Di Sergio Ragaini
Spesso consideriamo le cose come immutabili e definitive. Non a caso, usiamo spesso, troppo spesso, parole come “sempre” e “mai”. Invece, la vita è un fattore dinamico, un flusso continuo, che porta sempre cambiamento. Talvolta, questi cambiamenti avvengono in maniera “discontinua”, cambiando completamente gli scenari attorno a noi.
In quel caso abbiamo due alternative: stare attaccati al passato, ormai svanito, o andare con il sorriso verso il futuro che ci attende. La prima strada porta verso la sofferenza; la seconda è invece la strada della felicità.
Me lo diceva anni fa un’amica: la vita non è un fattore statico, ma un fattore dinamico. Le cose cambiano costantemente, e le circostanze anche. Tutto è sempre in divenire.
Tiziano Ferro, nella sua celeberrima canzone “Treni a Vapore” concludeva dicendo: “E di treno in treno, di stazione in stazione, il dolore passerà”.
Credo che questo voglia dire davvero tanto. L’esempio del treno è molto interessante, perché mostra che la vita è come un treno che viaggia, sul quale siamo a bordo. Noi percepiamo il tutto come fattore statico, nel senso che siamo solidali col treno stesso, e ci pensiamo fermi.
Tuttavia, osservando dal finestrino le cose che passano vicino a noi, vediamo come in realtà tutto cambi con un flusso continuo e costante. Vediamo, quindi, come le cose vadano a mutare con continuità. Ovviamente, se da quel treno non guardiamo fuori dal finestrino, la realtà ci apparirà come un fattore statico, dove nulla cambia. Invece, come ben possiamo percepire e comprendere, le cose cambiano in continuazione, e non rimangono fissate nemmeno un momento. Ovviamente, se non guardiamo fuori dal finestrino, e rimaniamo nel nostro treno, o addirittura nel nostro scompartimento, non ci rendiamo conto nemmeno di chi sta viaggiando con noi. Basta uscire dallo scompartimento del treno (ricordiamo i treni dove questi c’erano), oppure anche dal nostro vagone, vediamo che con noi viaggia gente, che in qualche modo è parte del nostro viaggio.
Noi li vediamo momento per momento, istante per istante, e non possiamo percepire che queste persone stanno cambiando: semplicemente, le vediamo sempre uguali. Il cambiamento, infatti, è un fattore continuo, che non ci fa percepire le differenze.
Poi, osserviamo una foto di una persona, che potremmo essere anche noi stessi, magari di dieci anni prima, e la percepiamo completamente diversa.
Ecco il succo del cambiamento: le cose cambiano, attorno a noi, ma noi non ce ne accorgiamo, perché cambiano con continuità.
La vita cambia con continuità, ma, come accennavo prima, anche “a salti”. In effetti, la Meccanica Quantistica è un qualcosa di “discreto”, non di continuo: vale a dire, le cose assumono solo determinati valori, e non tutti i valori possibili. La stessa Equazione di Planck, che esprime la relazione tra energia e frequenza, dice chiaramente che l’energia si propaga “a pacchetti”. Anche una particella assume solo determinati livelli di energia: gli altri, per così dire, sono di fatto “proibiti”.
I cambiamenti spaventano, talvolta, proprio perché sono “discontinui”. Se ne parlava addirittura in un convegno di Architettura tenuto a Lecco, verso la fine del 2019. Stavo partecipando a quel Convegno “fresco” di un’esperienza sicuramente molto triste: la scomparsa di mio padre, avvenuta il 9 agosto 2019. in quel momento, nella vita di una persona si genera una grande discontinuità: e così è stato per me. Infatti, io vivevo con lui a Milano, e quindi, in quel momento, di colpo mi sono visto “crollare” addosso tutta la vita di prima. Il mio commento era stato: “In un istante mi sono visto spazzata via la mia vita”.
Ed era vero: a pochi mesi di distanza, a dicembre 2019, avrei vissuto anche la vendita della casa di famiglia, dove avevo vissuto per molti anni, e il momento, sicuramente drammatico, del suo sgombero, avvenuto proprio in prossimità del Natale 2019, periodo in cui, invece, le case si riempiono di bellezza. Nel mio caso, invece, proprio in quel momento, tutto si svuotava di vita: e ogni pezzo che vedevo sparire, era una parte della mia vita che se ne andava.
Questo è un esempio di “discontinuità”: noi viaggiamo in un treno, e non guardiamo mai fuori. Siamo solidali con il suo movimento e, dalla fisica, sappiamo che non appare a noi alcun movimento: se così non fosse, ad esempio, non ci percepiremmo ora come fermi, mentre in realtà stiamo ruotando alla velocità di oltre 1500 km/h! Eppure, proprio l’essere solidali con lo spostamento, ci permette di non percepirlo.
Tuttavia, riferendoci a questo esempio, ci basta guardare il cielo, e renderci conto che la semplice alternanza giorno / notte ci dice che la Terra sta girando. E che non è ferma come si credeva sino a Copernico e Galileo!
La Realtà, quindi, cambia, anche se non ce ne accorgiamo. E basta osservare anche al di fuori del nostro riferimento per scoprirlo.
In questo caso, il treno che si muove è semplicemente il flusso delle cose attorno a noi, il cambiamento esistenziale. Se non osserviamo il cambiamento, crediamo che il cambiamento non esista.
Purtroppo, talvolta non ci è dato di guardare fuori dal treno in corsa, per accorgersi che qualcosa cambia, almeno dentro di noi. Infatti, il 90% dei processi mentali che ci troviamo a vivere sono inconsci, e quindi le cose ci giungono già elaborate, senza che possiamo avere su di esse il controllo. È come se, in treno, dormissimo qualche ora: osservando poi fuori dal finestrino vediamo che il paesaggio è cambiato, magari del tutto. Osserviamo che le cose non sono più quelle di prima. Ed è normale che sia così: possiamo attendercelo.
Nella vita, spesso, i cambiamenti spaventano. Non perché le cose non cambino, ma perché, semplicemente, non consideriamo che cambiano istante dopo istante. La stessa vita e morte avviene davanti a noi ad ogni momento: come ricordava il maestro Zen Vietnamita Thich Nhat Hanh. Ogni momento, nel nostro copro, nascono e muoiono migliaia di cellule. Solo, la cosa avviene talmente velocemente che non lo percepiamo.
Le discontinuità possono essere piccole, e le percepiamo come continuità. Ad esempio, se in una casa cambiamo il divano, o il letto, abbiamo realizzato una discontinuità: tuttavia, questa è molto piccola. Se, invece, cambiamo casa o addirittura città o nazione, questa è una discontinuità molto forte. Potrebbe essere paragonata al cambiare scompartimento nel treno, o addirittura treno: ci troveremmo in qualcosa di nuovo, che non conosciamo, e nel quale dobbiamo, spesso, ricominciare daccapo. Per questo le discontinuità di questo tipo ci spaventano.
Tuttavia, in alcuni casi, le discontinuità avvengono comunque, e non ci possiamo fare assolutamente nulla. Nel citato caso del lutto, quella è una discontinuità molto forte, che chiude inevitabilmente, in maniera irreversibile, una parte della nostra vita, che non potrà più essere riaperta.
Un caso meno “brutale” potrebbe essere dato da un trasferimento per lavoro, da uno sfratto, o, forse meno ancora, da un telefonino o da un computer che si rompe, e che causa la perdita di qualcosa. La perdita è sempre una discontinuità.
In quel caso, riprendendo in parte l’esempio del lutto, quando nella vita abbiamo una simile discontinuità, abbiamo due alternative, che si possono applicare a tutte le discontinuità, anche se non non le abbiamo percepite (e vedremo dopo in che senso). La prima alternativa è cercare disperatamente di rimanere abbarbicati alla realtà di prima. E questo semplicemente ci provoca sofferenza. Come diceva anche il Dalai Lama, quello che provoca sofferenza non è il cambiamento, ma la resistenza al cambiamento. Anche perché ci possono essere dei fattori che impediscono, come visto, la reversibilità di un evento: l’entropia insegna, e lo stesso Carlo Rovelli faceva notare che, quando c’è il calore (quindi quando questa cambia), non si torna indietro: ci sono trasformazioni irreversibili.
L’altra alternativa è quella di accettare semplicemente questo cambiamento, come parte del flusso esistenziale. Ed agire di conseguenza. O, addirittura, applicare una frase che avevo letto su una storia di Walt Disney molti anni fa: “Se non puoi frenare, accelera”. Leggendo questa frase, mi immaginavo con gli sci in direzione di un piccolo crepaccio, ma sufficientemente grande per finirci dentro. La velocità era elevata, e non potevo frenare. Allora, l’unica possibilità di salvezza, era accelerare sempre di più: in quel modo, il crepaccio sarebbe stato saltato.
Un’altra immagine è quella, sempre sciistica, del salto dal trampolino. Nonostante il suo essere suggestivo, è in realtà uno sport molto più sicuro di altri. L’unico modo per farsi male è avere paura, e frenare prima dello stacco dal trampolino stesso. La tecnica giusta, invece, a detta di chi l’ha fatto, è quella di aumentare il più possibile la velocità: più veloce si uscirà dal trampolino, più sicuro sarà il salto.
Anche nel normale sci da discesa, la tendenza è quella di tenere, quando si scende, il peso all’indietro, pensando di avere maggior controllo. Invece, occorre tenerlo in avanti, fluendo quindi col moto.
Questi esempio, che riportano ad un mio passato di sciatore (un passato ormai molto lontano), fanno capire come, spesso, occorra fluire col cambiamento, e non ostacolarlo.
La frase riportata prima, quindi, vuol dire praticamente questo: se un evento ci sconvolge la vita, invece che cercare di ostacolarlo, occorre fluire con esso. Insomma: invece che abbarbicarsi al passato, ormai irrecuperabile, occorre aiutare il cambiamento. Io addirittura affermavo: “Quando un evento ci sconvolge la vita, invece che cercare di stare legati al passato, occorre sconvolgerla del tutto”. La chiave, spesso, è proprio questa.
Nel mio caso, questo mi è stato evidente. Infatti, l’apice della sofferenza, in quel periodo, è stato proprio la chiusura della casa di Milano, dove vivevo con mio padre. Vedere ogni giorno la casa che si “depauperava” di qualche pezzo, lasciato a parenti o altro, mi faceva stare male davvero.
Il giorno in cui l’ho lasciata del tutto, invece, ho cominciato a stare molto meglio: ormai il tutto era alle spalle, e la vita proseguiva. Ora ho cambiato del tutto città: vivo a Magenta, a circa 20 km a ovest di Milano. Tornare dove vivevo prima, cosa che prima mi causava dispiacere, ora è una cosa del tutto normale: come una mia amica mi ricordava, anche nella vecchia casa ci sono altre persone (anzi: da quell’appartamento ne hanno ricavati addirittura tre), quindi c’è un’altra energia. Insomma, le cose sono cambiate, e quella è una zona sicuramente gradevole, ma una delle tante.
Per me, in questo caso, decidere di cambiare del tutto la mia vita è stata la scelta vincente: la sofferenza era proprio data dall’”aggrapparmi” ad una realtà ormai svanita, che non aveva più significato, perché, appunto, non esisteva più.
Come dicevo, tuttavia, anche i cambiamenti di cui non ci accorgiamo, perché avvengono con continuità, comunque avvengono. Se vediamo un bambino tutti i giorni non ne vediamo, ad esempio, la crescita: se però lo misuriamo dopo un anno, vediamo che è cresciuto.
Questo vale anche per la nostra esistenza: noi non ci accorgiamo dei cambiamenti che avvengono in noi, semplicemente perché avvengono con continuità. Tuttavia, se ci osserviamo a distanza di mesi, o addirittura di anni, vediamo che le cose sono mutate. Magari per qualche “acciacco” che giunge improvviso: tuttavia, quell’acciacco non è giunto improvviso, ma è stato preparato da qualcosa che comunque avveniva in noi senza che ce ne accorgessimo: il parallelo con l’inconscio funziona anche nel fisico!
Tutto ciò, però, ci dice che ci sono delle cose che non possiamo fare sempre, e, col trascorrere degli anni, anche le cose che materialmente possiamo fare cambiano. Ad esempio, se a 60 anni volessimo competere in corsa con un ventenne la cosa non ci riuscirebbe. Un ventenne potrebbe scalare una montagna oggi e scalarne una dopo poche ore: anche un sessantenne può scalare una montagna, ma probabilmente gli ci vorranno poi giorni e giorni per recuperare le energie!
Questo va accettato: nella vita si cambia, e cambiano anche le cose che possiamo fare. Tuttavia, proprio perché la realtà è un fattore dinamico, altre cose, che prima non potevamo fare, si aggiungono. E questo è importante da ricordare, ed è bello rendersene conto.
Per questo, ad esempio, molti grandi sportivi si ritirano ancora all’apice della carriera: non è bello assistere al proprio declino, percependo che determinate cose non si possono più fare.
Un esempio in positivo è stato il grande calciatore Michel Platini: si è ritirato ancora a soli 32 anni, all’apice della carriera: aveva deciso che di più non avrebbe potuto fare, ed ha proficuamente sfruttato la posizione, anche economica, oltre che di prestigio, ottenuta negli anni di brillante carriera.
Ricordo anche una frase del ciclista Moreno Argentin, allorché aveva dichiarato, annunciando il suo ritiro: “Siamo ormai vecchi per certe cose, ma siamo ancora molto giovani per altre”.
Infatti, un ciclista, a 35-36 anni è vecchio per l’attività agonistica a quei livelli (anche se, ad esempio, Tony Rominger ha vinto, a 35 anni, un Giro d’Italia) : tuttavia, è ancora molto giovane per fare, ad esempio, il Direttore Sportivo di una squadra ciclistica, dove potrà mettere a frutto la sua esperienza per preparare nuove generazioni di atleti.
Altri esempio, sempre dallo sport, fanno invece capire come, spesso, rimanere attaccati all’attività agonistica, quando ormai il fisico non lo consente più, sia solo umiliante.
Un esempio può essere quello del tennista Thomas Muster: questo era stato addirittura numero 1 nel ranking mondiale. Lo ricordo, invece, a 45 anni, quando non riusciva nemmeno a qualificarsi per partecipare a tornei challenger (la serie di tornei inferiore a quelli principali). Finire in questo modo non è di certo bello. Così come era triste vedere, negli ultimi anni di carriera, lo sciatore Ivica Kostelic, fratello della nota Janica, e già vincitore della Coppa del Mondo di Sci, non riuscire nemmeno a qualificarsi per la seconda manche degli slalom.
Allora, in quel caso, è meglio, molto meglio, decidere che si lascia l’attività all’apice: come aveva fatto anche Alberto Tomba, il quale ha detto che si sarebbe ritirato subito dopo una vittoria: e così ha fatto.
Ho portato, volutamente, esempio tratti dallo sport agonistico, perché sono i casi in cui è più evidente il cambiamento nella vita, e il fatto che a certi livelli non si può più rimanere.
In questo caso, la frase “se non puoi frenare accelera” può voler dire, a livello esistenziale: “Se non puoi più fare le cose che facevi prima, trova cose che prima non potevi fare, e falle”. Il caso di Moreno Argentin, citato prima, è emblematico: si è vecchi per fare determinate cose, ma per altre si è ancora molto giovani.
Lo stesso vale per tutta la nostra vita: invece che attaccarci a quello che non è più possibile fare, anche per cambiamenti improvvisi, come i citati lutti, dobbiamo vedere, magari, quello che prima non si poteva fare, e che ora si può fare. Ad esempio: una persona adulta non potrà fare le cose che faceva un adolescente: tuttavia, ne potrà fare altre, magari più interessanti. Avrà acquisito una maggiore conoscenza, una maggiore libertà, e così via. Io, ad esempio, nella mia vita a Magenta, che dura ormai da oltre 16 mesi, ho conosciuto persone, visitato luoghi, partecipato a eventi ai quali non avrei mai potuto partecipare altrimenti. E questo è molto bello.
Concentrarsi quindi su cosa si può fare che non si poteva fare prima è bellissimo, e ci permette di andare con gioia verso il futuro.
Un esempio, stavolta, relativo all’abbigliamento: ci sono donne vicine ai 60 anni che hanno ancora fisici bellissimi, e possono portare con disinvoltura, ad esempio, una minigonna. Questo è molto bello. Tuttavia, se queste donne si vestissero in tutto e per tutto come delle ventenni, apparirebbero ridicole. Ci sono, invece, abbigliamenti da età più “adulta”, che possono essere bellissimi, quali i tailleur. Questi possono dare ad una donna di quella fascia d’età un grande fascino, mentre, magari, sarebbero anacronistici se indossati da una ventenne.
Anche questo esempio ci dice che ogni età ha il suo fascino, e accettare i cambiamenti è fondamentale per viverli al meglio.
Anche altri esempi possono essere precipui: ad esempio, ora molte persone stanno cominciando a lasciare Facebook, della cui censura intollerabile parlavo in questo ed in questo articolo. Queste persone potrebbero sentirsi spiazzate per questo: tuttavia, occorre anche concentrarsi su quello che si può fare di nuovo, che non si sarebbe potuto fare prima. Ad esempio, trovarsi su Social Network democratici, come nel primo dei citati articoli facevo notare. D’accordo, ci sarà meno gente: tuttavia, conta anche la qualità, e molte delle persone che troveremo saranno individui che hanno avuto il coraggio di compiere un “salto”, e di cambiare.
Concludiamo con l’immagine del treno che fluisce: spesso cambiano i paesaggi, talvolta addirittura dovremo cambiare vagone, o anche treno. E questo può essere triste.
In ogni caso, basta guardarsi attorno, e scoprire quello che nel nuovo vagone, suol nuovo treno, possiamo fare, che non potevamo fare prima.
Questa, probabilmente, è la chiave giusta: la vita ci pone davanti a cambiamenti, anche drastici. Possiamo rimanere attaccati alla situazione di prima, o cercare di capire cosa possiamo fare in quella nuova, che magari non potevamo fare in quella vecchia.
La prima è la via della sofferenza, che ci tiene attaccati a cose che ormai sono dei fantasmi, e non esistono più; la seconda è invece la via della felicità, che ci permette, in ogni istante, di scoprire cose nuove, e di rinascere nuovi.
A voi, a noi, la scelta.
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