Rubrica a cura di Susanna Schivardi, giornalista, e Massimo Casali per le note di degustazione commentate in sala
Prestigiosa la sede dell’evento, il Rome Cavalieri di Via Cadlolo, e altrettanto prestigiosa la degustazione a banchi di scuola in due turni, Pantelleria – Sorso di Vento, promossa dal Consorzio Volontario di Tutela e Valorizzazione dei Vini Doc dell’isola di Pantelleria, che ha inviato ben undici bottiglie di cantine pantesche da degustare con la Fondazione Italiana Sommelier. Un modo per avvicinarsi alla cultura vinicola dell’isola nera del Mediterraneo, più africana che italiana, adagiata sul rift tra Europa e Asia, ventosa e selvaggia, ruvida e difficile ma capace di regalare soddisfazioni infinite nella produzione vinicola, grazie anche all’attività del Consorzio che è stato promotore della tutela della pratica agricola della Vite ad Alberello di Pantelleria culminata con la sua iscrizione nel registro dei Beni immateriali dell’umanità tutelata dall’UNESCO.
Passito di Pantelleria, Doc dal 1971, si vede attore di alterne vicende tra polvere e altare, legate soprattutto alla finalità della produzione. Una filiera che parte da contadini esperti, perfetti conoscitori di viti che risalgono addirittura a cento anni orsono, piante vecchie e sagge che sanno dosare nutrimento e sostegno anche nei peggiori momenti di caldo, o nel periodo della fillossera, qui ritardata di almeno cinquant’anni, mentre il mondo del vino soffriva, l’isola godeva di ottima salute.
Che dire dell’affresco paesaggistico potente, figlio di un affioramento vulcanico, che si traduce in aspri declivi collinari disegnati intorno ai pendii eroici, dove la meccanizzazione non arriverà mai e la raccolta a mano è una legge imposta. I panteschi negli anni si sono ingegnati per convogliare la rara acqua piovana da utilizzare fino all’ultimo decilitro e farne elemento prezioso per la vite. Nascono così i famosi tetti dei dammusi, le tipiche abitazioni dell’isola a irrigare il terreno, fino ai giardini, con il contributo dei notissimi muretti a secco, oggi monumenti di una tradizione immortale e scrittura originalissima di tutto il paesaggio. Contadini più che pescatori, i panteschi hanno combattuto contro agenti atmosferici e un terreno vulcanico per farne il punto di forza dove si è sviluppato uno dei paesaggi agricoli più armoniosi del Mediterraneo. Cultura e tradizione derivano dai vari popoli che hanno messo tenda sull’isola, dai Sesi ai Fenici, dai Bizantini ai Romani e gli Arabi, che hanno regalato il nome all’isola, Bent El Riah, figlia del vento.
Oggi l’isola si presenta ad un pubblico numeroso nella grande sala Michelangelo, alla presenza di Daniela Scrobogna, presidente Comitato Scientifico, il Presidente del Consorzio Benedetto Renda, Baldo Palermo, presidente di Donnafugata e Nicola Poma, enologo.
Batteria di undici pezzi, tutti firmati Zibibbo (o anche detto Moscato di Alessandria), ad attendere la degustazione e si parte subito con il Sora Luna, Cantine Basile, che subito si presenta con colore giallo paglierino brillante, al naso una ventata di note aromatiche come mentuccia, a seguire percepiamo maggiorana e alloro, profumi mediterranei di zagara, e infine una decisa mandorla spaccata. Alla bocca molta mineralità che si abbina a freschezza dinamica, una spalla distesa che si apre ad una piacevole sapidità in chiusura. Numerose le ricette a cui abbinarlo, dal pesce dei crostacei, alla sensibilità dei piatti a base di verdure oppure un agrodolce vagamente esotico.
Secondo ad ingaggiare i nostri sensi, Isesi 2020, Cantina Pellegrino, il nome rende omaggio all’antica popolazione pantesca. Dopo un anno di affinamento sui lieviti, sta 4/5 mesi in bottiglia e sprigiona un colore giallo molto brillante, tendente al verdolino, al naso risulta aromatico, a seguire mentolato, e a tratti mela verde, quel dolce che non stucca. Il residuo zuccherino è poco presente e la sapidità meno protagonista, come anche il fondo mandorlato rispetto al precedente.
Col terzo vino arriviamo ad una cantina da noi conosciuta tempo fa, Vinisola ( link https://www.gliscomunicati.it/2021/03/14/incontri-a-pantelleria-con-francesco-rizzo-per-conoscere-lazienda-vinicola-vinisola ) di Francesco Rizzo, un manager che dal nord lombardo ha deciso di tornare nella sua amata isola del sud e recuperare le antiche tradizioni grazie anche all’apporto prezioso del suo enologo Antonio d’Aietti, con cui produce una serie di vini davvero niente male. Lo Zèfiro, nome del vento che la sera calma gli animi accaldati, ci coinvolge con il suo vigore, un vino bianco secco perfetto per irrorare mente e corpo, presenta una gradazione sui 13,5% grazie alla surmaturazione delle uve, che apportano il colore dorato, al naso molto agrumato e con un minerale marcato. Al primo naso ricorda quasi un vino alsaziano, un riesling per la sua aromaticità, ma poi alla bocca arriva la componente alcolica di un vino strutturato, con sapidità e mineralità olfattive potenti, da vino molto maschio. Non percepiamo residui zuccherini e il finale ci riserva frutta secca ed erbe aromatiche.
Al quarto bicchiere versano il Yrnm di Miceli, pioniere sull’isola e primo a vinificare a secco lo Zibibbo. Il nome enigmatico significa Pantelleria secondo i Fenici, e il vino si presenta così: colore che continua il filone dell’oro appena accennato con vene verdoline, la vendemmia tardiva (quasi nordica) conduce al naso con note floreali, mela cotogna, fiori gialli, il mughetto e l’acacia, fino alla frutta esotica. Qui la componente minerale viene meno e in bocca afferriamo un importante residuo zuccherino, ci risulta morbido, sapido, fresco e con buona acidità.
Si prosegue con il quinto vino, il Gadì 2018 di Murana, dall’omonima Cala Gadir sulla costa orientale dell’isola e che significa conca d’acqua. Arriviamo a ben 14 gradi alcolici, con 24 mesi in acciaio, un riposo che gli regala un bel colore verdolino netto, ma soprattutto un’esplosione all’olfattiva con aromaticità, note minerali, balsamiche ma non femminili. Con questo vino torniamo alla sfumatura aromatica, fino ad agrume e albicocca, in una fusione perfetta data dal riposo in acciaio. Le mandorle in bocca sono molto integrate e l’equilibrio lo rende un vino a tutto pasto e di facile beva, immediato da abbinare anche a semplici ricette come supplì, fiori di zucca e crocchette!
Col sesto vino torniamo da Vinisola con lo spumante Shalai, metodo Martinotti-Charmat, un bellissimo sposo per i dolci. Il colore brillante, al naso avvertiamo lo zucchero vanigliato, il candito, il miele, ma sul finale ci arriva una bella componente salmastra, che smorza il dolciastro uscendo quasi con aromaticità. In bocca la freschezza ci pervade, insieme ad acidità e un residuo zuccherino tangibile. Intrigante vino da meditazione accompagnato da un dolce oppure anche accoppiato ad un piatto di carne grassa.
Col settimo vino una delle cantine più rinomate, Moscato di Pantelleria, Kabir 2020 di Donnafugata, da uve molto zuccherine e raccolte anche se non perfettamente mature, quindi capaci di mantenere una buona acidità. In questo vino ritroviamo il colore oro verdolino, e all’olfattiva un’esplosione di nota aromatica, solo dopo l’intrigo del floreale, la frutta matura, fino al miele e allo zucchero vanigliato piacevole, tuttavia lasciando alla bocca spazio ad una sana mineralità. Consideriamo anche una parte acida ben presente e la persistenza che lo rendono perfettamente equilibrato.
Ottavo vino il Passito di Pantelleria Shamira di Basile, nato da vigneti del sud ovest dell’isola, uve raccolte a fine agosto per essere pronte come base mosto a fine settembre. Il colore impressiona, di oro intenso che può invecchiare col tempo e ispessirsi, al naso ci riporta agli agrumi e alla frutta siciliana, l’apertura aromatica conduce all’uva passa. Alla gustativa risulta rotondo con bella spalla acida, non mancano le note di caramello, una dolcezza fine ed elegante. La pasta di mandorle sarebbe un’ottima compagna di viaggio per questo passito!
Arriviamo alla cantina Pellegrino con il Passito di Pantelleria Nes, nome che vuol dire miracolo, come quello del terroir dell’isola, che regala a questo passito intense note di frutta secca, erbe mediterranee. La raccolta in questo caso avviene dalla metà di settembre, con pressatura soffice, affinamento in vasche di acciaio. Il colore è ambrato, al naso è molto intenso e tornano albicocca, frutta secca, per arrivare a note gentili di miele di castagno e agrumi. Alla bocca è persistente, siamo invasi di una consistenza calda e avvolgente, molto intrigante. Lo potremmo abbinare ad una cassata siciliana ma anche a formaggi erborinati e piccanti.
Grande protagonista il Ben Ryé 2019 di Donnafugata, le sue uve, raccolte da ben cinque contrade differenti, godono di una selezione ulteriore al tavolo vibrante, prima della pressatura soffice. L’aggiunta di uva passa avviene sgrappolata a mano e la vinificazione dura oltre un mese. Il colore è dorato con riflessi ambra topazio, il bouquet al naso sprigiona confettura, albicocche, frutta candita, specialmente l’arancia, e in bocca abbiamo la macchia mediterranea di erbe aromatiche, con le note fruttate che si sprigionano fino ad un fico e una nota tendente al cioccolato. Non manca il miele intenso che regala dolcezza e freschezza perfettamente equilibrate, per un corpo masticabile, diremmo cremoso, perfetto con formaggi erborinati.
Si termina questa splendida carrellata con Passito di Pantelleria Naturale Nun 2018, di Miceli, raccolta di uve a fine agosto e inizio settembre, ci ritroviamo di fronte ad un vino intenso che chiude la serata di degustazione in maniera raffinatissima. Top di gamma Miceli è un vino complesso dove arrivano tanti sentori al naso, dalla vaniglia alle spezie, per agganciare anche una confettura e miele, ma dopo qualche minuto una nota eterea di smalto ci rapisce ulteriormente, per planare su un plafond di salvia e menta insieme ai datteri, talvolta. Non facile da descrivere se non si passa per la lavorazione che richiede tempo e sapienza. Una raccolta di uve mature con resa al massimo del 40%, una parte messa ad essiccare su stuoie di canne al sole, come da rigido Disciplinare Passito di Pantelleria per i vini naturali non si aggiunge alcol e al mosto si regala questa aggiunta di uve appassite preziosissime nella misura di 35 kg/lt. Ed ecco il miracolo di Pantelleria, in un prodotto elegantissimo, soave, prezioso che noi vorremmo degustare a solo come vino da meditazione.
Il vino Passito richiede grandi investimenti di tempo e denaro, un mercato appetibile ma che guarda alla concorrenza con timidezza, per questo ricordiamo che la produzione del vino liquoroso si allinea perfettamente a quella del prodotto “originale”, per accontentare le scelte di mercato ed uscire dalla nicchia ideologica. Figlio del mosto ottenuto da uve passite (almeno al 60%) che si vedono aggiungere etanolo (alcol) di origine enologica durante o dopo la fermentazione, nasce pertanto un prodotto da non confondere assolutamente con il Passito di Pantelleria Doc. Il vino ottenuto in questa versione non può essere commercializzato prima del 1° febbraio dell’anno successivo alla vendemmia ed è pertanto obbligatoria l’indicazione dell’annata di produzione.
In sala gruppo di sommelier rigorosamente Fis, compatti e perfettamente guidati dalla sommelier capo servizio Valentina Santoro, che con professionalità impeccabile ha reso questa degustazione memorabile.
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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