Rubrica a cura di Susanna Schivardi e Massimo Casali
Alla ricerca del Barolo, Sullastradadelvino incontra Gabriele Pezzuto, export manager dell’azienda Beni di Batasiolo, che ci racconta con incanto e passione il lungo percorso della famiglia Dogliani per raggiungere un successo indiscusso e quanto ancora si può investire in termini di energie e tecnologia per guardare al futuro senza esitazione.
Quando mi è stato detto che avrei cenato con l’export manager di un’azienda rinomata come Beni di Batasiolo, quasi non ci credevo. Mi è stata offerta questa immensa possibilità proprio dal nostro consulente di fiducia per le degustazioni, Massimo Casali, che ha conosciuto Gabriele Pezzuto in un evento a Roma, e lo ha subito ingaggiato per essere presente una sera in città e cenare insieme a noi.
Un piccolo sogno è diventato realtà, la sera del 6 dicembre, presso il ristorante Eden di Monteverde, abbiamo degustato sei meravigliose bottiglie di una delle aziende più note nel mondo vitivinicolo, Beni di Batasiolo, 140 ettari di cui 120 vitati nel bel mezzo delle Langhe in Piemonte, dove Barolo è diventato sinonimo di eccellenza.
LA STORIA
La forza di questa azienda sta negli uomini che la vanno a costruire a partire da fondamenta già molto solide, quelle della famiglia Dogliani che nel 1978 acquista la storica cantina Kiola con i suoi sette Beni, laddove per bene si intende tutto, dal terreno alla cascina e soprattutto alle persone che il vino lo conoscono.
Batasiolo è il nome di una delle contrade di questo territorio composto di nove fattorie, dove ultimamente ha fatto capolino l’ospitalità con resort da sogno e perché no, un ristorante guidato da uno chef stellato. L’atmosfera molto famigliare abbraccia la magnificenza di un paesaggio unico al mondo che tutti sognano e gli stranieri ammirano. Le Langhe sono un luogo ma anche un racconto dove arte, cultura e tradizione si tramandano da anni, in una rielaborazione che ha reso noto il Barolo ovunque. Qui si può ancora osservare lo scandire delle stagioni e ritrovare una certa intimità grazie al “silenzio fischiettante” degli ampi spazi aperti e accoglienti.
In questo spicchio di terra si trovano le migliori condizioni per esaltare le caratteristiche del Nebbiolo, nove contrade che regalano uve perfette a iniziare da Batasiolo che ispira il nome dell’azienda, Zonchetta tra Barolo e la Morra, Cerequio, uno dei territori più prestigiosi, Brunate, dove il vigneto apporta struttura ai vini di lunga durata, Morino che con la sua esposizione ad Est produce vini profumati ed eleganti, Bussia Bofani, vigneto che per la sua esposizione è uno tra i migliori delle Langhe, Bricco di Vergne per vini dalle note delicate e profumate, e poi Briccolina per la produzione di vini corposi e longevi, Boscareto vigneto che regala grande struttura, e Bricco San Pietro Tantesi, pendio che raggiunge i 400 mt con un’esposizione a Ovest, tutte tra la Morra, Serralunga d’Alba e Monforte d’Alba. Nomi che è bene ricordare anche per gli addetti ai lavori, che trattano la materia e soprattutto per i neofiti che hanno voglia di addentrarsi nel mondo nel vino, tanto vale che si abituino a sentirne parlare.
Fiorenzo Dogliani è il nome che per primo dovrebbe apparire in un lungo elenco di esperti che lavorano in questa grande azienda, perché lui, langarolo da generazioni e di carattere forte e volitivo, ha saputo tirare su un impero e un brand vincente. Uomo perspicace, intuitivo, intelligente sopra la media ed estremamente sensibile, fatto di un’umanità profondamente umile e contadina che lo avvicina da sempre alla terra ma da essa riparte per afferrare quelle che sono le novità più estreme in fatto di tecnologia.
TRADIZIONE E INNOVAZIONE
La tradizione è solo il punto di partenza, poi si procede e si va alla scoperta di nuove frontiere, perché il vino non è un prodotto casuale ma un artifizio che nasce dalla natura e dallo zampino dell’uomo. A raccontarci questa esperienza sensoriale che amplifica le percezioni e arriva alla ragione, stasera con noi Gabriele Pezzuto, uno special guest che nasce a Lecce e poi per varie vicende arriva in Piemonte, dando il via al suo percorso “enologico” grazie ad un tappo rotto, come ci racconta scherzando e ricordando la sua giovinezza, quando ancora lavorava in enoteca. Deve il suo primo approccio al vino al nonno Ermanno “al suo ruolo silente, prezioso e instancabile, fondamentale per il lavoro in vigna”, nel paese di Squinzano da cui Gabriele si sposta presto per approdare alla Luiss Business School a Roma e poi aggiudicarsi un Master a Londra. Dopo il Corso Sommelier Ais inizia a scrivere per Bibenda e a recensire vini per le guide. Si incuriosisce della Borgogna e un corso monotematico sullo champagne lo lancia a studi sempre più approfonditi che ancora oggi lo accompagnano in ogni sua giornata.
L’esperienza nel vino e nella comunicazione lo hanno reso l’uomo esatto al momento giusto, quando l’incontro con Fiorenzo Dogliani lo innalza definitivamente al top di gamma tra i manager che lavorano con e per i Beni di Batasiolo. Si applica incessantemente per divulgare la cultura del vino a qualsiasi tipo di pubblico, ed è proprio l’approccio ai giovani che ultimamente lo interessa. I millenials e la generazione cosiddetta Y sono la deriva da ricongiungere ad un mondo del vino che sia di livello e non abbia incertezze. I ragazzi sono i più duri da convincere perché troppo spesso si accontentano dell’alcol semplicistico, delle bevande “marmellatose”, quelle che sballano ma non appagano. A connettere il gusto alla qualità alle volte bastano un’etichetta e un nome vincenti, nel segno di una modernità che si avvale sempre più dell’appeal e dell’immagine, mai però a sacrificare il prodotto dietro l’involucro. Certo un nome come Batasiolo non si smentisce e rimane timbro di qualità senza bisogno di presentazioni, proprio perché dietro il marchio, un lavoro costante e certosino ne assicura il successo. Eppure oggi più che nel passato è anche possibile bere un Barolo quotidianamente senza che questo rappresenti un lusso.
IL NEBBIOLO, IL VINO E I SUOI SEGRETI
Uomini e donne che lavorano nelle cascine sono uno dei segreti di questa fama mondiale, grazie agli stessi gesti di una vita e ad un’attenzione speciale al dettaglio. Un know how che si tramanda da decenni e consente di trattare adeguatamente il terroir e applicare una “visione olistica” alla lavorazione dell’uva e assicurarla a risultati vincenti. Un valore che esplode in situazioni estreme come alcuni pendii, basti pensare a Briccolina, un terreno abbarbicato a ridosso di un bosco, con ripidità pazzesche e pendenze, dove è necessaria la vendemmia manuale con piante vecchie, una giusta defoliazione, la cura e l’attenzione di vigneto per vigneto.
Il Nebbiolo è un’uva difficile e non si piega alle ragioni degli enologi, la natura fa il suo corso e non sempre la mano dell’uomo ne assicura l’esito. Eppure, qui in questi terreni i vini conoscono una supremazia che travalica i confini nazionali per sbarcare quasi in ogni paese del mondo, dal Canada, agli Usa, dal Nord Europa ai paesi asiatici. Lo slogan di Batasiolo non è trappola mentale per gli appassionati e i winelover, ma un’etichetta di eccellenza, che va oltre gli stereotipi, grazie alla famiglia Dogliani che ha sempre lavorato onorando la terra e guardando al futuro. Oreste Dogliani è l’enologo dell’azienda e il nipote di Fiorenzo, il giovane Ignazio, ricopre il ruolo di amministratore delegato. Insieme a Fiorenzo la squadra lavora compatta, lo studio in tecnologia e gli investimenti sempre ingenti, l’attenzione al frutto è maniacale, “l’uva deve arrivare integra e perfetta – ci spiega Gabriele” – ed è anche vero che per un’azienda così grande, scegliere un vigneto e destinarlo a diverse opzioni, è più semplice rispetto ad una piccola azienda che si deve piegare alle dure leggi della natura.
L’approccio di Gabriele al vino è consapevole ed energico, lo affronta come un essere vivente che ha bisogno di attenzione, un animale selvatico di non facile addomesticamento, come il Barolo che di suo è una scommessa costante per il produttore, visti i tempi di cui necessita per diventare quel che è nel bicchiere. “Per questo è una dura battaglia conquistare i giovani e democraticizzare il consumo”, soprattutto quando i tecnicismi superano le estensioni dello spirito, in una necessità costante di definire, gli esperti allontanano alcuni consumatori con termini e locuzioni di difficile comprensione. Deve essere “superato quel gap tra analisi tecnica ed emozione, a volte anche il “mi piace o non mi piace” può essere un metro di giudizio per una bottiglia – sospira Gabriele che nel frattempo attende che si versi il primo vino dei sei che ci ha portato “per sentire il rumore del vino nel bicchiere”, un piacere, un momento di estasi in cui già è comprensibile la bontà o meno di un prodotto.
E che la danza abbia inizio.
DEGUSTAZIONE
Al tavolo che sta per arricchirsi di pietanze gustose, partiamo con lo spumante, Gabriele tiene banco e apriamo un Metodo Classico 2015, Chardonnay al 75% e il resto Pinot Nero che dona corpo ed eleganza. Ottimo il perlage, fine e persistente, parliamo di uno spumante con oltre 70 mesi sulle spalle, un’ottima freschezza fa da spalla alla morbidezza della frutta a polpa bianca, fiori freschi e accenni di miele. Non manca la crosta di pane e una nota di patisserie. Nel nostro caso lo abbiamo abbinato ad un prosciutto San Daniele con mozzarella di bufala, andrebbe bene altrettanto con antipasti di pesce.
A seguire apriamo lo Chardonnay vigneto Morino, 2019. Gabriele racconta che questo vigneto si trova a metà fra due grandi cru di Nebbiolo ed è stato “sacrificato” a Chardonnay, per creare una salutare biodiversità del territorio. In effetti nel bicchiere abbiamo un gran bianco, dove metà della massa fermenta in acciaio e il restante effettua un batonnage direttamente in barrique. Vino di grande bevibilità e complessità, presenta una struttura notevole. Al naso e in bocca minerale e balsamico, con frutta a polpa bianca, matura, buccia di cedro e sul finale mandorla con note di vaniglia. Vino equilibrato e persistente. Vista la posizione del vigneto e la sua struttura, Gabriele definisce questo vino un rosso vestito di bianco. In abbinamento l’oste ci serve un raviolo al pomodoro datterino, ripieno di radicchio e provola. Sicuramente lo potremmo avvicinare anche ad una tartare di filetto piemontese.
Partiamo con i rossi, e apriamo una Barbera d’Alba, DOC, che ha alle spalle una vendemmia manuale e una fermentazione in acciaio di circa 10/12 giorni, circa il 30% della massa fermenta in barrique di rovere francese e l’altra parte in grandi botti di rovere di Slavonia. Le masse vengono assemblate e prima del riposo in bottiglia, fanno un passaggio in vasche di acciaio inox.
Al naso intenso, minerale e complesso, siamo invasi da profumo di ciliegia, prugna, amarena e spezie. Al palato fresco e intenso, ben equilibrato con un tannino presente e piacevole. Persistente e fine. Un buon abbinamento sarebbe spezzatino di vitella, anche un piatto semplice come pasta a ceci.
Proseguiamo la nostra incursione nel rosso con il Langhe Nebbiolo 2019, vino propedeutico, come ci spiega Gabriele, “un vino che tutti dovremmo bere prima di avvicinarci al Barolo – continua con note di degustazione – presenta trasparenze tipiche del vitigno e una presenza tattile e di gustativa molto importante, con trama tannica matura e bella”. Per la sensibilità di Gabriele questo vino “diventerebbe un mazzo di fiori più che una cornucopia di frutta”.
A questo punto apriamo il Barolo, Briccolina che come ci spiega Gabriele è un “singolo vigneto di un ettaro in Serralunga d’Alba, degustiamo annata 2011, annata di riferimento nella reale di Langa, dove avviene un ciclo vegetativo di quasi 180 giorni e qui si vede la grande resilienza di Nebbiolo da Barolo, qui sentiamo come le difficoltà sono addolcite col tempo, con raccolta manuale, da piante vecchie e l’unico dei Barolo che matura in barrique di rovere francese di primo, secondo e terzo passaggio – continua l’analisi – rosso granato che vira verso il mattonato, dato dal tempo che concentra la trasparenza cangiando dal punto di vista cromatico. Incontriamo al naso frutta rossa, note terrose, tipiche di Serralunga, infatti qui siamo in un terreno calcareo molto ricco in prossimità delle montagne e a 70 km il mare. Un microclima unico. In bocca ha la solarità del 2011, un’annata che rispecchia armonia e regala un vino integrato dal punto di vista gustativo”.
Per terminare questa bellissima serata di gusto ed eleganza, Gabriele ci presenta il Moscato Cà d’la Rei, “un cru di moscato d’Asti, della bellissima annata 2020 che grazie alle tecniche diventa un Moscato dolce naturale, con nulla di addizionato, prodotto nei 16 ettari a Serralunga d’Alba, con vendemmia manuale a fine agosto”. Un vino semplice di 5,5 gradi che Batasiolo decide di spumantizzare all’occorrenza, lasciandolo nel frattempo a zero gradi, perché un vino con questa gradazione, con il tempo, potrebbe deteriorarsi e inficiare sulla performance gustativa. Per questo il prodotto sarà sempre pronto e bevibile, inoltre non è Moscato stucchevole, c’è una bella acidità nella gustativa, una nota naturale sul palato e una dolcezza bilanciata. Abbinamenti versatili come panna cotta o frutta tagliata, oggi lo degustiamo con crostata ai frutti di bosco secca e tranquilla.
Un itinerario ricco, denso e difficile da dimenticare, che avrà una sua reale e breve conclusione con l’apertura della bottiglia che abbiamo in omaggio, un Barolo Vigneto Boscareto in Serralunga d’Alba annata 2006 da degustare entro la fine dell’anno in corso.
Foto originali fornite in parte dall’azienda. Video originale di Susanna Schivardi e Massimo Casali.
A cura di Susanna Schivardi per l’intervista e Massimo Casali per la degustazione con Gabriele Pezzuto, export manager azienda Beni di Batasiolo.
https://www.facebook.com/sullastradadelvino.vino/
https://www.instagram.com/sullastradadelvino/
***Intervista realizzata in ottemperanza alle norme vigneti alla data del 6 dicembre 2021, in materia di emergenza Sars- CoV2
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