Editoriale del direttore responsabile Emilia Urso Anfuso
Da anni molti si preoccupano di voler risolvere in qualche modo la situazione del calo demografico nazionale, proponendo misure a sostegno della natalità. Altri sparano castronerie su un eventuale, quanto necessario, ricambio della popolazione attraverso l’importazione di altre etnie, che dovrebbero – a parer loro – rimettere a posto la situazione.
A ben guardare, però, sarebbe necessario riflettere su una questione diversa: migliorare l’esistenza quotidiana delle persone anziane, che ormai raggiungono età molto rispettabili anche grazie al progresso della scienza e di maggiori possibilità di curare i malanni.
Guardiamo al Giappone. Hanno il primato di nazione con la popolazione più vecchia al mondo. Vanno in pensione a 65 anni, ma se si scocciano di restarsene a casa a girarsi i pollici, possono decidere di continuare a lavorare. Perché non prendiamo esempio da loro? A 65 o 67 anni, oggi come oggi non si è affatto vecchi, semmai in là con gli anni. … frase che fa anche un effetto diverso, ammettiamolo.
Con questa storia che il futuro è in mano ai giovani, che gli anziani sono da emarginare per dare spazio alle nuove leve, ecco che si è creato un gran bordello: da un lato i molti giovani che di cambiare le sorti del mondo non hanno gran voglia, e nemmeno di lavorare da quanto apprendiamo dai dati statistici. Dall’altro lato, molti cosiddetti “Anziani da porre sulla sedia a dondolo”, che conservano una grande energia fisica e mentale, sono capaci ancora di fare e realizzare, ma non possono per limite anagrafico. In alcuni casi, ovviamente, la meritata pensione è un gran traguardo. Ma in altri casi, e non sono pochi, la sofferenza dell’entrare in pensione, pure essendo ancora persone attive e capaci, è un tema da affrontare.
Contrariamente a quanto accade da noi, gli ultrasessantacinquenni giapponesi godono del rispetto dell’intera società: l’esperienza paga da quelle parti, al punto che – a livello governativo – in considerazione del fatto che il trend di anzianità è in crescita, invece di relegare gli anziani nell’angolo più remoto della società nipponica, si pensa a come reintrodurceli, varando misure che, concretamente, mettono questo 40% di popolazione – è la percentuale degli anziani sul totale del popolo nipponico – nella condizione di restare attivi e produttivi per la società.
Da noi, invece, si è diffuso un pensiero collettivo basato su una distorsione: i giovani sono migliori a prescindere, e quindi vanno elevati e maggiormente rispettati, anche se non presentano, spesso, caratteristiche e competenze degne di attenzione. non certo per mancata volontà, ovvio, ma per un’impossibilità data dalla scarsa esperienza.
Oltre ciò, la sedentarietà imposta ai meno giovani non fa che aumentare i possibili risvolti negativi dovuti a un diverso e rallentato stile di vita. “Sei anziano, devi pure stare male, ammalarti perché da te ci aspettiamo che tu sia poco attivo. Largo ai giovani”! Che stupidaggine estrema…
Ritengo che in questa nazione, oltre a tirare lunghe discussioni sull’emergenza sanitaria in corso, sull’opportunità di sperimentare questo o quel farmaco, sia necessario e urgente varare misure a sostegno della riattivazione degli ultrasessantacinquenni. Il patrimonio culturale e di competenze lavorative, uniti alla maggiore capacità di comprensione di molte cose, elemento dovuto all’esperienza, non possono essere gettate nel secchio della spazzatura, bensì utilizzate per il bene di tutti.
Cominciando proprio a pensare al bene dei meno giovani, che non dovendo più ritenersi emarginati dalla cosiddetta “Società attiva”, potranno solo migliorare la condizione di tutti, con un notevole risparmio anche per ciò che riguarda la sanità, le politiche sociali per gli anziani e anche quelle per la famiglia.
Auspico che chi di dovere prenda nota.
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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