Rubrica a cura di Massimo Casali e Susanna Schivardi
In una delle zone più vocate d’Italia a pochi passi dall’arcinota Alba, si affaccia il Roero, un fazzoletto di terra che produce prodotti eccellenti, dal Roero bianco al Roero rosso, definito, da qualcuno, il “fratello” meno celebre di Barolo e Barbaresco. Oggi con Adriano Moretti proprietario dell’azienda Bajaj scopriremo che le cose non stanno proprio così.
Torniamo al Nord e stavolta per scoprire una bella realtà di nicchia in provincia di Cuneo che si sta facendo notare grazie alla caparbietà della famiglia che la conduce. Parliamo di Bajaj, azienda agraria a tutto tondo, nel Monteu Roero, che il giovane Adriano Moretti appena trentenne prende in mano otto anni fa, trasformando quella che prima era solo una realtà agraria in azienda vitivinicola, per mettersi a fare il vino. “La nostra famiglia – ci racconta – è presente nel registro locale dal 1671. Era la tipica famiglia numerosa che poi è andata a smembrarsi in seguito a vari litigi. Mio nonno andò via con la moglie incinta, un asino e nient’altro per spostarsi dalla frazione Occhetti al capoluogo di Monteu Roero dov’era la famiglia di mia nonna, soprannominata gli sbadigliatori (da cui Bajaj), non per dire che non avevano voglia di fare ma solo per indicare lo spirito di gioia e spensieratezza con cui si lavorava nei campi, con una consapevolezza che non potendo avere di più, tanto valeva godersi quella felicità”. Che scoperta! Questo nome, Bajaj, che ci aveva tormentato già nella pronuncia. Veniamo a sapere infatti che la j si legge i, e vuole onorare l’allegria e la gioia di quei lavoratori che un tempo si accontentavano di poco per essere felici. Ma andiamo avanti.
“L’azienda con mio padre abbandona l’allevamento e si dedica a frutta, verdura e uva, dico uva e non vino – specifica Adriano – perché mio padre astemio la produceva e la vendeva alle aziende vicine”. La seconda rivoluzione comincia proprio con il giovane Adriano, appunto otto anni fa quando decide di entrare nel mondo del vino con alle spalle studi classici, la facoltà Scienze Politiche e una vita tipica da ragazzotto bene che ha tanta voglia di divertirsi. “Stavo per partire per l’Australia, quando mio padre mi fermò chiedendomi di pensare se ci fosse qualcosa che potesse piacermi qui”. Adriano aveva voglia di realizzare grandi progetti effettivamente, si legge nella vivacità dei suoi occhi, un ragazzo così non sarebbe stato capace di fermarsi e decidere di fare il vino fu una vera e propria sfida. “Cosa facile a dirsi ma non a farsi – sorride – perché dopo due giorni di entusiasmo mi sono rimesso a studiare, con corsi di aggiornamento, come Ais, Onav, WSET a livello internazionale, e tutto quello che poteva aiutarmi per cominciare questa avventura”. Esperto di marketing, come ci racconta tra una battuta e un’altra, non smette mai di aggiornarsi nella comunicazione, ed è proprio attraverso un messaggio diretto e funzionale che raggiunge fette di pubblico che in altro modo sarebbe stato più difficile catturare. “I miei followers sono soprattutto millenials – ci racconta – ragazzi giovani che si avvicinano al vino con curiosità. Un giorno un ragazzo mi aveva trovato tramite i social e sulla fiducia mi ha ordinato trenta casse di vino, al buio”. Del resto il suo appeal è forte, parla con facilità e i suoi studi in comunicazione fanno da spalla ad una cordialità che ci colpisce immediatamente.
UNA PARTENZA AL CONTRARIO
“Folgorato da un produttore friulano sono partito al contrario, invece di iniziare dai metodi tradizionali, mi sono subito avvicinato all’agricoltura biodinamica, per questa veste poetica e vagamente esoterica che mi ha sempre attirato”. Ad aiutarlo nel trovare la sua strada è stato quindi Damijan Podversic, incontrato durante una fiera del vino a Milano, il “Live Wine”, dove, dopo aver assaggiato tanti vini difettosi tecnicamente, e aver affrontato diverse discussioni, Adriano parla con quello che definisce un mentore, e gli si apre un mondo. “Damijan mi spiega praticamente di fare del vino buono, senza puntare a vini naturali, ogni anno quindi imparo a togliere il superfluo fino ad arrivare al mio limite”. Da qui inizia a capire che i limiti sono propri di ciascun territorio, e si concentra a fare il meglio per il bene dell’ambiente e delle persone, in chiave ecosostenibile. “Mi sono scontrato spesso con mio padre, che ha una visione antiquata tipica del Roero, una zona in eterna competizione con le Langhe, e ritenuta mai all’altezza per produrre un buon vino”.
Adriano combina le sue convinzioni e le potenzialità di un territorio in cui crede fermamente, per andare avanti e non lasciarsi intimorire. Si ritrova una cantina rudimentale “quattro vasche in acciaio, due vasche in cemento e una pompa arrugginita” ma spinge la famiglia a fare un bell’investimento iniziale, “nel giro di pochi anni siamo passati da 2000 bottiglie a 15, 18, 20 mila con l’obiettivo dei 25.000”. Un’idea di fare vino buono, sano e frutto di un lavoro di etica. “In cantina siamo molto rispettosi – non ama parlare di vini naturali – e chiamo i nostri vini “responsabili” nei confronti dell’ambiente e delle persone, quindi dal 2020 solo fermentazione spontanea, vini non filtrati, chiarificazione con bentonite, pochi solfiti, ci si tiene al di sotto del regime biologico, e per la vigna abbiamo la certificazione di produzione integrata (S.Q.N.P.I.), senza diserbi, concimazione organica, eliminazione di parte dei sistemici e da quest’anno paghiamo una consulenza agronomica esterna, per fare un ulteriore passo verso un reale rispetto ambientale”.
Un percorso minuzioso si svolge in vigna dove la strada è ancora lunga, ma questo spinge Adriano ad ampliare i suoi margini di miglioramento. L’azienda di 22 ettari è diversificata, con 4 ettari condotti a vigneto e il resto con diverse colture “un omaggio al mio sogno di un’azienda che pulsa come un organismo vivente, che rispetta il corso naturale dell’ambiente e delle sue necessità, diversificandosi anche a costo di qualche sacrificio”. Manuele Priolo è il consulente di cantina e con lui Adriano ha iniziato questo percorso produttivo “siamo ossessionati dalla ricerca, passiamo ore in cantina parlando della tipicità, dell’impossibilità di omologare e catalogare, spinti da uno spirito di sperimentazione, cosa che ci porta ogni anno a fare uno step in più”. Il risultato di questa ossessione sono “due bianchi, un bianco macerato, un rosato e quattro rossi, tutte interpretazioni di vitigni autoctoni, nessun alloctono, cercando di trasmettere in maniera autentica quello che è il mio territorio”.
ESSERE SEMPRE SUL PEZZO
“Faccio sperimentazione come un pazzo – continua Adriano – sudando per raggiungere la certificazione e nonostante le commissioni di assaggio che conferiscono riconoscimenti sia nazionali che internazionali, siano solidali, non a caso mi commentano il Roero Arneis come un’ottima espressione del mio territorio, non sono mai soddisfatto”. Una voglia continua di studiare e provare, fermentazioni spontanee che non lo fanno dormire, i lieviti che fanno un po’ come vogliono “c’è da sudare, fare analisi al microscopio, adottando un approccio naturale ma molto analitico”. Adriano non è natural talebano né radical chic, il suo atteggiamento è profondamente scientifico. L’agronomo di cui si avvale da quest’anno è Edmondo Bonelli, anch’egli sulla trentina, molto conosciuto, preparato e appassionato di geologia “saper conoscere i terreni, capire i portainnesti su un certo terreno è importante, trattiamo ogni singolo vigneto come un singolo organismo, e riduciamo al minimo i trattamenti”. Approccio sostenibile e la comprensione della natura dei terreni e dei vigneti è la loro legge. “Interessante anche la scelta dell’anfora – Adriano ne era completamente ignaro – ne ho presa una ad una fiera, iniziando con la Clayver in grès porcellanato, ma non andava bene perché non era abbastanza porosa e non faceva evolvere i tannini del Nebbiolo”. E’ da qui che inizia una collaborazione con una ditta di produzione di anfore di terracotta in Trentino Alto Adige, “il proprietario giovanissimo mi ha fatto conoscere questo materiale ottimo per l’evoluzione del vino”. Oggi ne ha quattro, “la Clayver da 350 lt, una da 320 lt, una da 750 lt e un’altra da 1600 lt. Una la utilizzo sulla Barbera d’Alba che tende ad andare in riduzione se sta in acciaio, per non passarla in legno che va a coprire il tipico dell’uva di base, la passo in anfora che gli dà quel tanto di ossigeno costante, donando anche morbidezza e amplificando i profumi”. Quella da 750 viene usata per il Nebbiolo in anfora e le altre due, la Clayver e quella da 320 lt di terracotta sono usate per il bianco macerato. “In queste annate dove si fa il taglio dalle due anfore il risultato è notevole”. In realtà ammette che il 2017 non sia venuto un granché e lo dice sorridendo, “l’anno scorso ho fatto un rosato che non mi entusiasmava, nel farlo assaggiare già mettevo le mani avanti, non era quello che volevo”. Onesto, diretto, ha obiettivi chiari, Adriano come dice lui stesso “sta sempre sul pezzo”. Segue la filosofia dell’attesa, esce tardi coi vini perché raggiungano il loro equilibrio “è inutile uscire prima e stare a parlare di sentori e profumi quando non c’è niente!”.
LE NOVITA’
In programma per Settembre uno spumante di Barbera che attende di essere degustato, ci spoilera, “la Barbera si presta perché non credo nel Nebbiolo, che è un vino tannico dove il rischio è la poca armonia in bocca, né in Arneis che in questi territori è poco acido, nonostante ce ne siano un bel po’ in giro, ma ovviamente sono molto corretti”. Preferisce quindi un’uva di base unica e buona e che pochi utilizzano, “potrebbe essere un buon risultato di nicchia, partendo dallo Charmat per arrivare al metodo classico”. Lo assaggeremo sicuramente. L’altra novità che ci anticipa è il Roero Arneis Riserva, una nuova denominazione per far capire che il Roero Arneis non è solo un vino da pronto consumo ma anche un bianco da invecchiamento, un prodotto molto interessante e in cui si nota la differenza tra il base la riserva “a cui dedichiamo 48 ore di macerazione, così da dargli colore, tannino e più intensità a livello aromatico”.
LE ETICHETTE – UNA STORIA
Giovinezza e spensieratezza emergono dalle etichette che sono un involucro ma anche il marchio di un contenuto che è fil rouge tra passato e presente di Adriano, gli studi classici che incontrano la sua voglia di innovare “il Prometheus, come dice il nome stesso si riferisce al figlio ribelle di Zeus e così anche il mio Arneis nonostante sia in purezza non ricade all’interno della Docg perché è troppo estremo, ma anche lui racconta il territorio pur rimanendo ribelle alle istituzioni. Mentre il Pandorae Vas si riferisce al vaso pieno di vizi degli uomini, e così la mia bottiglia è contenitore del vizio più sublime, il vino, dedicandolo al mio primo vino in anfora”. Abbiamo anche il Lotos Flos, che deriva dalla cultura orientale di cui Adriano è appassionato “il fiore di Loto è notoriamente un fiore che nasce dal fango, quindi associato al fango stesso e mi riporta alle mie prime discussioni con mio padre quando mi diceva che fare il vino rosé era da sciocchi perché non lo beve nessuno”.
Peccato che poi il padre si sia ricreduto visto che di rosato ne fanno 2500 bottiglie sul totale di 18/20 mila bottiglie. Il disegno delle etichette appartiene invece al genio della compagna di Adriano, Veronica – “una parte della mia vita tutta da raccontare, che arriva dai miei studi di marketing, mi sono specializzato nel comunicare concetti, e poi ho fatto corsi su comunicazione del vino quando ancora non se ne parlava. Ma il concept delle etichette in questo caso parte da lei, nonostante all’inizio avessi dei dubbi, invece col tempo ho capito che funzionano benissimo”. Adriano già anni fa stava sui social e il padre continuava a non capire questo lavoro a tavolino “i social mi stanno aiutando perché tramite la rete entro nelle case della gente e presento il mio prodotto”. Cura, progettazione ed etichette tutt’altro che banali “dopo otto mesi sono venute fuori queste immagini tratte dall’album fotografico di Adriano, un ragazzo spensierato che gioca in vigna – ci ricolleghiamo ai Bajaj che lavoravano con leggerezza – ed è proprio dinamismo e freschezza che arrivano dalle immagini sulle bottiglie, con lui in primo piano che attira l’occhio e la curiosità di conoscere direttamente il produttore”.
I millenials amano queste novità che “spaccano”, e Adriano ha notato che anche all’estero funziona “non potevo fare la classica etichetta bianca con lo stemmino per proporre vini sostenibili che rientrano in una cultura diciamo più giovane. Ma accanto troviamo anche l’etichetta classica nera che sta a distinguere i vini premium rispetto a quelli di tutti i giorni”. Bottiglia Albeisa, tipica del territorio e più costosa “sul Prometheus abbiamo un’anfora stilizzata con il dorato, mentre sul Roero, vino di punta è un’etichetta molto semplice e neutra perché il protagonista è in assoluto il vino, il Roero che deve essere conosciuto”. Materiale in carta barrierata che anche al contatto con l’acqua non si stropiccia. I tappi sono in sughero monopezzo o anche bioplastiche e polvere di sughero. Varie le sperimentazioni con i tappi che vengono analizzati a sedici e diciotto mesi per studiare quanto ossigeno si discioglie nel vino. “Lo stelvin sarebbe il top di gamma ma una certa clientela non lo capirebbe”.
UN LAVORO BELLO. SEMPRE
“Tutte le mattine mi alzo e faccio quello che mi piace, nessun soldo al mondo può ripagarmi”. Gli amici lo invidiano, il processo di Adriano è una maturazione cresciuta nel tempo “sono competitivo con me stesso e pretendo molto, quando faccio qualcosa lo voglio portare al massimo”. Il domani è sempre uno spiraglio al miglioramento “la concorrenza nemmeno la guardo, perché io faccio il mio, questo territorio ha bisogno di lavoro fatto bene e una comunicazione efficace”. Con papà ha sempre litigato, discusso ogni giorno “a lui ho fatto spendere molto per investire seriamente e da quando è arrivato l’agronomo si è storto, ma poi ho cercato di farlo ragionare e convincerlo che una consulenza esterna non può che giovare alla produzione”. Non è facile lavorare in famiglia ma il merito di Adriano è quello di essere rimasto nei suoi luoghi di origine, “mio cugino mi diceva Adriano, perché litighi tutti i giorni?”. Questa è la sua vita, è cresciuto qui, ha investito sangue e sudore, e discute finché il padre non cede. Il suo passato di lottatore a livello nazionale lo ha formato e abituato al confronto.
Dopo questa bella chiacchierata siamo arrivati alla degustazione. Adriano, con i suoi vini, vuole esprimere il territorio ed anche il suo carattere quindi, ci avverte, sono di carattere con bel corpo e determinati.
Il primo vino che sceglie di aprire è il rosato.
Rosato di Nebbiolo. Non sempre gli è venuto così bene. “Qui abbiamo beccato la finestra di vendemmia giusta, in quella vigna deputata al rosato a cui faccio mille campionamenti. Quell’anno lì abbiamo trovato il momento giusto, analisi in mano la sera, la mattina dopo subito in vigna”.
Un rosato di quelli particolari, “non è solo un vino da donna ma per tutti!”. Subito il colore ci risalta agli occhi con un bel rosa cerasuolo intenso. Al naso della frutta fresca come fragola, ciliegia e lampone, il floreale ed una leggera balsamicità. In bocca perfettamente equilibrato con la parte acida che tende ad arrotondare la dolcezza. Ottima la mineralità ed un leggero tannino che lo rende piacevolmente abbinabile a una tartare di tonno o un carpaccio di salmone selvaggio. Ovviamente nella stagione calda è piacevole un bel calice fresco come aperitivo.
Passiamo all’ Arneis definito da Adriano il Re dei bianchi della zona. Prodotto su un terreno prevalentemente sabbioso questo vino esprime un ottimo carattere, con un colore giallo paglierino molto intenso, al naso la mineralità ti cattura, poi arriva la frutta fresca a polpa gialla ed una bella intensità. In bocca appare subito sapido e fresco perfettamente equilibrato con un’acidità che ti accompagna per qualche minuto rendendolo persistente ed eccellente. Da bere come aperitivo accompagnato da cibo più elaborato o a tavola con un buon pesce al guazzetto.
Il terzo vino che andiamo ad assaggiare è la Barbera 2019. Un blend di Barbera 90% ed un 10% Nebbiolo.
Proviene da vigne di circa 70 anni, le più datate dell’azienda, l’uva raccolta a mano in cassetta con una resa bassissima. La 2019 è la prima annata in cui questo vino fa un affinamento in anfora da 1600 lt per 12 mesi
Ci racconta Adriano che ha preferito introdurre un po’ di nebbiolo per dare della struttura e una certa spinta tannica. Al naso è complesso con frutta rossa matura, more, lamponi e sottobosco, note di pepe nero, cacao amaro e un’ottima balsamicità. In bocca subito la freschezza della barbera ci colpisce ma non è invadente, probabilmente grazie alla scelta di Adriano di aggiungere quel pochino di nebbiolo che lo completa in struttura e che nasconde perfettamente i 14,5 / 15 gradi alcolici. Leggermente spostato sulla freschezza, ci fa pensare che un periodo di riposo in bottiglia possa completarlo al meglio. Da abbinare a formaggi stagionati o primi piatti con salse di carne rossa.
Il vino successivo è il Pandorae Vas, un Nebbiolo in purezza affinato in anfora. Dopo alcuni tentativi su appezzamenti differenti, Adriano ha trovato il terreno ideale per produrre questo Nebbiolo in una menzione denominata “Bric Nota”. Questo vino è prodotto grazie ad una fermentazione spontanea con un affinamento in anfora di terracotta da 750 lt. E per finire 6 mesi di riposo in bottiglia. A prima vista siamo subito ingannati dal colore, un rosso scarico paragonabile ad un cerasuolo intenso ma come avviciniamo il bicchiere al naso si apre in un ventaglio di profumi. Intenso, complesso e fine, percepiamo subito profumi di confettura, frutta rossa, spezie con note balsamiche. In bocca un buon tannino pulito e non ruvido grazie all’utilizzo della terracotta che tende a smorzare un po’ la forza del Nebbiolo. La frutta rossa è ben presente aiutata da una bella acidità che ci fa salivare per qualche minuto. Vista la gradazione alcolica di 14 gradi e la presenza di una bella freschezza lo abbiniamo a dei piatti di carne con sughi elaborati.
Ed eccoci al Roero 2018.
Il padrone di casa ci confessa che il 2018 è una delle migliori annate. Anche questo Nebbiolo in purezza, chiamato nella zona il fratello minore del Barolo e Barbaresco. Questo vino fa un affinamento in botti da 225lt di terzo o quarto passaggio, rovere francese, media tostatura per terminare con 12 mesi di bottiglia. Il naso complesso ed intenso con profumi di sottobosco e frutta rossa matura. La speziatura non manca ed anche qualche accenno di tabacco e cacao amaro. In bocca ci aspettiamo un vino pesante ed austero, invece appare subito di facile beva rispecchiando le caratteristiche complesse ed intense che avevamo provato all’olfatto. Perfetto il lavoro della barrique che dona complessità ma non rilascia alcuna nota di legno nonostante la tostatura. Lo vediamo vicino ad una tartare di ottima Fassona Piemontese o ad una fiorentina alla brace.
Per completare questa meravigliosa degustazione apriamo il Prometheus prodotto con uve Arneis 100%. La lavorazione è molto particolare. Vendemmiato tardivamente, i primi di ottobre, fa una macerazione spontanea di 40 giorni in anfora di terracotta e poi viene diviso in due anfore, una di terracotta ed una di porcellana, dove rimane per 9 mesi e poi 6 mesi di bottiglia prima di essere messo in commercio. Il colore è un giallo ambrato mentre al naso percepiamo note di frutta a polpa bianca matura, note di mandorla, frutta candita e miele di castagno. Presente anche una buona dose di mineralità che ritroviamo anche in bocca insieme alla frutta ed a una importante freschezza che lo rende perfettamente equilibrato. Anche una piccola percentuale di tannino non manca, il che ci aiuta ad abbinarlo ad un salmone selvaggio o a dei formaggi erborinati. Importante la persistenza che ci invita a versarci un altro bicchiere.
Nei giorni successivi all’apertura, abbiamo azzardato abbinamenti come Pandorae Vas con parmigiana di pesce spada, dove il tannino pulito e non ruvido insieme ad una certa acidità si sposano sapientemente con l’amaro della melanzana ammorbidita dal pomodoro e al sapore delicato del pesce. Piatto strutturato ma di semplice realizzazione.
Per palati ancora più delicati, Massimo Casali ha pensato di accompagnare il Lotos Flos, rosato di Nebbiolo, con polpo di scoglio su purea di patate, coperto con pesto di basilico e condito con olio Evo dell’azienda laziale Merumalia. Un’intensità fragrante che ci ha proiettato già verso atmosfere estive, quasi un assaggio di tramonto sul mare.
Ringraziamo Adriano Moretti e l’azienda, per l’attenzione costante ai prodotti e alla salute delle persone, consigliamo di visitare il loro sito web, e la loro costante attività sui social.
Con il prossimo itinerario ci inoltreremo nella zona del Canelli, per raccontare L’Armangia di Ignazio Giovine.
***Foto fornite dall’azienda
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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