Intervista del direttore responsabile Emilia Urso Anfuso
Ho intervistato Vittorio Feltri sul caso “patata bollente”, il titolo apparso su Libero il 10 Febbraio 2017, che introduceva all’articolo di Feltri che affrontò il tema delle tante disavventure in cui si stava aggrovigliando Virginia Raggi, sindaco di Roma, tra le accese polemiche sulle sospette nomine in Campidoglio.
La Raggi all’epoca era indagata per abuso di ufficio in relazione a una serie di nomine, tra le quali quella di Renato Marra, fratello del suo ex braccio destro Raffaele, che era stato messo a capo del dipartimento del Turismo del Campidoglio, e di Salvatore Romeo, che da semplice dipendente comunale con uno stipendio di 39.000 euro lordi annui, era salito di livello in un nanosecondo grazie alla nomina a segretario generale, incassando un contratto di tutto rispetto: 110.000 euro l’anno di stipendio, poi abbassati a 93.000 dopo l’intervento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione)
Durante le indagini si scoprì che Romeo aveva fatto modificare il nome del beneficiario di una polizza sulla vita attivata da qualche anno, chiedendo alla compagnia di inserire quello della Raggi.
Questo particolare fece scattare un dubbio al procuratore aggiunto Paolo Ielo e al sostituto Francesco Dall’Olio, che cercarono di comprendere se il salto di livello di Romeo e la polizza vita col beneficiario modificato all’improvviso, avessero qualche legame. La Raggi dichiarò di essere beneficiaria della polizza, ma “a sua insaputa“.
Ecco di cosa trattava l’articolo con il titolo ritenuto gravemente ingiurioso da parte del sindaco capitolino, che non ci pensò due volte prima di presentare una querela.
Situazione un po’ particolare, a pensarci bene, in considerazione del fatto che la Raggi è componente dello stesso partito che ha lanciato i “Vaffa Day” e che, attraverso il leader Beppe Grillo, ha massacrato a colpi di ingiurie e liste di proscrizione la categoria dei giornalisti. Non mi risulta che colleghi abbiano mai sporto una querela contro Grillo ma posso sbagliarmi. Io decisi di oscurare il M5S col silenzio stampa che mantenni per 6 anni e fino al giorno in cui salirono al governo. Trovai coerente la mia decisione in considerazione del fatto che all’epoca il M5S dimostrava, almeno a parole, tanta ostilità nei confronti di noi giornalisti. Li accontentai smettendo di rendere edotti i lettori sulle loro gesta.
Tornando alla “patata bollente“, a 4 anni dall’episodio ecco arrivare la richiesta del PM di Catania: una condanna a 3 anni e 4 mesi, oltre al pagamento di una multa di 5.000 euro, per Feltri, e 18 mesi di reclusione per Pietro Senaldi, direttore responsabile di Libero.
La questione merita l’attenzione generale, in quanto la richiesta del PM appare inopportuna anche per il ruolo che Feltri ricopriva e ricopre in redazione: quello di direttore editoriale, diverso – anche giuridicamente – da quello di responsabile.
Inoltre, di recente la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza che conferma come una simile richiesta di condanna contro Feltri sia inopportuna in relazione ai fatti accaduti.
Il 5 Ottobre sarà emessa la sentenza di primo grado.
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Sulla Treccani, alla voce “Patata”, tra le altre definizioni si legge “p. bollente, problema delicato, scabroso, di difficile soluzione, spec. nella frase passare ad altri la p. bollente”. Si stratta di censura o di scarsa conoscenza della lingua madre?
Purtroppo, quelli che consultano la Treccati costituiscono una minoranza e ignorano il significato di molte espressioni. La censura è ormai una pratica diffusa.
In Italia si fa confusione tra il ruolo di direttore responsabile e direttore editoriale: all’epoca del titolo in questione eri già direttore editoriale e Senaldi direttore responsabile. A livello giuridico non sei tu l’eventuale “reo”. Sembra più un attacco alla persona con il sostegno della magistratura…
Io da anni sono direttore editoriale ma le procure non leggono la gerenza dei giornali e mi attribuiscono il ruolo di responsabile.
L’articolo 595 del c.p. sostiene la richiesta del PM di Catania di infliggerti addirittura la pena del carcere per 3 anni e 4 mesi, oltre alla sanzione pari a 5.000 euro. Il reato di diffamazione a mezzo stampa, per giungere ai massimi livelli di pena prevista deve essere reiterato, cosa che non è avvenuta
Il PM di Catania non ha evidentemente letto la ***sentenza della Corte Costituzionale contraria alla galera per i giornalisti.
Nel 2017, dopo la pubblicazione dell’articolo incriminato, fu Grillo a lanciare una campagna contro di te e contro Libero: probabilmente se non lo avesse fatto, la Raggi non avrebbe scatenato l’inferno…
Non ricordo la campagna di Grillo contro di me. Io se dovessi scegliere tra la Raggi e un cinghiale sarei in imbarazzo.
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***La sentenza della Corte Costituzionale a cui si riferisce Feltri è quella emessa il 12 Luglio 2021 – sentenza 150/2021 –
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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