Di Rino Sciuto – Luogotenente del ROS in congedo
E’ tempo d’autunno ed è tempo di inizio della stagione televisiva. Una stagione iniziata da pochi giorni, ormai, una stagione iniziata con botti da gran finale, ricchi premi e cotillon e anche tanto nulla e tanta ostentata approssimazione. Una miriade di trasmissioni, tutte autoproclamate specializzate, che si occupano di cronaca.
Fanno bene, è giusto. Non è giusto, e questo lo dico io, da specializzato, esagerare con le investigazioni, queste fatele fare a chi ne ha davvero le capacità e le funzioni. L’inizio è stato tutto dedicato a Denise Pipitone, Roberta Ragusa, Viviana e Gioele, casi che per forza di cose attirano l’attenzione e, di conseguenza, generano share e ascolti. Perché, parliamoci chiaro, è solamente lo share quello di cui hanno bisogno queste trasmissioni.
E la gente ci casca. Ci propinano ipotesi ipotizzabili (avete capito bene, praticamente il nulla), attirano il telespettatore e lo fanno capitolare nel baratro del niente. Quasi quasi anche io, l’altra sera, stavo cadendo nel tranello. Non ricordo su quale rete ero andato a finire (facevo zapping e non ero fisso su una di esse) e mi è capitato di assistere ad un collegamento dal porto di Mazara del Vallo, da dove l’inviato, in merito alla vicenda Denise, narrava “…e così Denise potrebbe essere stata messa su una nave per essere portata a Tunisi”.
“E grazie”! ho esclamato. Allora, non perché su un’altra nave e portata altrove o su di un aereo e portata in un altro posto? Mi chiedo perché questo accanimento mediatico, il perché di questa spettacolarizzazione dei casi, perché, poi, dare precedenza a un caso e non ad un altro?
Cosa c’è effettivamente dietro? Ci sono tantissime persone scomparse in Italia, Denise Pipitone, però, sembra essere diventato IL caso nazionale. Credo si stia uscendo un tantino fuori dalla carreggiata, credo si stia dando illusione (per carità, la speranza è l’ultima a morire e ce lo auguriamo tutti di ritrovare Denise), ma abbassare la voce, in alcuni casi ritengo sia segno di maturità giornalistica. Anzi, e questo è un suggerimento, dovrebbero essere gli stessi interessati a pretendere una regolazione ottimale dei decibel generati da questi servizi.
Noi dobbiamo riflettere bene, o forse basta solamente riflettere normalmente: ma ci rendiamo conto che il caso Denise è stato riaperto a seguito della vicenda relativa ad Olesya Rostova? Ci rendiamo conto che la eco generata da una trasmissione russa sia riuscita ad arrivare in Italia, a Mazara del Vallo, consentendo la riapertura delle indagini? Indagini che ancora non si sa dove porteranno gli investigatori. Tre sono le strade, tre le possibilità, il rinnovarsi di un dolore immenso (purtroppo è così, non possiamo girarci intorno, con la conferma della possibile uccisione della piccola Denise), il ritrovamento della signorina (e questo oltre a tanta felicità porterebbe il rammarico di non aver potuto vivere la fanciullezza assieme ai suoi cari), la conferma del trasferimento in un luogo imprecisato della bambina con esclusione di ogni possibilità di ritrovamento.
Invece no, anche quei giornalisti che, apparentemente, sembrano più seri e meno spettacolarizzanti di altri, si rivelano tali e quali agli squali delle telecamere d’inchiesta. Volendo dare un abbuono, comunque, volendo credere al fatto che si adoperino davvero per aiutare le famiglie, creano sicuramente pressione a chi al caso lavora veramente, ossia alla magistratura e alle forze dell’ordine.
Un operatore di polizia, e questo lo dico con cognizione di causa e nessuno di questi signori può venirmi a dire il contrario, che opera con queste pressioni mediatiche, può anche non rendere bene. Potrebbe isolarsi, è vero, ma se poi, vede ovunque la pubblicazione di notizie riconducibili a immaginazioni o a miraggi collettivi, capite da soli che si crea un disagio interiore. E il consiglio di attenuare la voce va anche ai familiari, i quali pensano, inconsciamente, che smuovere continuamente le acque possa portare buone nuove. Occorre essere obiettivi e dire che, purtroppo, non è così. Gli unici a beneficiare di tutto questo bailamme sono le televisioni, le trasmissioni, i loro conduttori.
Ho parlato, all’inizio, anche del caso Roberta Ragusa, un caso sempreverde, un caso che fa sparlare anche certi giornalisti, e non solo, la cui loro prerogativa è solamente quella di avere una poltrona fissa.
In merito a Roberta Ragusa, caso che io conosco molto bene avendo fatto parte del team investigativo, vi assicuro che ho sentito di tutto e di più, cose inverosimili, cose che offendono il ricordo della povera Roberta, cose che offendono il lavoro di noi investigatori, cose che offendono l’intelligenza umana, cose che offendono i parenti.
Loris Gozi attendibile, Loris Gozi inattendibile, il compagno di cella che raccoglie le confessioni di un Loris pentito. Ricordo che quella notte tra il 13 e il 14 gennaio del 2012, quella scena non fu vista solamente da Loris Gozi. Un’altra signora, persona che io ritengo attendibilissima nella sua umiltà (anche se non posso giudicare a livello giudiziario) vide quella scena e la riferì alla stregua di Loris Gozi.
La sua testimonianza, per via di talune problematiche che non posso rivelare, non fu ammessa nel processo e oggi stiamo parlando ancora di revisione. Chi, come, quando, e perché?
Per quanto concerne, poi, Viviana e Gioele, la mamma e il suo povero angioletto di pochi anni, deceduti a Caronia (ME), devo dire che sto apprendendo di una serie di botta e risposta tra le parti interessate, si va dai consulenti che cristallizzano e danno per buono il loro operato (e ci mancherebbe), alla stessa magistratura, al marito, alla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche in cui, proprio il marito, pare parlasse di tariffari per le apparizioni tv. Questo, qualora fosse vero, è un altro male di questa televisione d’inchiesta, di questa televisione da speculazione, di questa televisione a convenienza.
Non voglio dilungarmi ulteriormente, ma solo sottolineare che stiamo vivendo in un mondo televisivo, in un mondo mediatico palesemente malato che deve, per forza di cose, essere sottoposto a terapia d’urto per evitare che la gente venga condotta negli sprofondi del nulla
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