Iran: la questione tossicodipendenza

Iran: la questione tossicodipendenza

Di Jean-Pierre Filiu 

Quando sono entrato nella polizia, c’erano un milione di tossicodipendenti in Iran. Oggi sono sei milioni e mezzo”, nota amaramente un agente anti-narcotici in “La legge di Teheran”, un film scioccante attualmente sugli schermi. “Sì, ma se non ci fossimo stati, sarebbero venti milioni”, ribatte il collega. Questi dati, anche se discutibili, in assenza di statistiche ufficiali in materia, illustrano comunque una realtà schiacciante per un Paese di 83 milioni di abitanti. Secondo “Le Monde”, il regista e sceneggiatore de “La legge di Teheran”, “Saeed Roustayi rivela un mondo sconosciuto, insospettato, senza precedenti nel cinema”, tra l’altro perché ha girato alcune scene con dei veri tossicodipendenti. Successo popolare in Iran nel 2019, il film rivela all’estero la portata della dipendenza di massa che la Repubblica Islamica è finalmente costretta ad ammettere, se non riesce a contenerla.

Una lunga storia con l’oppio
Il consumo di oppio, ingerito in forma solida o liquida, è storicamente attestato da secoli in Persia, tanto che lo Scià Ismail II si fece trascinare, nel 1577, da una fatale overdose. Ma fu solo nel 1955 che i primi casi di dipendenza da eroina furono curati negli ospedali di Teheran. L’oppio e i suoi derivati ??furono banditi quell’anno, con una pena detentiva di dieci anni per possesso di 50 grammi di oppio. Ma questa criminalizzazione porta rapidamente alla congestione delle carceri, senza arginare l’ondata di tossicodipendenza. Nel 1969, la coltivazione del papavero e la produzione di oppio furono nuovamente legalizzate sotto il presunto stretto controllo statale. Dieci anni dopo, l’ayatollah Khomeini prende il potere e dichiara haram, ovvero bandita dall’Islam, la produzione e il consumo di oppio. I tossicodipendenti, che sono già centinaia di migliaia, hanno un periodo di grazia di sei mesi, durante i quali la Repubblica islamica eroga loro la dose giornaliera. I centri di “trattamento” sono poi caratterizzati da bruschi ritiri, lavori forzati e violenze fisiche.

Khomeini equipara infatti i narcotici all'”America” ??da cui vuole sradicare l’influenza del Paese. Le accuse di traffico sono molto convenienti anche per sbarazzarsi di oppositori così criminalizzati e indirizzati alla pena di morte. L’ayatollah Khamenei, succeduto a Khomeini dopo la sua morte nel 1989, ha intensificato la repressione, con 670 “trafficanti” giustiziati nel 1991 (su 884 condanne a morte quell’anno). Mentre la produzione locale di oppio è relativamente controllata, l’oppio afghano, fonte del 90% dell’eroina mondiale, passa tradizionalmente attraverso l’Iran per raggiungere i mercati europei. Ai confini orientali con l’Afghanistan e il Pakistan, gli scontri vedono regolarmente i trafficanti armati contro le forze di sicurezza, che hanno perso quasi quattromila “martiri” dal 1979 al 2015. Nel 2018, l’ONU accredita all’Iran il 90% dei sequestri di oppio e il 20% dei sequestri di eroina in tutto il mondo. Nello stesso anno, la soglia per la pena di morte è stata ridotta da 30 grammi di eroina a 2 chilogrammi, sospendendo immediatamente mezzo migliaio di esecuzioni.

Lo sfondo di “Shisheh”
Era del 2006 quella shisheh, letteralmente “vetro”, ovvero metanfetamina traslucida, conosciuta in inglese come crystal meth (e impropriamente tradotta come “crack” nei sottotitoli di “La legge di Tehran”). Questa nuova droga, rimasta legale fino al 2010, deve il suo successo dovuto al basso costo (grazie a laboratori artigianali prodotti localmente) e alla facilità di consumo (in poche inalazioni). È servita anche nelle aree urbane dalla sua immagine “attiva”, agli antipodi degli effetti letargici dell’oppio. Di fronte a questo maremoto, la Repubblica Islamica è costretta a modificare il suo approccio esclusivamente repressivo introducendo, in una legge del 2010, una distinzione tra, da un lato, il tossicodipendente che accetta le cure e rientra nelle istituzioni sanitarie e, dall’altro invece, quello che rifiuta e si espone a una “riabilitazione” di tipo carcerario (nel 2012, 53 “pazienti” sono morti di dissenteria in uno di questi centri, gestiti da un veterano della lotta alla droga alla frontiera pakistana).

Nonostante questo sviluppo legislativo, le ONG specializzate ritengono che il numero dei tossicodipendenti stia crescendo a un ritmo tre volte superiore alla popolazione. Tale dipendenza di massa illustra crudelmente l’erosione dell’ordine morale di cui la Repubblica Islamica si era tuttavia posta a custode. In “La legge di Teheran”, un padre aiuta il suo giovanissimo figlio ad evadere lui stesso dal carcere, una madre le nasconde addosso la droga, il cui traffico fa vivere la sua casa, amici e amanti si denunciano spudoratamente, credendo di proteggersi, mentre le stesse forze dell’ordine si scambiano calunnie per meglio assicurarsi la propria promozione. La pellicola, tuttavia, non prende in considerazione la prostituzione, il cui legame con la tossicodipendenza è comunque provato. Gli iraniani più disillusi hanno forgiato un soprannome amaro per il loro paese.: Nifaqistan, Ipocristiano.

***Immagine di copertina: GdS

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