Editoriale di Daniel Abbruzzese – Corrispondente da Berlino
Aprire coraggiosamente la strada nella lotta contro il nemico e preparare il terreno verso una nuova normalità: è il più grande servizio che un alleato possa rendere. Ancora una volta, l’unione fra i tre paesi funziona benissimo. Ma non è il caso di cedere a inopportuni parallelismi storici.
Chiacchiere da birreria, nel passato e nel presente
Si supponga di trovarsi in una birreria, uno dei luoghi centrali della socialità a Nord delle Alpi; e si immagini di trovarsi un un momento storico in cui la presentazione di un documento d’identità e di un pass non facevano ancora parte della nuova normalità. Prevedibilmente, nel giro di poco si sarebbe entrati in contatto con degli estranei, iniziando a raccontare di sé e commentando i temi di maggiore attualità. Una volta esauriti gli argomenti, complice l’alcool, sarebbe stato molto probabile trovarsi confrontati con un repertorio di battute sul Terzo Reich e sul fascismo. Le più frequenti riguardavano di norma il senso di colpa, ma anche i rapporti fra gli alleati di un tempo: i tedeschi, che prendono sempre tutto troppo sul serio, gli italiani, inventori del fascismo ma perennemente inaffidabili, gli austriaci, veri e propri campioni delle public relations, che sono riusciti a rivendere il loro paese come quello che ha dato i natali a Beethoven ed è stato poi invaso dal tedesco Hitler. Era proprio la possibilità di fare ironia su quel momento storico a dare la certezza che un sistema totalitario, nel Nordeuropa, non avrebbe potuto ripetersi. E soprattutto, in un’epoca in cui la quantità di informazioni ci permette un controllo continuo su ciò che sta avvenendo, sarebbe impossibile non accorgersi di un’involuzione autoritaria nella nostra società. Anche se non mancano alcuni elementi preoccupanti in ciò che sta accadendo negli ultimi mesi, nessun medium affidabile ci ha ancora annunciato la presa del potere da parte di partiti autoritari.
Il XX secolo ci ha lasciato la consapevolezza che nessuna categoria di persone potrà più essere discriminata per razza, religione, orientamento sessuale o per le sue opinioni. Il XXI ci sta insegnando che il singolo esiste solo in relazione ad una comunità, le cui regole, pur evolvendosi velocemente, sono di una tale semplicità e hanno una tale visibilità da avere un carattere assoluto. E dunque, quand’anche (come sta avvenendo a Berlino in questi giorni) si vietasse ai senzatetto di pernottare nelle stazioni se sprovvisti di certificato vaccinale o di test negativo, o si imponesse ai clienti di un centro commerciale di indossare un braccialetto all’ingresso per certificare il proprio status vaccinale, sarebbe inopportuno ravvisare similitudini con il passato, o supporre la realizzazione di uno scenario distopico.
Resta tuttavia difficile capire la logica che sottende a queste regole. La politica prova a spiegare che si tratta di misure a tutela della popolazione, del commercio e, nel caso dei clochard, di regole varate a malincuore, ma ben motivate. La maggioranza della popolazione, che, grazie a due dosi di vaccino, dall’autunno è tornata a vivere in una nuova normalità, in un ipotetico discorso in birreria, o sui social media, spiegherebbe che le regole sono regole e devono essere rispettate; e affermerebbe che, sussistendo un obbligo morale al vaccino, è giusto che chi non è stato abbastanza solidale con i suoi simili ne patisca le conseguenze. La sparuta minoranza di individui renitenti a questo obbligo morale, ormai esclusa dalla vita sociale (“Ihr seid raus!”, ha dichiarato ultimamente il governatore del Saarland Tobias Hahn), potrebbe obiettare che c’è poco di solidale in un farmaco che non garantisce l’immunizzazione da un contagio. Ma per fortuna, tali individui si esprimono ormai solo in ambito privato. Anche le manifestazioni, fino ad ora considerate un diritto talmente indiscutibile da non necessitare di un’autorizzazione da parte della polizia, per loro sono spesso vietate. E nei democratici spazi del Metaverso, le loro strampalate idee vengono prontamente censurate dai fact-checkers, che si stanno preparando per vigilare anche sui canali Telegram.
Berlino chiama Vienna, entrambe chiamano Roma.
Nei mesi di ottobre e novembre, in Germania ed in Austria si è assistito ad un precipitare degli eventi: a Berlino un nuovo governo, sostenuto da una coalizione inedita nella storia tedesca, è stato creato a tempi di record, andando a chiudere definitivamente l’era di Angela Merkel; a Vienna si sono avvicendati tre governi, quello Kurz, costretto allo scioglimento per accuse di corruzione, e quello Schallenberg, cui è seguito, nel giro di pochi giorni, l’esecutivo a guida Nehammer. Alexander Schallenberg ha motivato le sue dimissioni con la necessità di “riunire velocemente in una sola figura il ruolo del capo di governo con quello del capo del partito di maggioranza”. La motivazione suona decisamente come una dichiarazione di circostanza, ma ricorda da vicino il modo in cui ultimamente diverse figure pubbliche in Germania, dopo aver caratterizzato le decisioni prese dal governo negli ultimi mesi, sono uscite di scena in silenzio.
Austria e Germania sono accomunate ancora di più da un’altra dinamica: in un periodo di instabilità politica, in cui non è del tutto chiaro chi sia responsabile per determinate scelte, se il governo, il parlamento o le commissioni parlamentari, le misure draconiane vengono varate ad un ritmo compulsivo, battendo sul tempo ogni dibattito sulla loro effettiva utilità. Per entrambi i paesi, il modello di riferimento nella lotta al virus è l’Italia, come ha sottolineato la cancelliera uscente: le regole del 3G (accesso garantito a vaccinati, guariti e testati) e 2G (vaccinati e guariti), in vigore dalla scorsa estate, sono diventate la base per un green pass ispirato alla normativa italiana, da oltre un mese applicabile ad ogni campo della vita quotidiana, dal lavoro al tempo libero al trasporto pubblico. In Austria, esse hanno reso possibile un lockdown destinato ai soli non vaccinati, che si è evoluto in un disegno di legge per un obbligo vaccinale generale.
E proprio in questi giorni stanno emergendo dettagli su come tale obbligo dovrà essere applicato: multe fino a 2.000 euro per ogni invito alla vaccinazione ignorato, carcere fino ad un anno per chi si rifiuti di pagare le sanzioni; il periodo di detenzione sarà da scontare in strutture separate da quelle carcerarie, i costi per il soggiorno a carico del detenuto. Prima ancora che si potesse profilare l’illegittimità di questa norma, la Commissione parlamentare per gli Affari Costituzionali si è affrettata a dare il suo assenso, provvedendo a rivedere in maniera massiva la legislazione in materia di applicazione delle sanzioni. Solo successivamente il disegno di legge è stato presentato ai media e alla cittadinanza. È da notare un dettaglio importante: l’obbligatorietà sarà effettiva solo per i cittadini austriaci. Non si può infatti rischiare che la manodopera a basso costo importata dai Balcani e dall’Europa dell’Est, profondamente scettica verso i trattamenti sanitari sperimentali, pianti in asso la fiorente economia del paese di Beethoven.
La legge varata dall’esecutivo Schallenberg prima delle dimissioni, che entrerà in vigore il prossimo febbraio, ha subito entusiasmato una metà abbondante dei tedeschi, stando ai sondaggi. E dunque, il cancelliere in pectore Scholz annunciava di voler prendere a modello l’Austria, appoggiato dalla maggioranza parlamentare che lo sostiene. Ma, dato che la vaccinazione di massa di almeno 13 milioni di tedeschi non sarebbe tecnicamente gestibile (soprattutto non in contemporanea con la somministrazione della terza e della quarta dose ai già immunizzati), il Bundestag si è limitato ad approvare un obbligo per certe categorie, ancora una volta seguendo il modello italiano.
Al momento, il governo centrale deve superare gli ostacoli di un sistema giuridico estremamente complesso come quello tedesco. Il modello austriaco al momento risulta inapplicabile: in Germania, un’infrazione amministrativa, come può essere il non sottoporsi ad un trattamento sanitario, non è equiparabile ad un reato penale e quindi non è punibile con il carcere. E, soprattutto, l’inviolabilità del corpo è un diritto sancito dalla Costituzione e, nel caso di un farmaco che immunizza totalmente solo per qualche settimana, sarebbe difficilmente contemperabile con un principio di pubblica incolumità.
Non c’è però dubbio che, fra i numerosi professionisti della politica, non manchino al Bundestag gli esperti di diritto, che nel giro di poche ore riescano a modificare leggi fondamentali. Un esempio che, visto a posteriori, fu carico di conseguenze, fu l’equiparazione dei farmaci ad mRNA ai vaccini inattivati, affidata nel 2009 ad una legge votata nel corso di una notte da una commissione parlamentare. Erano i tempi dell’influenza H1N1, allora ancora non si intuiva quante vite i sieri a mRNA avrebbero potuto salvare, né quali sarebbero stati i loro effetti collaterali a breve e lungo termine.
Un inquietante fatto di cronaca. E qualche altra chiacchiera da birreria
Un giallo ha turbato la nuova normalità dell’inverno berlinese. In una casa, poco distante della capitale, sono stati ritrovati cinque cadaveri: un’intera famiglia sterminata a colpi di arma da fuoco. La polizia ha inizialmente sospettato una lite fra vicini, ma è bastato indagare sulle attività online del padre di famiglia, per scoprire che si era fatto affascinare da teorie del complotto, cadendo nella rete dei Querdenker (quelli che pensano in maniera obliqua, letteralmente, più o meno traducibile con l’italiano no vax). Il signore in questione, pressato dai controlli sul posto di lavoro, aveva falsificato il green pass della moglie. Vistosi scoperto, aveva iniziato a temere ulteriori sviluppi penali e, preso dal terrore, ha sterminato la famiglia. Qualche complottista ha sporto denuncia nei confronti del governo Scholz, ritenuto responsabile di istigazione al suicidio. Unanime si è fatto sentire lo sdegno dal mondo normale: la responsabilità dell’omicidio-suicidio è solo e soltanto dell’autore del gesto, che si sarebbe fatto prendere immotivatamente dall’angoscia e da deliri infondati. Appunto, la nuova normalità ci sta insegnando questo: anche la pietà per i morti è condizionata dal loro aderire o meno alla comunità.
Altri insegnamenti ci arrivano dal mondo dei media: quello che in molti definiscono come uno spaccamento della società non è che un volontario distaccamento di una minoranza dal buonsenso. A surrogare questa tesi ci sono abbondanti similitudini con la patente, le gomme da neve ed altre amenità di estremo rigore logico.
Sarah Bosetti, famosissima presentatrice TV e scrittrice, sostiene invece che la spaccatura nella società non solo sia reale, ma addirittura auspicabile: essa si produrrebbe infatti “in basso a destra” (il riferimento è al supposto orientamento politico dei non vaccinati), come l’appendicite, un organo inutile per il corpo umano nel suo complesso. Che l’accostamento suonasse testualmente come una delle metafore più in voga nel Terzo Reich non ha turbato molto la nazione. Anzi, ha spalancato le porte ad un darwinismo sociale che sta diventando uno dei tratti distintivi dei discorsi del quotidiano. E dunque, reclusione, castrazione, lavori forzati, esecuzioni sommarie sono termini che affiorano sempre più spesso nella parte sana della società: in queste opportunità si vede la soluzione ad un problema, quello dei non vaccinati, che ancora ostacola un totale ritorno alla normalità.
D’altra parte, la proposta di accollare le spese per l’ospedalizzazione a chi rifiuta il vaccino era già un primo passo verso una società in cui il singolo deve essere disposto a pagare col suo corpo l’appartenenza alla società; se non è disposto a farlo, è indiscutibilmente legittimo che egli resti escluso dalla comunità.
Insomma, non c’è niente di preoccupante, in questa nuova normalità. Dopotutto, si ripete instancabilmente, ci troviamo in una pandemia di proporzioni mai viste. E questo è abbastanza per precipitare nella hybris senza pensare troppo al passato.
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