SullaStradaDelVino – In viaggio verso l’azienda Les Cretes, in Val d’Aosta, dove dedizione e cura al dettaglio fanno la differenza

SullaStradaDelVino –  In viaggio verso l’azienda Les Cretes, in Val d’Aosta, dove dedizione e cura al dettaglio fanno la differenza

Rubrica a cura di Susanna Schivardi, giornalista e Massimo Casali, sommelier

Qualche giorno fa siamo arrivati ad Aymavilles, nella Val d’Aosta, che ci ha riservato un incontro atteso da tempo. Siamo in una delle regioni più difficili dal punto di vista vitivinicolo, fonte di fascino per la sua austerità, e ricca di varietà autoctone in crescita sul mercato. In collegamento Giulio Corti, uno dei titolari di Les Cretes, che insieme a sua moglie Elena e alla sorella di lei Eleonora Charrere, figlie del famoso Costantino di cui andremo a parlare a breve, conduce questa azienda incorniciata da un paesaggio alpino di rara bellezza.

LA STORIA

Azienda famigliare e molto attiva, vede partire la sua storia dalla visione illuminante di Costantino Charrere, debitore di un forte senso imprenditoriale che a quanto pare investe tutti i suoi antenati, ma oltre a questo, notoriamente mosso da un amore infinito per la terra.

A ritroso nel tempo dobbiamo partire proprio dal lontano 1750, quando già la famiglia si dedicava alla produzione agroalimentare in tutte le sue sfumature. Da allora, laddove si trova oggi il cuore pulsante dell’azienda come la conosciamo, si susseguono una serie di investimenti all’avanguardia per l’epoca, quindi un frantoio per le noci, le cantine destinate anche alla produzione di sidro, un modo come un altro per star dietro alle mode. Si avvicendano il mulino e la macina per segale e orzo, fino ai vigneti per vini pregiati, quest’ultimo passo frutto dell’intuizione di Antoine, padre di Costantino il quale a sua volta, guidato dalla lezione dei genitori, si dedica alla viticoltura, ritenendola una conversione assolutamente necessaria in un settore che si andava arricchendo di competitor.

È lui, dagli anni ‘70 fino ad oggi, a dare un indirizzo qualitativo alla produzione di vino. Uomo atletico e animato da idee innovative, va a curare in parte la riscoperta dei vitigni autoctoni come il Fumin, che oggi abbiamo la fortuna di degustare, e che nel 1999 già si merita l’attenzione della critica nazionale, con “Il Sole di Luigi Veronelli”, altro protagonista non meno importante di questa vicenda. Oggi l’azienda conta 30 ettari tutti vitati e una produzione di circa 250.000 bottiglie per un immenso mercato. Andiamo però a scoprire come questo territorio, dedalo di ettari tutti molto parcellizzati, sia gestito e condotto dalla famiglia.

IL TERRITORIO

I sei comuni toccati dall’azienda si estendono in un bellissimo territorio, aspro e incontaminato, ex valle glaciale, che parte dai 350 metri per arrivare ai 900 metri nei pressi della località di Saint-Nicolas, paesino adagiato su una balconata sospesa nella valle centrale che gode di un panorama invidiabile. Qui la Dora Baltea scorre placida e ai suoi due lati troviamo derive differenti e ricche di nutrimento per i vigneti di Les Cretes, caratterizzando una filiera impegnativa dalla vigna alla cantina, lavoro assai ardimentoso, in un territorio che richiede un’estrema parcellizzazione, e non da meno una raccolta esclusiva a mano.

Ai due lati della Dora Baltea si adagiano diversi vitigni che ne costruiscono il patrimonio, una parte alta fino ad un massimo di 900 metri, dove il Prié blanc, uva autoctona, cresce e si esprime con autorevolezza anche nella condizione spumantizzata, e poi il corpo principale della produzione che è a ovest di Aosta. Tornando indietro e correndo lungo il fiume, incontriamo l’importante influsso del Piemonte, proprio lì a due passi, con il vitigno Picotendro, parente stretto del Nebbiolo e dalla grande tradizione storica, oggi presente nella parte bassa, dove il clima meno soggetto alle gelate, risulta più favorevole. Il Nebbiolo di Les Cretes è fatto con queste uve, ma non avendo le cantine nelle immediate vicinanze, non possono dargli il nome. Una distanza di 40 Km impedisce l’etichetta che gli spetterebbe!

Possiamo dire che in tutta la Val d’Aosta, oggi, si contano 500 ettari, di cui 350 dedicati alla Doc e 150 per consumo famigliare.  Ma attenzione, perché all’inizio del secolo la regione si vantava di ben 2000 ettari, poi per una serie di eventi, tra cui il basso reddito dato dalla viticoltura, l’agricoltura si è trasformata, basti pensare che oggi la prima economia agricola è la filiera della fontina, con pascoli e strutture per l’affinamento, ed essendo tale si è conquistata il suo giusto spazio.

Negli ultimi 10 anni invece, diremmo per fortuna, si sta invertendo la situazione, e come ci dice Giulio “abbiamo una deroga, come viticoltura di montagna dalla CE tale che si possono piantare 10 ha l’anno, quindi già in dieci anni si sono impiantati una quantità di ettari importanti per la riconquista e la gestione del territorio. All’oggi infatti ci sono 5 cantine sociali e 64 aziende di cui una buona parte famigliari”.

IL CLIMA

Abbiamo già descritto la Val d’Aosta  come una regione dal territorio austero e complicato, un paesaggio ruvido, di difficile interpretrazione. A caratterizzarne la complessità anche il clima, una valle investita da escursioni termiche continue, unico territorio che presenta cinque gruppi di montagne sui 4000 metri il che comporta temperature oscillanti e impreviste. Dall’altra parte abbiamo un territorio povero di pioggia, per un serie di ragioni orografiche che da nord assicurano solo vento e siccità, con meno acqua rispetto a tutto il resto d’Italia, il che autorizza l’utilizzo di impianti irrigui di soccorso. Le temperature impazziscono al punto da avere per esempio in cantina a 650 mt i 43 gradi all’ombra, all’ora di pranzo, quando la mattina si raggiungono appena i 19 gradi. La pianta come con il freddo, anche col caldo sopra i 35 gradi non lavora adeguatamente a ne risente in fase di maturazione, per questo nella valle ci si riduce a raccogliere le uve almeno a fine ottobre.

I VITIGNI

Eccoci ad un capitolo impegnativo. La storia dei vitigni della Val d’Aosta si può dividere per epoche. Nel secolo scorso quando il consumo era famigliare, c’era forte influsso del Piemonte, come Barbera e Dolcetto, accanto agli autoctoni, presenti ma pur sempre inseriti all’interno del vigneto, perché in un territorio come questo la maturazione dell’uva è un nodo complesso, se si pensa che fino a 50 anni fa era difficile arrivare a 12 gradi alcolici naturali, si cercavano quelle varietà che in questo senso potessero regalare soddisfazione, anche se con estrema fatica.

Per lo spumante si inizia a vendemmiare i primi di settembre, si va avanti fino a novembre, quando addirittura le nevicate cominciano a farsi sentire.

Tra gli anni ‘80 e i ‘90 quando è stata costituita Les Cretes e c’era la propensione al vino in bottiglia di qualità, non si parlava di vitigni autoctoni ed è stato gioco forza piantare vitigni internazionali come Chardonnay, Pinot Nero, Syrah che ci sono ancora oggi e fanno parte della storicità della cantina.

Il recupero dell’autoctono avviene a partire dal 2000, e oggi ancora di più parliamo di territorialità, quasi un cavallo di battaglia, che punta al mercato internazionale senza timidezza, l’autoctono è un brand immancabile e simbolo delle caratteristiche ambientali del terroir.

Il vitigno più piantato all’oggi è il Petit Rouge, base del Torrette, che si sposa benissimo con una cultura alimentare tipica di questa regione, e che andiamo a ritrovare tra le varie filiere delle farine, della carne, della fontina e non da ultima della selvaggina.

LA DEGUSTAZIONE

Dettaglio e cura di ogni singola vigna, tessendo fino a 70 vinificazioni diverse, un periodo lungo di vendemmie, entrate e controlli continui tra i vigneti, per raccogliere i grappoli uno per volta, fino alla perfetta maturazione, fanno di quest’azienda un brand che negli ultimi dieci anni ha invertito la filosofia produttiva. La tendenza oggi è un’assegnazione distributiva molto attenta al nazionale e solo dopo ci si preoccupa dei rapporti storici con l’estero, che tutt’oggi non rappresenta un’aspirazione ad ampio raggio. Numero di bottiglie limitato che accresce in definitiva qualità, i premi fioccano e i riconoscimenti su riviste blasonate fanno sorridere Giulio, pur sempre attento a tenere i piedi per terra.

Apriamo le danze con il Petit Arvine, vitigno bianco prevalentemente alpino, non autoctono, infatti arrivato dal Canton Vallese svizzero negli anni ‘70, qui ha trovato un ambiente perfetto per esprimere tutte le sue caratteristiche. Siamo di fronte ad una raccolta tardiva nel periodo di fine ottobre, con presenza acida naturale ottima per base di metodo classico (di prossima uscita). Grazie ad un cru di uve provenienti dalla vecchia vigna Devin Ros, inizialmente dedicata a Nebbiolo, e un affinamento di 12 mesi in acciaio sulle fecce nobili che regala grande complessità, questo vino presenta un colore giallo paglierino, e al naso un’ottima  freschezza con profumi di buccia di arancia grattugiata, agrumi che tendono fino alla dolcezza appena accennata del miele. In bocca risulta molto minerale con una buona sapidità. Ovviamente non manca la freschezza che induce alla salivazione. Pronto, molto persistente, di qualità eccellente. L’alcolicità lo correda in maniera gentile grazie ad un’acidità importante e per questo lo abbiniamo certamente con un buon risotto alla pescatora ma anche con formaggio di media stagionatura.

Il secondo vino in pista è lo Chardonnay Cuvèe Bois, Valle d’Aosta d.o.p. Siamo di fronte alla storia di Les Cretes, dell’amicizia tra Costantino e Veronelli che li ha portati insieme fino in Borgogna dove il signor Charrere ha avuto modo di conoscere a fondo tramite i vecchi proprietari di cru, l’affinamento in botti di rovere. Filosofia che da quagli anni in poi è arrivata e si è radicata anche in Val d’Aosta.

La cura e la filiera del legno sono insegnamenti importanti, a Les Cretes si usa solo  rovere francese perché sono botti di legno che affina in foresta, a fuoco vivo, che permette una cessione dolce e non impegnativa come completamento del vino in modo assolutamente unico.

La giornalista Susanna Schivardi insieme al sommelier Massimo Casali

Qui siamo di fronte al vino più importante della cantina. Le uve provengono da sette cru differenti e vinificate separatamente, su ogni botte è segnata la genesi dell’uva, perché la raccolta deve avvenire nel momento migliore,  e ciascuna vigna capace di cedere caratteri diversi, dal vegetale, alla freschezza, al caldo e al resto dei fattori che insieme vanno a cesellare questo vino, frutto di una linearità delle annate molto esatta. La cuvèe riposa per 12 mesi in barrique, con batonnage settimanale e prima della messa in commercio rimane per ulteriori 12 mesi in bottiglia. La produzione di questo è di circa 20.000 bottiglie e ciò che rimane dal blend dei sette cru viene inviato per la produzione dello Chardonnay Valle d’Aosta d.o.p., ovviamente prima dell’affinamento in legno, uno “scarto” per modo di dire, di un vino eccellente.

Colore giallo intenso quasi dorato. Al naso molto intenso , floreale, note vivide di ananas maturo, non manca il frutto della passione, fino ad una nocciola, e piacevolmente notiamo  una presenza accattivante di vaniglia e cedro essiccato. Un’eleganza che ti aspetti dal territorio di montagna, Les Cretes non cerca vini “potenti” ma prodotti che sappiano esaltare i tratti autoctoni.

In bocca l’eleganza prende il passo con cremosità e persistenza. Accenni di mandorla e frutta secca accompagnate da una mineralità molto importante. Una longevità evidente che ti aspetti da un vino di qualità. Da abbinare a piatti con una vivace succulenza tipo un trancio di tonno al sesamo  o un pesce al guazzetto.

Il Fumin termina questa breve e preziosa degustazione.

Varietà autoctona e vitigno ancestrale della zona, fortemente voluto da Costantino in purezza, con una forte carica antociana che lo indirizza soprattutto in passato al taglio di uve più scariche, comunque presenti sul territorio. Cavallo di razza, di non grande struttura alcolica seppur raccolto a novembre, ma animato da un tessuto vinoso molto interessante e di grande longevità, negli anni si impreziosisce perché si presta all’affinamento. La maturazione complessiva che lo denota, regala le ultime energie al frutto, cedendo morbidezza e rotondità senza arrivare mai ad una surmaturazione delle uve, data l’altitudine e le temperature proprie del periodo di raccolta.

Colore rosso rubino con unghia porpora, al naso si presenta con frutta secca decisa, pan pepato e una freschezza che ricorda la nespola acerba. Presente anche una nota eterea di cuoio. In bocca un leggero tannino pulito ed elegante con note erbacee,  pepe bianco  e liquirizia. Ottima la persistenza e di eccellente qualità . Da abbinare a una tartare di carne o a una zuppa di legumi, o anche a piatti tradizionali della regione dalla ricca succulenza. 

A cura di Susanna Schivardi e Massimo casali per la degustazione – foto originali dell’azienda.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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