Germania: dopo Angela, il diluvio?

Germania: dopo Angela, il diluvio?

Di Daniel Abruzzese

Quindici anni di Angela Merkel, di miracolo economico e di relativa pace sociale in Germania volgono al termine. Ma l’addio della Cancelliera, che fino a pochi mesi fa inquietava tutta l’Europa, in Germania inizia ad essere percepito con sollievo.

“La Germania deve prepararsi ai tempi più difficili dall’ultima guerra”, aveva dichiarato Angela Merkel immediatamente dopo la sua nomina nel 2005. La frase era stata ben presto offuscata dal più celebre “Voglio servire la Germania”, il motto del suo mandato, all’inizio recepito con sarcasmo irritato dagli elettori. Ma, si pensava allora, ci si sarebbe presto sbarazzati di questa ex ragazza dell’Est, arrivata chissà come a prendere il posto di Helmut Kohl e di Gerhard Schröder. E dunque, qualche scivolone verso il kitsch era tollerabile.

C’erano poi stati i mondiali del 2006, con la Cancelliera che presenziava alle partite e azzardava qualche battuta insipida, a garantirle una diffusa simpatia. E negli anni successivi, l’allure autorevole, e i radicali cambi di posizione: sul tema del nucleare, sulle riforme fiscali, sui matrimoni omosessuali – quei ripensamenti che si perdonano sempre a chi dirige una nazionale di calcio, quando la sua squadra dà ottimi risultati. Perché appunto, i tre lustri di governi Merkel sono stati anche e soprattutto gli anni del miracolo economico tedesco; o di quello che i governi della Große Koalition sono riusciti a rivendere come tale, anche all’estero. Di fatto, la diffusione di un’atmosfera positiva nella nazione, sostenuta dal motto per eccellenza della Cancelliera, “Wir schaffen das” (ce la possiamo fare), ha convinto i tedeschi che il miracolo economico non riguardasse solo una minima parte ella popolazione.

A ben vedere, la solidità del sistema tedesco si basava su un abbassamento dei salari in atto da anni, un sistema di assistenza sociale profondamente riorganizzato, un abile gioco di equilibri di politica internazionale e, naturalmente, una spregiudicata politica dell’export verso i paesi più deboli della zona Euro.

Mentre all’estero Angela Merkel veniva rappresentata come l’inflessibile custode dei meccanismi finanziari europei, in Germania è rimasta la madre apprensiva, che cerca di evitare al figlio ogni scossone traumatico. Difficile per i tedeschi immaginare Mutti imporre a tutta l’Europa delle inflessibili politiche di austerità, lei che in patria difficilmente prendeva posizioni nette. E poi, l’austerità, a nord delle Alpi, era una condizione familiare almeno dai tempi del governo Schröder.

Agenda 2010 e privatizzazioni: la Germania come precursore dell’austerità

Era stato sotto il governo rosso-verde che si era dovuto ripensare tutto il sistema di previdenza sociale, divenuto insostenibile nell’era della globalizzazione. Si diede quindi il via ad un vasto programma di privatizzazioni, che coinvolse anche il settore pensionistico e quello sanitario.

Ma soprattutto, risale al governo Schröder la riforma del mercato del lavoro, varata come Agenda 2010 e più nota come Hartz-IV. I centri per l’impiego, liberati da ogni farragine assistenziale, furono riconvertiti in agili punti di smistamento per il mercato del lavoro. Fördern und fordern era il motto dei Job Center: alla lettera, sostenere ed esigere. Al singolo spettava dunque di dimostrare la sua necessità di sostegno economico, presentando allo sportello ogni dettaglio della sua situazione finanziaria, ma soprattutto dimostrare la sua motivazione a lavorare, a qualsiasi condizione, pena la perdita di aiuto da parte dello Stato. Spuntarono migliaia di posti di lavoro pagati un euro all’ora, poi gradualmente sostituiti da contratti a 400 euro al mese (a cui si aggiunge un’integrazione da parte del Job Center, per raggiungere uno standard di vita accettabile). Senza dubbio, questo serbatoio di manodopera a basso costo è stato uno dei principali motori dell’economia tedesca nell’ultimo ventennio. A posteriori, inoltre, queste riforme controverse si sono dimostrate essere il modo più rapido per ricompattare due sistemi socio-economici rimasti separati per oltre quarant’anni.  Ma è altrettanto certo che la riforma dell’Agenda 2010 ha portato all’impoverimento di vasti strati della popolazione.

Soprattutto, le riforme del governo Schröder hanno assolto ad un altro compito, quanto mai significativo se rapportato al presente: hanno instillato l’idea che la responsabilità della carriera professionale risieda solo nelle mani del singolo, e che quindi stia a lui dover dimostrare continuamente la propria buona fede. Non stupisce che il beneficiario di Hartz-IV sia diventato lo stereotipo negativo per eccellenza nella società tedesca: di solito residente in Germania Est, di basso livello culturale, consumatore di alcool e facile preda dei partiti populisti. Insomma, uno spauracchio apotropaico che dimostra la sostanziale giustizia di una società in cui i passaggi di classe sono molto rari.

Il grande miracolo tedesco, o il sonno della bella addormentata

Per quanto il sistema formativo in Germania garantisca un’altissima specializzazione e dia a chiunque l’opportunità di continuare a formarsi fino ad età avanzata, per il tedesco medio è infatti impossibile aspirare ad una condizione sociale diversa da quella in cui è nato. In molti Bundesländer, gli studenti si trovano al più tardi a tredici anni a scegliere il percorso professionale che seguiranno, anche grazie al fatto che il passaggio fra scuola e mondo del lavoro avviene di solito in maniera diretta.

Allo stato attuale, lo stipendio netto medio in Germania ammonta a circa 2.000 euro mensili, che farebbero pensare ad una relativa sicurezza economica per la maggior parte della popolazione. Eppure, il fatto che gli stipendi negli ultimi venti anni abbiano avuto un incremento esiguo a fronte di un aumento sostenuto del costo della vita dimostra anche che a questa sicurezza si accompagna una sostanziale mancanza di prospettive per il futuro. Al di là dell’introduzione dell’euro, che ha prodotto in Germania effetti simili all’Italia, il ceto medio si è dovuto confrontare un forte aumento degli affitti; e, vivendo la stragrande maggioranza della popolazione in affitto, è facile immaginare quali siano state le conseguenze e perché le città tedesche siano diventate terreno di caccia per i grandi gruppi finanziari.

Ai costi già citati sono andati via via a sommarsi spese aggiuntive che incidono notevolmente sui bilanci familiari: l’assicurazione sanitaria, dal 2009 obbligatoria per tutti i residenti, con costi che partono dai 200 euro mensili, gli aumenti delle tariffe energetiche, motivati dalla svolta ecologica dei governi della grande coalizione, un esoso canone TV applicato ad ogni famiglia, polizze assicurative e balzelli vari. Ad incrementare un senso di insicurezza nel ceto medio c’era anche la sensazione che nemmeno gli investimenti dello Stato nelle infrastrutture avessero risentito del miracolo economico. Negli ultimi venti anni, pochissimo è stato fatto per ammodernare una rete stradale e ferroviaria in molti punti obsoleta, né per la telecomunicazioni (ampie regioni rurali sono quasi tagliate fuori dalla rete mobile e da internet). Ma soprattutto, ciò che ha diffuso un’inquietudine crescente in moltissimi è stata l’abitudine della politica a presentare ogni evento come un’emergenza a cui inevitabilmente si accompagnavano rinunce, che si trattasse di ondate migratorie, crisi finanziarie nella zona Euro o eventi atmosferici di particolare violenza.

In Germania lo Stato rappresenta da sempre un’istanza morale indiscutibile, mentre i malumori e la sfiducia si rivolgono spesso alla classe politica, verso cui tradizionalmente si nutre una certa diffidenza. Pochi sono stati i cancellieri che sono riusciti a farsi identificare con l’idea stessa di Stato, riscuotendo un appoggio quasi totale da parte delle masse. Fra questi, nel dopoguerra, vi sono indubbiamente Konrad Adenauer, Helmut Kohl e Angela Merkel. Fino a pochi mesi fa, ci si preparava all’uscita di scena della prima cancelliera donna come ad un congedo da un’idea di Germania, certi che nessuno avrebbe potuto sostituirla. Ma in questo addio, preparato come una sceneggiatura, con attori ottimi nel ruolo di colui o colei che non vuol prendere il posto del predecessore, qualcosa non ha funzionato. Tanto che dalla scorsa primavera le uscite pubbliche di Angela Merkel si sono fatte sempre più sporadiche.

Il tramonto di una Cancelliera, o un brusco risveglio

Agli scandali i tedeschi sono abituati, tanto che le storie dei politici costretti a dimettersi sembrano più materiale da satira che non da giornalismo d’inchiesta. Che il ministro degli interni nel febbraio del 2020 avesse chiesto al Robert Koch Institut di elaborare modelli epidemiologici per giustificare le misure restrittive, o che il ministro della sanità abbia ordinato una enorme fornitura di mascherine alla ditta per cui lavorava il marito, per poi renderle obbligatorie sui mezzi pubblici, non ha turbato nessuno. Neanche la notizia che i dati delle terapie intensive, su cui si orientavano le chiusure e le limitazioni di contatti, fossero ritoccati ampiamente al rialzo (con grandi guadagni per le aziende ospedaliere), ha provocato grandi scossoni nell’opinione pubblica. Certo, si diffondeva la sensazione che qualsiasi misura intrapresa dal governo per arginare la pandemia non avesse effetti, e che si procedesse per tentativi maldestri, ma in genere non si dubitava della buonafede dell’esecutivo.

L’evento traumatico si è prodotto a ridosso della Pasqua, quando, dopo aver ordinato una chiusura totale di tutte le attività, comprese quelle essenziali, la Cancelliera si è presentata in televisione per ritirare il decreto e chiedere scusa alla nazione per aver pensato ad un passo così azzardato. Di fronte all’arroganza con cui la politica risponde di solito agli scandali, l’assunzione di responsabilità da parte della Merkel è apparsa come il crollo anticipato di un’epoca. Ad un tratto, tutti i sacrifici e le rinunce che aveva richiesto alla popolazione sono apparsi a molti come madornali errori di valutazione da parte della Cancelliera, suggeriti da una basilare mancanza di idee.

Ma forse, ancora più importante di questo episodio è stato un fatto inedito nella storia del Dopoguerra: la Bild, il tabloid più letto in Germania, tradizionalmente conservatore e vicino alla CDU (ma anche a settori della grande industria), si è reinventata come quotidiano critico. Il giornale diretto da Julian Reichelt si è lanciato spessissimo in feroci critiche alle politiche di contenimento della pandemia, evidenziando come gli inviti al sacrificio fossero troppo ricorrenti e proseguissero in maniera inquietante anche nei proclami elettorali dei papabili successori della Merkel. In particolare, il tabloid prendeva di mira la candidata dei Verdi, Annalena Baerbock, fino ad aprile data per favorita: determinata sostenitrice di città senza auto ed aumenti esponenziali dei prezzi dei carburanti (pur non avendo idea dei prezzi correnti della benzina), promotrice di nuove fonti energetiche (ma ignara del fatto che buona parte degli impianti eolici siano ormai in via di smantellamento, causa obsolescenza), favorevole all’introduzione di nuove tasse (pur non sapendo che il sistema fiscale in Germania ha struttura federale e non centrale). La mancanza di idee concrete della Baerbock ricordava un decadimento del piglio dirigista della Merkel degli ultimi mesi, la sua arroganza nel ribattere alle accuse l’atteggiamento intransigente del governo attuale. Il tutto, nella prospettiva di una ventura emergenza climatica, assumeva i colori di un incubo fin troppo ripetitivo.

L’estate, tormentata da proteste contro le misure di contenimento della pandemia, spesso represse violentemente dalla polizia, è stata scossa anche da rivolgimenti nei sondaggi. La CDU, dopo un quindicennio di consensi crescenti, è scivolata ad un misero 20%, sorpassata dagli alleati socialdemocratici. Pare che il successore alla Cancelleria sarà Olaf Scholz, attuale ministro delle finanze, che probabilmente guiderà un nuovo governo di coalizione. Non che il socialdemocratico sia mai risultato molto simpatico agli elettori, né le sue proposte risultano particolarmente incisive. Ma è proprio questo a fare di Scholz il miglior surrogato di Angela Merkel.

Ad ogni modo, il 26% che gli viene attribuito suggerisce anche quanto la società sia divisa: da una parte chi crede che non si possa che governare con misure draconiane, dall’altra chi vuol credere che una normalità che ricordi il passato sia ancora possibile. Non è da escludere che in molti diserteranno le urne, disincantati dallo svuotamento dei processi democratici a cui si è assistito negli ultimi due anni. Fra di essi, molti sono quelli hanno avuto esperienza diretta del socialismo reale e riconoscono sempre più nell’attualità un’atmosfera familiare.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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