Dalla parte giusta della storia

Dalla parte giusta della storia

Editoriale di Daniel Abbruzzese

Dopo anni di rapporti relativamente distesi con la Russia, dovuti anche alla vicinanza geografica e culturale, e di tentennamenti, la Germania ha finalmente preso una posizione netta. È stata l’aggressione russa all’Ucraina a forzare questa scelta, favorita anche dalle pressioni della popolazione. Rimangono non poche questioni aperte, in ambito economico e sociale, ma l’attuale coalizione di governo si trova nella posizione ideale per risolverle nella maniera più creativa.

Una svolta storica

Prima ancora che, lo scorso 27 febbraio, il cancelliere Olaf Scholz si pronunciasse davanti al Bundestag, era chiaro che il suo discorso avrebbe avuto una portata storica: “Dobbiamo sostenere l’Ucraina in questa situazione disperata. Lo abbiamo già fatto abbondantemente nelle scorse settimane, negli scorsi mesi e negli scorsi anni”, esordiva, ponendosi così in una linea di continuità con le organizzazioni non governative tedesche che, nel passato recente, hanno sostenuto i burrascosi cambi di governo a Kiev.

Il cancelliere proseguiva, spiegando come la popolazione ucraina non stesse combattendo solo per difendere la propria patria, ma “per la libertà e la loro democrazia. Per valori che noi condividiamo con loro”. Qualche maligno, fra cui un editorialista del settimanale Die Zeit, ha insinuato che l’Ucraina sia ben distante dagli standard di democrazia del resto d’Europa. A proposito, venivano citati i report di Amnesty International, che evidenziano la sostanziale sospensione di diritti fondamentali (fra gli altri il diritto ad un giusto processo e al rispetto della propria vita privata e familiare), sospensione che perdura dal 2015 nell’ex repubblica sovietica. Né sarebbe da ignorare che diversi partiti di opposizione sono stati vietati dal presidente Zelenskij, si sostiene. Ma un politico della caratura di Scholz è senza dubbio consapevole che i diritti sono sempre da contemperare con le eventuali emergenze che uno Stato si trova ad affrontare, e che dunque democrazia e libertà sono ideali in cui il cittadino è chiamato a credere, nell’attesa di una loro eventuale realizzazione. Il cancelliere concludeva dunque il suo discorso con queste parole: “Come democratiche e democratici, come cittadine europee e cittadini europei, noi siamo dalla parte dell’Ucraina – dalla parte giusta della storia”.

La svolta epocale tracciata da Scholz non riguardava solo la prassi politica, ma la sua stessa dialettica: nessun cancelliere prima di lui era riuscito a superare il timore che, per ovvi motivi, il complicato rapporto tra etica e storia suscita nella cultura tedesca. D’altra parte, gran parte della popolazione aveva già fatto la sua scelta sui social media e annunciava che, a breve, avrebbe riempito le piazze per dimostrare il proprio sostegno all’Ucraina.

Sul terreno della politica internazionale, Scholz aveva preferito mandare in avanscoperta la ministra degli esteri. La verde Annalena Baerbock, in barba alle accuse di scarsa esperienza e di idealismo (molti oppositori si erano espressi infatti con toni ironici sulla sua volontà di mettere in pratica una politica estera improntata al femminismo), aveva adempito perfettamente al compito: a inizio febbraio, si era recata sul fronte del Donbass, constatando l’atmosfera soffocante in quella zona di conflitto, che l’Europa pareva aver dimenticato dal 2014. Tornata a Berlino, aveva dichiarato che la Germania era pronta ad affrontare sacrifici economici pesantissimi, pur di sostenere l’Ucraina nel caso di un attacco russo. Per far fronte a questa eventualità, dichiarava Baerbock, erano già state approntate delle sanzioni, che il governo non avrebbe tardato a mettere in atto.

Come tutti sappiamo, questa eventualità si è trasformata in realtà nel giro di pochi giorni. Mentre le piazze, le attività commerciali e gli edifici pubblici di tutta la Germania si tingevano di blu e di giallo, il governo si muoveva timidamente: applicava sì le sanzioni richieste da molti manifestanti, acconsentiva all’estromissione della Russia dal sistema bancario internazionale, ma si limitava a fornire elmetti e una quantità irrisoria di armamenti.

Si può immaginare che, per il nuovo esecutivo della Ampelkoalition, non sia stato facile prendere le distanze dall’antimilitarismo, da sempre fondamento programmatico dei Verdi, né porre un segno di discontinuità con le legislature guidate da Angela Merkel, che per quindici anni avevano garantito alla Germania una relativa stabilità, impegnandosi per un equilibrio fra le richieste degli alleati d’Oltreoceano e la vicina Russia, uno dei principali partner commerciali della Germania e, soprattutto, il suo principale fornitore di gas.

Liaisons dangereuses

La netta presa di posizione di Scholz implica indubbiamente un radicale cambiamento di giudizio sull’era Merkel: probabilmente non un periodo di buongoverno e di stabilità, ma piuttosto una serie di pesanti errori di valutazione in termini di politica internazionale ed economica.

Ai microfoni della Tagesschau, il telegiornale della televisione di stato, il neo-segretario della CDU Friedrich Merz si è spinto a parlare di una politica estera tedesca ed europea fallimentare, che ci lascia oggi davanti ad un “cumulo di macerie”. Thomas de Maizière, ex ministro degli interni e della difesa nel gabinetto Merkel, ha evidenziato che gli errori principali siano da imputare alla Germania, che è stata probabilmente abbagliata da un’idea romantica della Russia. Sarebbe stata questa idea ad impedire ad un’intera classe politica di tracciare una differenza fra la Russia come partner commerciale e la Russia come attore sulla scena politica internazionale, sottovalutando la pericolosità di Putin.

I due gasdotti che percorrono il Mar Baltico, aggirando la Polonia e l’Ucraina, sono ancora lì a testimoniare questo errore fatale. A poco serve che il Nordstream 2 sia stato ridotto ad un pezzo di ferro senza alcun valore, secondo l’efficace metafora espressa da Victoria Nuland, sottosegretaria agli affari europei degli Stati Uniti. Il fatto che si stiano attuando dei piani di emergenza per la gestione delle riserve di gas residue, o la frettolosa visita in Qatar a cui è stato costretto il ministro dell’economia Habeck, per garantire alla Germania un fornitore più affidabile, sono l’epitaffio a decenni di politica ed estera fallimentari.

Già l’amministrazione Obama, e perfino quella Trump, avevano segnalato alla Germania dell’era Merkel che stava percorrendo una direzione sbagliata. Eppure, Berlino era rimasta insensibile agli inviti, che si ripetevano dal 2014, a diversificare le fonti di approvvigionamento e ad accettare le forniture di gas di scisto da Oltreoceano, decisamente meno convenienti del gas proveniente dalla Russia, ma eticamente più sostenibili.

Più ancora di Angela Merkel, il responsabile di certe scelte opinabili sarebbe da ricercare in Gerhard Schröder, cancelliere dal 1998 al 2005 e principale fautore dei trattati commerciali con la Russia e della costruzione dei due gasdotti, tanto che, al termine del suo mandato, sarebbe stato nominato consigliere amministrativo di Rosneft e della Nordstream AG. Fino a pochi giorni fa, Schröder ha sempre rifiutato di prendere le distanze da Vladimir Putin, con cui è peraltro in rapporti di amicizia. L’ex cancelliere si è proposto anche come mediatore fra le parti in guerra, evidentemente ancora animato dall’assurda convinzione che si possa ridurre il premier russo a più miti consigli. Come infatti informava il Daily Mail poche settimane fa, rilanciato da diverse testate tedesche altrettanto autorevoli, l’imprevedibile attacco all’Ucraina sarebbe stato motivato dai postumi del Covid su Vladimir Putin, se non da un cancro alla tiroide o da uno squilibrio ormonale. Insomma, la storia del dittatore in fin di vita, che cerca di portare con sé il mondo nell’abisso, parrebbe ripetersi un’ennesima volta. Nelle piazze, i manifestanti si producono quindi in cartelloni ironici, che chiedono a Putin di passare direttamente all’ultima fase della narrazione, suicidandosi in un bunker. Insomma, l’unicità storica della situazione ha finalmente legittimato anche in Germania l’ennesima reductio ad Hitlerum di un capo di stato autoritario. Lo schema da utilizzare per accelerarne la caduta sarebbe sempre lo stesso, che così bene ha funzionato in Jugoslavia, Iraq, Siria e Libia: affamare la popolazione con sanzioni economiche, finché essa non si ribella e si allea con i liberatori. Il prezzo di questa strategia, in termini di vite umane, è spesso molto alto, ma chi è dalla parte giusta della storia ha davanti a sé sempre dei grandi fini, che giustificano ogni mezzo.

Nella palude delle notizie, vincitori e vinti hanno già preso posizione

Dal conflitto in Ucraina sembrano non arrivare abbastanza immagini, tanto che lo spazio lasciato vuoto si riempie da settimane di proclami, opinioni, di video creati al computer o di screenshot di videogiochi. I telegiornali tedeschi, riportando le notizie dal fronte, avvertono sempre che si tratta di fatti che è impossibile verificare in maniera obiettiva. È su questo terreno, sospeso tra la terraferma della propaganda di entrambe le parti e gli acquitrini dei fatti che si producono poco lontani da noi in modalità che non conosciamo, che, ancora una volta, ha luogo lo scontro fra le fazioni opposte: chi ha scelto fin da subito di porsi dalla parte giusta e tutti gli altri.

Foto di Daniel Abbruzzese

La virulenza dei toni che animano questo scontro ricorda da vicino quello che è avvenuto nei due anni di pandemia. Ecco dunque che i circa tre milioni di cittadini di origine russa residenti in Germania (i cosiddetti Russendeutsche, che dopo la caduta del Muro ottennero la cittadinanza tedesca in virtù delle loro origini germaniche) sono diventati da un oltre un mese l’obiettivo di discriminazioni e intimidazioni. Ed ecco che qualche centinaio di camionisti russi, trovatisi a transitare per la Germania mentre il loro paese veniva estromesso dal sistema SWIFT, hanno dovuto appellarsi alla carità di qualche volenteroso, che desse loro i mezzi per rientrare in patria – qualche volenteroso talvolta condannato al disprezzo della parte migliore della società, come riportato nei giorni scorsi dalla Berliner Zeitung.

Né è andata sempre meglio ai profughi ucraini che, a decine di migliaia, sono arrivati in Germania nelle ultime settimane: accolti festosamente dai tedeschi, che si dichiarano disponibili ad ospitarli per qualche notte nelle loro case, si ritrovano spesso in balia di gruppi mossi da interessi molto meno nobili: la criminalità organizzata che gestisce il racket della prostituzione, le grandi industrie (in particolare quella della lavorazione della carne), che è ben felice di poter accogliere manodopera a buon mercato, gli alberghi che, dopo pochi giorni, li destinano a sistemazioni più spartane, approfittando dei sussidi messi a disposizione dal governo.

Per quanto l’essere dalla parte giusta della storia trasmetta a tutti un senso di sicurezza, qualcuno nella società tedesca inizia ad intuire che, al termine di questo conflitto, non siederà al tavolo dei vincitori. L’aumento dei prezzi dei carburanti e degli alimentari lascia intuire un drastico peggioramento degli standard di vita nei prossimi mesi, che assumerà probabilmente dimensioni mai viste dalla Seconda Guerra Mondiale. “Vale assolutamente la pena di stare un po’ al freddo, in nome della libertà”, ha rassicurato l’ex presidente della repubblica Hans Joachim Gauck. Così, i sacrifici, le rinunce, i razionamenti sono argomenti che negli ultimi giorni stanno riempiendo i giornali, gli annunci pubblicitari e perfino le etichette dei prodotti in vendita nei supermercati.

Insomma, la guerra per procura sul fronte russo-ucraino sembra avere conseguenze che forse neanche Scholz, nel suo discorso su citato, sembra aver intuito. E, come momento di crisi, si profila anche come un insperato momento di ripartenza, di cui qualcuno già inizia a raccogliere i frutti. La NATO, ad esempio, dopo anni riesce a far apparire il suo invito ai membri di destinare il 2% del PIL alle spese militari non solo come plausibile, ma come una scelta deliberata dei singoli stati. Anche l’agenda dei Verdi, in molti punti sovrapponibile alla Davos Agenda del Forum Economico Mondiale, sembra potersi realizzare a breve in molti punti: i carburanti hanno già superato il prezzo di 2 euro al litro, prezzo individuato dai Verdi già negli anni Novanta come utile a decrementare il traffico privato, mentre la difficoltà di approvvigionamento delle risorse si pone come occasione per riformulare la vita del singolo in un’ottica più sostenibile.

Non stupirà dunque che la nascita di una nuova forma di società necessiti, come sempre è stato nella storia, di una messa in discussione radicale delle basi culturali. Si è iniziato intanto con piccoli segni: direttori d’orchestra o musicisti licenziati per non aver voluto prendere una posizione netta dalla parte giusta della storia, artisti o sportivi squalificati dalle competizioni internazionali in virtù della loro cittadinanza, fino alla volontà iconoclasta che si rivolge contro i monumenti del passato – un esempio è il monumento ad Ernst Thälmann, rappresentato nella foto in apertura: sopravvissuto al crollo del Muro e alla modernizzazione del centro urbano, si sta tornando in questi giorni a proporne la rimozione, in virtù del suo valore evocativo. Alla storia e ai fatti sopravvivono infatti solo le evocazioni e le suggestioni, unica base credibile per la nuova epoca che è appena iniziata, svincolata da ogni logica e da ogni etica.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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