Di Anna Izzo
Da tempo, ormai, immagino il lasso temporale che va dalla digestione del pranzo del 25 dicembre alla mattina di capodanno come un mirabile sunto di tutto ciò che dovremmo fare per affrontare un nuovo anno in maniera più che adeguata. Infatti, probabilmente stimolati dallo tsunami di succhi gastrici versati dalla bile nei nostri stomaci, intorpiditi dai chili di troppo e finalmente liberi dalla bontà coatta, riusciamo a stare in pace con noi stessi, nonché a vedere in modo più chiaro tutto ciò che, per noi, rappresenta un immane nocumento. Inoltre, ma credo non sia una sorpresa per nessuno, ci aspetta un altro anno all’insegna della digitalizzazione forzata, quindi è bene partire con le idee ben chiare.
Alla luce di queste due innegabili realtà, è con pacata ironia che vi propongo qualche input per affrontare al meglio ciò che sarà, nell’augurarvi il meglio per il Twenty Twenty Too (ah ah ah. Quale colpo di genio. Che inarrivabile picco d’ironia. Ma chi è Achille Campanile rispetto a chi ha coniato questa favolosa espressione?).
Sicuramente avrete porto i vostri auguri di buon Natale e felice anno nuovo, se avete conservato ancora un minimo di dignità in mezzo alla sociopatia dilagante, e dal momento che le telefonate ad hoc sono ormai più rare del diamante Cullinan al momento del ritrovamento, prima di essere smembrato con perizia e capillare pazienza, con tutta probabilità avrete inviato i vostri auspici tramite mail, sms o WhatsApp. Bene: considerate le risposte ricevute e comportatevi di conseguenza, tenendo conto che il tipo di legame che vi unisce con l’oggetto del vostro pensiero non ha la minima importanza (parenti, amici di vecchia data, conoscenti? Al fine di vivere con maggiore delicatezza una situazione obiettivamente pesante pari sono).
Tenete caro chi vi ha ringraziato con calore e affetto, aggiungendo magari il ricordo di qualche episodio della vostra vita in comune, E BASTA. Chi vi ha degnato, dall’altro dello scranno da usurpatore su cui è sempre stato assiso, di risposte stucchevoli quali “Anche a te”, “Grazie” e “Contraccambio”? Via, alla larga, immaginate che si sia trasferito sull’Isola di Pasqua e sia impegnato a togliere il guano dai Moai: cosa mai potrebbe aggiungere al vostro benessere, una persona del genere? Probabilmente, dopo essersi reso conto di essere stato depennato, il soggettone non si porrà minimamente il problema e vi riterrà colpevole di vilipendio alla sua aulica persona. Qualora dovesse incrociarvi fisicamente (speriamo di no, e che cazCAVOLO, e che cavolo), accamperà scuse su scuse: per l’appunto, si tratta di scuse. Non importa se era nudo bruco dopo la doccia o se lil suo appena unenne bambino era sul punto di lanciarsi dal terrazzo: avrebbe potuto asciugarsi, profumarsi a dovere e rivestirsi o mettere in sicurezza l’infante, per poi rispondere agli auguri in maniera civile, in un secondo momento. Non importa neppure se una sciagura familiare gli impedisce di essere maggiormente empatico: ognuno ha la sua croce e, se davvero tiene a voi, vi avrebbe reso partecipi (e le sciagure familiari, fidatevi, non impediscono ad alcuno di festeggiare anche in maniera sibaritica, ignorandovi con soavità). Non ci sono attenuanti, quindi goodbye senza alcuna possibilità di au revoir.
In caso di dubbi o remore residue, colpo di grazia: immaginate che la conversazione avvenga vis a vis, in un contesto amichevole e allegro, con tanto di vicinanza fisica. Guardatevi porgere gli auguri a qualcuno e soffermatevi su tale qualcuno mentre ricambia la vostra cortesia con “Anche a te”, “Grazie” o “Contraccambio”. Ora siate sinceri, soprattutto con voi stessi: assieme a un cafone simile prendereste il medesimo mezzo pubblico, anche solo per poche fermate? Se non siete affetti da una forma patologica di masochismo, vi siete già dati la risposta giusta.
Discorso a parte meritano coloro che porgono gli auguri via sms o WhatsApp in modo tenero, dolce e encomiabile, ma puntualmente si dimenticano di firmarsi (diciamo così). Lì sorge il dubbio amletico, quindi a voi la scelta: o ricambiate di cuore per poi chiedere lumi sull’identità dell’augurante, creando imbarazzo a entrambi, oppure eliminate il contatto.
Passiamo quindi alla questione “vita digitalizzata obtorto collo”: innanzitutto iniziamo a utilizzare le denominazioni corrette, quindi via il “virtuale”, dal momento che non viviamo su Dune e siamo tutti impiegati in professioni oneste, non nella ricerca spasmodica del dominio della spezia (Dune versione Villeneuve, non quella originaria di David Lync).
Attraverso i social network abbiamo la possibilità di informarci e di arricchirci, nonché di lavorare, quindi perché fare come la storica signora Longari e cadere sull’uccello? Va bene, so che il compianto Mike Bongiorno non ha mai pronunciato tali parole, ma consentitemi il beneficio del dubbio, se non altro perché sarebbe stata una boutade fantastica.
Perché, quindi, iscriversi a gruppi all’apparenza pregevoli per poi restare ampiamente delusi? Non credo sia necessario essere sociologi rifiniti per capire che, dietro a chi frequenta consessi dedicati al belcanto (ipotizzo), si nascondono schiere di soprano fallite, ferite nell’orgoglio, quindi incattivite e con una grande voglia di rivalsa sul prossimo. Se doveste trovarvi impelagati in una discussione senza senso, in cui l’aspirante Renata Tebaldi rivelatasi al livello di una cantante appena maggiorenne con abuso di piercing, tatuaggi ed autotune sostiene, pure con una certa tigna, che Casta Diva sia una commovente ed immortale aria del Nabucco, non datele corda ribattendo che Bellini, di fronte a un simile abominio, sia tornato in vita al solo scopo di suicidarsi abbuffandosi di arancini, bensì accordatele la ragione che si da abitualmente agli stolti e abbandonate quel luogo di perdizione in silenzio.
Prima di intavolare discussioni infinite con creature apparentemente maleducate (quindi zotiche doc: l’apparenza raramente inganna), date un’occhiata al loro profilo: sicuramente fra i loro politici del cuore vi sono esponenti dei partiti più disparati, segno di opportunismo e di mancanza di ideali; con ogni probabilità avranno frequentato al massimo un IPSIA di periferia, e invece di fornire indicazioni su come pulire la candela di un’auto 1100 cc o sull’arte della manutenzione degli scaldabagni (a chi non sarebbero utili?), si lanciano in pagine e pagine di dibattiti sui benefici della vitamina D, con informazioni su posologia e su modalità di assunzione, possibilmente in abbinamento con la vitamina K. Qualora vantassero la frequentazione dell’ormai abusata “scuola della vita” (particolare del tutto superfluo, dal momento che la grammatica drammatica basta e avanza), allontanatevi facendo un periplo bello ampio: la legge Coppino, che sancisce l’istruzione di base obbligatoria e gratuita, risale al 1877, quindi, se nel frattempo non hanno avuto modo di fruirne, non sarà un vostro cortese “Guardi che la terza persona singolare del verbo avere si scrive ha, non a…” a cambiare certe sinapsi percosse e inaridite.
Infine, perché il dulcis in fundo ha sempre il colpo di coda a prescindere, il curioso caso di chi scrive un post per poi autoelogiarsi con un like. No, scusate: in tal caso divento patibolare: basta onanismi di qualsiasi genere, quindi depennateli assolutamente.
Tutto qui. Alla fine, basta considerare la nostra semenza e non fungere da scendiletto per nessuno, per qualsiasi motivo. Chi sì è autoproclamato superiore a noi l’ha fatto anche col nostro ausilio, ahimè, ma non è mai troppo tardi per tornare sui propri passi e per essere meno Candy Candy e più Marchesi del Grillo. E per iniziare un nuovo anno, finalmente, con la consapevolezza che noi siamo noi, e gli altri non sono. Stop. Ho finito. Niente chiusa del, fra l’altro, Duca di Bracciano, guardia nobile e Cameriere segreto di sua Santità Pio VII. Ignorare l’esistenza di una persona mi pare oltremodo sufficiente.
P.S. Ho scritto al maschile ritenendolo forma neutrale, come mi è stato insegnato alle elementari. Chiedo venia ai patiti del gender, ma l’abuso dello schwa mi risulta più indigesto di una miriade di “Anche a te”, “Grazie” e “Contraccambio”.
DONA ORA E GRAZIE PER IL TUO SOSTEGNO: ANCHE 1 EURO PUÒ FARE LA DIFFERENZA PER UN GIORNALISMO INDIPENDENTE E DEONTOLOGICAMENTE SANO
Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
Lascia un commento