Rubrica “L’angolo dell’esperto”: tocco e prossemica

Rubrica “L’angolo dell’esperto”: tocco e prossemica

Rubrica a cura del dottor Claudio Rao

Continuiamo ad addentrarci nella fitta foresta dei meccanismi e delle tecniche che orientano il nostro modo di pensare e di agire. Alterando, ancorchè provvisoriamente, la nostra autonomia e influenzando il nostro libero arbitrio.

Primavera 1988. François Mitterrand, ex presidente della Repubblica francese, prima del cosiddetto “duello” (il dibattito televisivo che oppone i due finalisti al ballottaggio) chiese fuori antenna ai giornalisti conduttori: “Fate in modo che io non abbia a stringergli la mano”. Alludeva al suo avversario, il presidente uscente Valéry Giscard d’Estaing che di lì a poco avrebbe sconfitto.

Il contatto fisico crea prossimità, accorcia le distanze e rende più difficili le ostilità

Estate 2005. Kévin, un conoscente sulla quarantina, durante una cena tra amici in un grazioso quartiere di Bruxelles, fece delle osservazioni che recito a braccio.

«Quando ho cominciato a lavorare nella concessionaria delle auto sportive, mi è stato fatto notare che il mio approccio con i clienti era… troppo familiare! Non che fossi scorretto o invadente, intendiamoci. Quello che urtava il mio responsabile era che accompagnassi le mie parole con un gesto: un leggero tocco sull’avambraccio. Non è un fatto sessista, perchè mi viene spontaneo sia con gli uomini che con le donne. È il mio modo di fare abituale; mi dà l’impressione di creare un contatto con i miei interlocutori e che questo li aiuti ad ascoltarmi meglio. Dopo una serie di richiami, ho corretto il tiro e mi sono imposto di restare a distanza. Ebbene, per quanto possa sembrare strano, le vendite hanno subìto un calo! Forse il mio modo di fare ne era stato alterato, non so. Mi sentivo meno a mio agio nella comunicazione. Fatto sta che il mio capo ha finito per lasciarmi libero di approcciare i clienti a modo mio. E le cose sono migliorate! In fondo, non per vantarmi, ma me la cavo abbastanza bene come venditore ».

“La prossemica – spiega Wikipedia – è la disciplina semiologica che studia i gesti, il comportamento, lo spazio e le distanze all’interno di una comunicazione, sia verbale sia non verbale”. Il termine lo dobbiamo all’antropologo statunitense Edward T. Hall che lo ricava studiando l’etologia, per applicarlo poi ai comportamenti umani.

Nel suo libro “La dimensione nascosta”¹ l’autore tratta il tema delle distanze tra gli animali, il loro comportamento sociale in qualche modo, e chiarisce considerevolmente la comprensione dei nostri comportamenti umani.

Edward, per illustrarli, descrive quattro sfere nelle quali individua due posizioni: ravvicinata e distanziata. Ad ogni sfera corrisponde una maniera particolare di percepire l’altro: non vediamo una persona nello stesso modo quando è a 50 centimentri da noi o a due metri di distanza! Non la sentiamo nello stesso modo, non ne percepiamo gli odori o i profumi nella stessa maniera.

La sfera intima” è quella che abbiamo in comune con colui o colei che condivide la nostra vita e i nostri figli. Essa può andare dal contatto diretto ai 45 centimetri.

La sfera personale” è quella che riguarda gli amici e può arrivare a un 1 metro e 25 centimetri.

La sfera sociale” è quella che adottiamo con i nostri colleghi.

La sfera pubblica” riguarda le discussioni in cui la parola è scambiata e gerarchizzata. Qui non vi è necessariamente un contatto diretto e l’ascoltatore può agevolmente distrarsi, sottraendosi all’influenza del comunicante.

Le distanze si stabiliscono automaticamente, in maniera naturale, istintiva mi verrebbe da dire, in funzione delle persone con cui ci troviamo. Trasgredirle significa voler – consciamente o inconsciamente – modificare il tipo di relazione che si ha con l’altro. Pensiamo a un contesto di seduzione: si incomincia dalla sfera sociale, per poi passare a quella personale e finire a quella intima.

Essere coscienti di queste sfere e dominarle fino a giocarci, ci conferisce un potere di manipolazione supplementare piuttosto efficace. Pensiamo alla vita professionale. Un dirigente che voglia modificare la sua relazione con i suoi impiegati potrebbe indire una riunione in una saletta più ristretta per “accorciare le disatnze”. I suoi collaboratori si sentirebbero più coinvolti, maggiormente implicati nelle riflessioni e nelle decisioni.

Naturalmente non possiamo fare astrazione dalla nostra formazione, la nostra educazione e la nostra cultura! Tutte cose che vanno tenute in debito conto. Nel Nord Europa, per esempio, le distanze fisiche tra individui (con ciò che comporta dal punto di vista socio-psicologico), sono decisamente più marcate che nei Paesi mediterranei: basti osservare le disposizioni dei tavoli nei bar o nei ristoranti. Altrimenti detto, “tocco e prossemica” non funzioneranno allo stesso modo in Norvegia o in Grecia!

Nonostante tutto, in base alle mie letture e alla mia esperienza, sembrerebbe che il tocco, il contatto fisico, benefici di uno statuto speciale transculturale. Mi spiego. Teoricamente l’essere toccati ed il toccare dovrebbero essere percepiti come una trasgressione, una forma d’intromissione, di invasione nello spazio intimo e personale. Alcuni studi hanno invece dimostrato che il tocco può funzionare come un catalizzatore positivo. Joule e Beauvois nel loro « Petit traité de manipulation à l’usage des honnêtes gens » {mini trattato di manipolazione per le persone oneste} relatano come, in un numero significativo di situazioni, il tocco possa influenzare positivamente il proprio ascoltatore! In un contesto di comunicazione commerciale, per esempio, le persone “toccate” dal proprio interlocutore possono considerare più gradevole il locale, più competente il venditore e finire per acquistare più facilmente la merce.

Secondo le ricerche di Joule e Beauvois, essere toccati modifica la percezione del proprio interlocutore, rinforza la fiducia, fa sentire più a proprio agio, migliora l’umore e riduce lo stress.

Certo, la cautela e l’osservazione di chi abbiamo di fronte restano strumenti indispensabili per non commettere gaffes con chi, per esempio, è estremamente sospettoso od oltremodo sensibile alla difesa della propria intimità.

Cionondimeno, questo ci incoraggia ad osservare più attentamente le relazioni che gli altri cercano d’instaurare con noi (e noi con loro) onde poter prevenire ogni tentativo di manipolazione da noi non espressamente consentito od auspicato.

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¹ Bompiani, 1968 (Introduzione di Umberto Eco).

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