette lo stalking, che permette ad un utente di aprire un numero enorme di profili solo per insultare qualcuno, che permette la diffusione di virus, senza fare nulla, e che, nello stesso tempo, censura e punisce degli utenti per avere scritto cose non allineate al suo Pensiero.

Prima di vedere che alternative esistono a Facebook, vediamo cosa si può fare nel caso si riceva un “blocco”: è possibile contestare questa decisione?

Di fatto è possibile sin da subito. Infatti, dopo la comunicazione del blocco, Facebook offre due opzioni: accettare o non accettare la decisione.

Nel caso in cui non si accetti, tuttavia, non è possibile spiegare nulla, come da copione: si può solo indicare i motivi della contestazione scegliendo tra una serie di opzioni indicate.

Una volta scelto, si attende, solitamente pochi minuti, ma talvolta anche alcune ore. Nella maggior parte dei casi, la risposta sarà che, dopo avere nuovamente controllato il post, si conferma che non rispetta gli standard della Community. Sotto l’indicazione della violazione appare la scritta “chiuso”. Questo vuol dire che, ormai, la decisione è presa, e all’utente non rimane che subirla.

In qualche caso, e a me è capitato, il post in questione sarà nuovamente visibile, la “punizione” sarà rimossa, e si riceveranno delle scuse.

In altri casi ancora, e a me era successo lo scorso nel caso del citato blocco per 30 giorni, non si riceverà nulla: il blocco rimarrà senza ricevere nemmeno un rifiuto della propria contestazione.

Nel caso di account disabilitati, cosa che avviene dopo un certo numero di violazioni, all’utente non è data alcuna possibilità di replica. Infatti, nel messaggio che annuncia la disabilitazione dell’account, è scritto: “Abbiamo controllato questa decisione, e non può essere cambiata”. Insomma: nessuna replica, e un tono perentorio. Per dirla alla Diego Fusaro, disabilitare un account magari attivo da oltre 10 anni è come bruciare la Biblioteca di Alessandria: foto, scritti, immagini, note, video, commenti… tutto cancellato, tutto sparito nel nulla. Eppure, questo accade, magari per motivi futili. E tutto va in fumo, in un istante. E “la decisione non può essere cambiata”.

Tuttavia, da qualche tempo Facebook offre l’opzione del ricorso al Comitato di Controllo. Questo è un Comitato composto da persone esterne a Facebook. Ammesso che queste persone non siano altri algoritmi: ma questo non lo sapremo mai!

Il ricorso si compila abbastanza facilmente, andando sul Sito del Comitato, mediante un comando attivabile dalle sezione “Messaggi Assistenza” di Facebook (vedi eventualmente questa pagina del supporto di facebook). Purtroppo, però, nella mia ultima “visita” a questo Comitato, ho notato che, dopo il richiesto accesso con le proprie credenziali Facebook, si tornava nuovamente al punto di partenza. Ho dovuto “inventare” un “percorso” diverso per potervi accedere. E questo non è un buon segno, direi!

Inoltre, si viene avvisati che non è detto che il proprio ricorso venga accolto, e nemmeno selezionato. Si viene, infatti, avvisati che viene selezionato solo un numero esiguo di ricorsi.

Una volta postato il ricorso, viene indicato che si verrà avvisati con un messaggio se il proprio ricorso verrà selezionato, e che questo, solitamente, avviene entro 14 giorni.

Insomma: ci sono comunque poche probabilità non solo che il proprio ricorso venga accolto, ma anche solo che venga preso in considerazione. Inoltre, i tempi sono sovente più lunghi di quelli dei “blocchi”. Può quindi accadere che, dopo che una persona ha “scontato” un blocco, con tutte le possibili conseguenze del caso, si senta rispondere che, in realtà, non stava violando nulla, e che tutto andava bene! A quel punto, mi viene da chiedere, è possibile chiedere a Facebook i danni per l’ingiusta “punizione” subita, punizione che magari ha comportato, per alcuni, perdite monetarie, e comunque perdite di immagine, visto che la massa dimentica facilmente, e che 30 giorni di assenza possono comportare non piccoli cali nell’”audience”? Non so: spero che questa possibilità sia contemplata!

A questo punto, però, credo sia importante cercare delle alternative. Quello che colpisce, sin da subito, è che le persone, nonostante la mentalità vessatoria di Facebook, mentalità, come visto, sempre peggiore da questo punto di vista, non cerchino alternative praticabili, e continuino ad aprire pagine e Gruppi su Facebook, pur sapendo come saranno trattati se non saranno allineati ad un sentire comune, e anche come non saranno tutelati da stalking e attacchi virali.

Il problema è che, quando si parla con qualcuno di queste alternative, si scopre che la maggior parte delle persone non sanno nemmeno cosa sono. È il problema dell’Italiano Medio: facendo parte di un Popolo che è abituato ad essere dominato, non cerca alternative, semplicemente perché crede che non esistano. Insomma: crede di vivere in una situazione per la quale non esistono vie d’uscita, se non sperare nella clemenza del dominatore. La situazione attuale lo mostra molto bene.

Per cui, si lamenta di Facebook, ma continua a stare lì, a fare cose lì, semplicemente perché… ignora l’esistenza di alternative, che, decisamente, sono anche più valide di Facebook stesso.

Mi pare di essere nel film “Pleasantville”: quando alle persone veniva chiesto cosa c’era dopo Pleasantville, rispondevano: “Cosa c’è dopo Pleasantville?”. Insomma: per loro la vita finiva lì!

Lo stesso accade all’Italiano Medio: crede che non ci siano alternative alla sua situazione.

Questo si estende, ovviamente, anche ai Social Network, dove la mentalità del “dominato” qui appare molto forte. E, allo stesso modo, l’Italiano Medio deduce che “Non si può fare niente”.

Invece, le alternative ci sono. Ne parlavo anche in un mio precedente articolo.

A parte i Social Network come “Sfero” o “Exit”, che però sono molto “locali”, a livello “Internazionale” le alternative sono, secondo me, essenzialmente due: MeWe e VK. Alle quali si può aggiungere Minds, che però conosco poco.

MeWe e VK li sto utilizzando da diverso tempo, e posso dire che sono alternative decisamente valide.

Contrariamente a quello che dicevo nel precedente articolo, credo che VK rappresenti oggi l’opzione più valida. Creato dal russo Pavel Durov, lo stesso creatore di Telegram, nel 2006, è oggi di proprietà di Boris Dobrodeev, CEO del Gruppo “Mail.ru”, e ha sede in Russia, a San Pietroburgo.

VK rappresenta una validissima alternativa a Facebook. Già nel lontano, almeno da un punto di vista tecnologico, gennaio 2014, VK contava 210 milioni di utenti. Nell’aprile 2021 VK dichiarava circa 650 milioni di utenti. E oggi saranno sicuramente molti di più! Oltre ad avere le stesse funzionalità di Facebook, compresa la possibilità di effettuare dirette, di girare clip eccetera, il Social non ha il limite dei 5000 contatti, presente invece sul Social Network di Zuckerberg: si possono, quindi aggiungere tutti i contatti desiderati, senza che ad un certo punto si riceva il messaggio: “Impossibile aggiungere altri contatti”, cosa che costringe a cancellare alcuni contatti per poterne aggiungere altri. Qui, questo problema non esiste.

Esiste anche qui, e forse in misura ancora maggiore, la “piaga” dei profili falsi, della quale parlavo in un mio precedente articolo: Profili che ora si spingono al “messaggio personale” anche se non aggiunti ai propri contatti”. Tuttavia, qui si è più tutelati: si può, infatti, nella propria segnalazione, spiegare dettagliatamente il problema, a differenza di quanto accade con Facebook, come fatto notare in precedenza. Solitamente VK interviene in breve tempo, anche entro poche ore, se non addirittura ancora prima. Ad esempio, io avevo segnalato un commento su un post di un’amica, da parte di un’utente che offriva prestiti (una delle truffe più comuni, oltre alle donazioni): ebbene, gli hanno chiuso il profilo dopo circa 15 minuti.

Questo Social Network garantisce anche una buona sicurezza informatica: in quasi due anni di permanenza non ho mai ricevuto messaggi virus.

Inoltre, chi fa delle dirette, avrà la piacevole sorpresa di non trovarsi la “cache” di Sistema così intasata come nel caso delle dirette di Facebook. Cosa che dimostra una migliore tecnologia, e sicuramente, anche in questo senso, un maggior rispetto degli utenti.

MeWe, di cui avevo già parlato, è stato creato sempre nel 2006 dallo statunitense Mark Weinstein, è oggi di proprietà della società statunitense Sgrouples, con sede a Culver City, California. Ha decisamente meno utenti di VK: nel giugno 2020 il Social Network dichiarava 8 milioni di utenti, che oggi sembra abbiano superato i 10 milioni. Si tratta, quindi, di un numero decisamente più esiguo.

Il Social Network, interessante soprattutto per i Gruppi, permettendo una chat interna per la comunicazione. Tuttavia, è piuttosto limitato, e non permette le dirette, cosa oggi importante.

Forse è anche per questo che conta così meno utenti di VK. Oltre al fatto che, essendo statunitense, risente molto di più della “concorrenza” di Facebook.

Il mio dubbio personale, però, è che, aumentando il numero degli utenti, possano comparire anche le censure. Questo è solo un nio dubbio personale: tuttavia, considerando che il fondatore è comunque statunitense, e che la sua sede è in California, come quella di Facebook, qualche dubbio può sorgermi. Magari è solo un “mio” dubbio, ma lo espongo come tale: in fondo, il numero di utenti di questo Social network è oltre 65 volte meno di quello di VK: quindi, con così pochi utenti, tutto viene sostanzialmente accettato. Tuttavia, quando questi dovessero salire, se mai accadrà, cosa potrebbe succedere? La risposta a quando questo dovesse accadere, se mai accadrà. 

Credo quindi che, al momento, sia VK la “grande” alternativa a Facebook.

Allora, mi chiedo, se questa alternativa è così valida, se ha meno “limiti” di Facebook, quale quello dei 5000 contatti, se ha più funzionalità… perché le persone non si spostano in massa verso questo “lido” più democratico, e continuano a rimanere “arroccati” a Facebook, accettandone ogni angheria?

Una delle risposte possibili l’ho data poco fa: molte persone non sanno nemmeno della sua esistenza! Come dicevo, si lamentano di Facebook, ma non cercano alternative, pur queste esistendo. E questo è già di per sé assurdo.

Anche quelli che lo conoscono, tuttavia, non si spostano. Una delle motivazioni più frequenti è: “Se mi sposto non trovo nessuno”. Come vedete, in questa motivazione il soggetto è “io”. E questo mostra in pieno l’individualismo italiano, e l’incapacità, per l’Italiano Medio, di ragionare in termini di Gruppo. Ne parlavo anch’io nel mio primo articolo per questo giornale, oltre due anni fa: l’Italiano non riesce a “passare” dalla visione di sé come individuo a quella di sé come parte di un Gruppo. Questa mancanza, che mai come in questo periodo è stata evidente, ha fatto sì che l’Italiano accettasse l’inaccettabile, e le peggiori vessazioni.

Se andiamo sul Social Network VK vediamo, invece, un alto numero di utenti francesi, che, in parte, hanno “disertato” Facebook. Il motivo è molto semplice: il Francese Medio è capace di coscienza di Gruppo, e sa vedersi non solo come singolo individuo, ma come parte di un Gruppo.

Per cui, mentre l’italiano ragiona, spesso come: “Se mi sposto non trovo nessuno”, il francese  invece penserà: “Mettiamoci d’accordo in 20, 30, 40 e spostiamoci. Nell’altro Social network ci ritroveremo”. Un ragionamento semplice, immediato: che, tuttavia, per l’Italiano medio è impossibile, perché richiede il passaggio da coscienza del singolo a coscienza di gruppo. Un passaggio impossibile per buona parte del Popolo Italiano.

Ho infatti provato a proporre di spostarsi altrove in gruppo, ma la mia proposta è caduta nel vuoto: l’Italiano Medio non riesce a pensarsi come parte di un Gruppo.

Inoltre, c’è un altro motivo che limita gli spostamenti: VK non è in lingua italiana. E l’Italiano Medio, si sa, notoriamente non parla altre lingue all’infuori dell’italiano. Per cui, il fatto di non avere la lingua italiana può per diverse persone essere un limite.

Insomma: per tutti questi motivi, le persone, in particolare italiane, stanno “arroccate” ad un luogo virtuale dove vengono umiliate, bistrattate, escluse… ma non si spostano. E quelli che lo fanno, aprendo altri account altrove, di fatto li utilizzano pochissimo, continuando ad utilizzare soprattutto il consueto Facebook. Quando basterebbe affiancare all’attività su Facebook quella su un altro Social network, trasferendo via via l’attività altrove.

Sotto queste condizioni, Facebook continua a “vessare” sempre di più gli utenti, puntando alla sistematica esclusione dei “dissenzienti”, e così facendo “tappandogli la bocca” (che, in questo caso, è rappresentata dalla possibilità di scrivere, che viene negata).

Purtroppo, quando le persone “mugugnano”, ma non cercano alternative, può accadere solo il peggio. E lo stiamo vedendo nel periodo attuale, con restrizioni che, al momento in cui sto scrivendo, esistono solo in Italia: questo perché qui la gente le accetta passivamente: mugugnando, lamentandosi, ma accettandole.

Le alternative, tuttavia, sono lì, ci sono. Basta decidere di utilizzarle, per sentirsi in maniera diversa. E poter così comunicare, finalmente in maniera libera.

Come spesso accade, le soluzioni ci sono: basta saperle cogliere. Il problema è che molti, troppi, non lo fanno. E i risultati di questo, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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