Editoriale di Claudio Rao
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (Costituzione italiana, art. 11).
L’indice della Storia è puntato sull’Italia, rea di lesa Costituzione.
Correva l’anno 1988 e si celebrava il 40° anniversario dell’entrata in vigore della Carta costituzionale della nascente Repubblica italiana. Il sottoscritto svolgeva il proprio servizio di leva presso la Scuola specializzati trasmissioni di San Giorgio a Cremano (NA). Per l’occasione, venne indetto un concorso tra militari di leva. Un tema sulla Costituzione. L’argomento verteva sull’utilità del servizio militare nello spirito dell’articolo 11 e non dell’articolo 52 che forse sarebbe stato più consono e che recita: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. […] L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica».
Invece fu scelto l’articolo 11, citato in apertura. Il componimento mi fruttò il primo premio di tutta la Regione militare meridionale e una settimana di licenza premio. Conservo ancora la targa inquadrata tra i miei cimeli personali. Una targa che oggi vorrei restituire.
L’orgoglio e la fierezza per una delle Costituzioni più belle d’Europa aveva ispirato le mie parole di giovane Alpino telescriventista. Mi ero sforzato d’illustrare come il servizio di leva corrispondesse oramai ad una forza di pacifica solidarietà, capace di mobilizzare uomini e mezzi per supportare le popolazioni colpite da catastrofi naturali o da altri eventi nefasti, in patria o all’estero. In un’ottica umanitaria, ispirata altresì ai trattati internazionali.
Idealista come tutti i giovani, ero intimamente convinto che tale Magna Carta elaborata dai padri costituenti animasse lo spirito del legislatore repubblicano.
Il tempo mi portò a riconsiderare, alla luce dell’indispensabile compromesso imposto dalla sottile arte della diplomazia internazionale, tale cristallina ingenuità, in una visione più adulta. La complessità si sostituiva alla semplicità, anche grazie alle mie successive esperienze in ambasciate e consolati italiani all’estero.
Riconsiderare l’incarnazione dei princìpi costituzionali, dunque. Riconsiderarli, senza mai rinnegarli. I miei diversi e prolungati soggiorni all’estero poi, mi allontanarono progressivamente da queste riflessioni giovanili perché – com’è noto – la vita finisce per prendere il sopravvento col suo corteo di scelte, impegni, coinvolgimenti lavorativi, familiari e sociali.
Nonostante eventi di portata planetaria come l’11 settembre 2001 o lo tsunami del 2004, certe convinzioni restarono custodite nello scrigno del mio cuore come certezze incontrovertibili. Una sorta di scatola nera, un patrimonio educativo e culturale capace di orientare inconsapevolmente scelte e riflessioni.
Fino al brusco risveglio dell’annus horribilis. La pandemia del 2020, che ha favorito misure restrittive mai adottate prima in nessuna democrazia occidentale. Ad immagine e somiglianza di quella Cina che – ricordiamolo – resta un regime totalitario. Orientando apertamente ricerche e ipotesi scientifiche sull’origine dell’infezione. Indicando ai medici le uniche terapie autorizzate da seguire. Imponendo de facto un trattamento sanitario a intere categorie di lavoratori.
Inutile spiegare come il fanciullino di pascoliana memoria che fino ad allora si era crogiolato con gli ideali del suo scrigno che alimentavano le sue scelte e le sue azioni, si sia sgretolato al sole impietoso e violento della realtà.
Realtà traumatizzante, per dirla tutta, non soltanto dal punto di vista sociale e socio-sanitario, ma soprattutto – se non unicamente – a livello storico, politico, economico e nazionale. Annichilendo al tempo stesso l’idea di Stato democratico, sovranità popolare e libertà inalienabili dell’essere umano.
Il degenerare della situazione in Ucraina, poi, ha favorito l’implosione di ogni residuo o brandello di speranza che ancora si celasse sotto le macerie di una coscienza devastata dai fatti. In altre parole, ho dovuto fare definitivamente il lutto delle mie convinzioni giovanili, rivelatisi per quel che erano: delle mere illusioni!
La Repubblica italiana che “Ripudia la guerra come mezzo di risoluzione alle controversie internazionali” non si limita, come sarebbe giusto, ad accogliere i profughi, suffragando la popolazione con farmaci, viveri e cure di prima necessità. Il governo del non-eletto presidente Draghi ha approvato un decreto per autorizzare l’invio di armi, mezzi ed equipaggiamenti militari all’esercito ucraino! A nome e col denaro del popolo italiano, i parlamentari della Repubblica – schierandosi di fatto con uno dei belligeranti – inviano elmetti e giubbotti antiproiettile, missili terra-aria Stinger, missili anti-tank, mitragliatrici MG 42/59 e raddoppiano le forze aeree già presenti in Romania.
Da decenni avevo smesso di riconoscermi nel Paese che mi ha dato i natali e sposato la filosofia della nota canzone del compianto Giorgio Gaber « Io non mi sento italiano ». Ora capisco anche il noto aforisma del grande Indro Montanelli: « Sono un antitaliano che cerca disperatamente una ragione per non vergognarsi di essere italiano ». Ma soprattutto brucio dalla voglia di rispedire al mittente quella targa dorata che ha alimentato tante illusioni e supportato tante scelte della mia vita adulta di giovane uomo.
***Immagini fornire dall’autore, Claudio Rao
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