Il gabinetto del signor Caligari: ritratti di un capolavoro cinematografico

Il gabinetto del signor Caligari: ritratti di un capolavoro cinematografico

Di Daniel AbruzzeseCorrispondente da Berlino

Sono passati 101 anni dall’uscita nelle sale de “Il Gabinetto del Dottor Caligari”. E come sempre nei momenti epocali, questo film sembra riacquistare tutto il suo valore simbolico. In questo mese ricorre anche un anno dalla fine della prima ondata della pandemia. La seconda e la terza ondata hanno colpito duramente la Germania, dove vige ancora un lockdown quasi totale. La frustrazione della popolazione, oltre ad una serie di scandali interni, ha fatto perdere alla CDU di Angela Merkel gran parte dei consensi. Ma il ministro della sanità assicura: nonostante il piano di vaccinazioni sia stato finora disastroso, il peggio è passato. Ancora una volta, il ritorno alla normalità è rimandato alle prossime settimane, ma quanto meno gli ultimi mesi del governo Merkel si profilano meno neri di quanto temuto.

Prologo: il centenario di un capolavoro

“Il Gabinetto del Dottor Caligari” è senza dubbio fra i film che ha lasciato un segno profondo nella cultura popolare dell’ultimo secolo. Le scenografie espressioniste e il volto bistrato di Conrad Veidt hanno popolato l’immaginario collettivo di tutto il Novecento, così come il topos del sonnambulo assassino è diventato un incubo ricorrente della psiche collettiva. Ma ancora più nel profondo si è incuneata la figura del Dottor Caligari, che governa la volontà del sonnambulo Cesare: in apparenza artista girovago apparso da un’altra epoca, in realtà uno psichiatra preda di un delirio di onnipotenza, epitome dell’autorità che si è sottratta ad ogni controllo e arriva a concretizzare le paure ataviche di ogni individuo. Lo vediamo nel corso del film sovvertire la quiete di un villaggio tramite le profezie di Cesare, assistiamo a come subdolamente attacca le debolezze del singolo, per gettare scompiglio nella società. Ma Caligari sa anche mediare eccellentemente con l’ordine costituito, tanto da sviare ogni sospetto sugli inspiegabili assassini che avvengono a Hostenwall. Scopriremo poi insieme al protagonista che questo artista vagabondo dirige una clinica psichiatrica. Nel suo ufficio, è rimasto aperto un diario, in cui sono annotati tutti i dettagli del suo delirio: egli vuole portare a termine gli studi sul sonnambulismo e sul controllo mentale iniziati secoli prima da un medico italiano, di cui, egli ha deciso, dovrà assumere l’identità.

Negli anni Venti, alcuni interpretarono la pellicola come un tentativo di rielaborare il trauma della Prima Guerra Mondiale. Il sociologo Sigfried Kracauer intravide in Caligari una prefigurazione di Hitler, folle artistoide che trascina nel proprio delirio un’intera società. Più prosaicamente, il Vorwärts, l’organo del partito socialdemocratico tedesco, riconobbe nel film un omaggio all’abnegazione del personale medico e psichiatrico.

Un inverno di provvedimenti compulsivi…

“Siamo preparati e mai più ci troveremo in Germania a chiudere attività commerciali, siano esse ristoranti o parrucchieri”, aveva dichiarato il ministro della sanità Jens Spahn al termine dell’estate. Non si era arrivati alla fine di ottobre e già la Cancelliera spiegava, col suo solito tono materno, che era necessario chiudere gli esercizi gastronomici e sospendere le attività culturali, prima che la situazione nelle terapie intensive diventasse drammatica. Fu l’inizio del lockdown (soft, si chiamava allora), che sarebbe proseguito fino a maggio inoltrato, con inasprimenti sempre crescenti.

Dopo pochi giorni, la Corte Costituzionale di Karlsruhe dichiarava i provvedimenti illegittimi, lamentando altresì la mancanza di evidenze scientifiche alla base di queste limitazioni. Dai virologi più in vista arrivava subito l’appoggio ai governi locali e al gabinetto Merkel: le chiusure erano l’unico modo per poter ricostruire la catena dei contagi (ma a tutt’oggi non vi è traccia di una raccolta di dati su dove i contagi abbiano effettivamente luogo).

Ad ogni modo, per evitare ulteriori ostacoli, Angela Merkel rivedeva lo Infektionsschutzgesetz, la legge per la protezione dalle infezioni: la legislazione in tempi di pandemia era delegata al governo federale e ai Länder, coordinati dal Robert Koch Institut, il principale istituto di infettivologia.

A inizio dicembre, secondo le parole della Cancelliera, la scienza implorava il governo centrale di chiudere tutte le attività non essenziali e di limitare fortemente i contatti interpersonali a ridosso delle festività. In realtà, alcune voci discordi fra gli scienziati si facevano sentire: ad esempio, quella di Hendrik Streeck, dell’Università di Bonn, che, osservando ciò che era avvenuto nel resto d’Europa, evidenziava come le chiusure influissero ben poco sullo sviluppo dell’epidemia. L’opinione pubblica, a mezzo social media, provvedeva a contraddirlo con lo hashtag #sterbenmitstreeck, “morire con Streeck”. La popolazione dei social media aveva finalmente fatto sua l’equazione: ogni libertà eccessiva, ogni occasione di svago, insomma qualsiasi cosa ricordi la normalità di un tempo coincide con terapie intensive piene e centinaia di morti. O, come aveva efficacemente riassunto Michael Müller, il sindaco di Berlino, in quello stesso periodo: non si possono sacrificare decine di vite per andare a fare shopping o per provare l’emozione di un candlelight dinner.

Di fatto, i numeri dei contagi e dei decessi hanno continuato a crescere senza controllo per tutto l’inverno, a differenza di quanto era accaduto nella prima ondata della pandemia nella primavera del 2020, in cui la Germania aveva applicato il lockdown per poco più di un mese e con modalità molto meno intransigenti rispetto ad altri paesi.

… e un inverno di scandali abortiti

All’inizio di febbraio, il quotidiano Die Welt dichiarava di essere entrato in possesso di uno scambio di mail tra il Ministero degli Interni e diversi ricercatori, prevalentemente del Robert Koch Institut. In queste duecento pagine di messaggi, risalenti all’anno precedente, il dicastero invitava gli scienziati ad elaborare un modello di evoluzione della pandemiache “giustificasse misure preventive e repressive”: in caso non si fosse intervenuti tempestivamente, si sarebbero contati in Germania un milione di morti.

Il caporedattore del Die Welt non rispondeva alla richiesta, avanzata da altre testate, di fornire maggiori dettagli, sì che la notizia scivolava velocemente nella spirale del silenzio.

Più difficoltoso si è rivelato tacitare gli scandali addensatisi intorno al ministro della sanità Jens Spahn: mutui ottenuti a prezzi di favore da parte della banca per cui aveva lavorato, ma soprattutto una fornitura milionaria di mascherine, commissionata dal ministro all’azienda per cui il marito lavora come lobbista. Insieme ai forti ritardi nelle vaccinazioni di massa (addotti come motivazione per il prolungarsi delle restrizioni), queste notizie sono costate alla CDU diverse migliaia di voti alle elezioni. Tanto che la riconferma del partito di governo alle prossime elezioni federali non è più scontata come appariva ad inizio anno.

Qualcuno ha insinuato che il cambio di tono della Cancelliera, fattosi in primavera minaccioso e autoritario, fosse dovuto alla delusione per i risultati elettorali e i sondaggi. E però, a ben vedere, da gennaio erano forti le pressioni da parte della scienza per imporre un lockdown totale – per quanto rimanesse davvero poco da chiudere o da proibire in Germania. Ma il fatto che alcuni Länder iniziassero cautamente a riaprire alcune attività ha costretto Angela Merkel ad inventarsi il “freno di emergenza”; un provvedimento che è stato subito blindato con una modifica della legge per la protezione dalle infezioni: esautorati i Länder, le decisioni spettano dallo scorso aprile solo al governo centrale. Assieme ad un prolungamento delle chiusure e delle limitazioni nella vita sociale, è stato imposto a livello nazionale un coprifuoco notturno, ed eventuali allentamenti sono ammessi solo dopo una riduzione dell’incidenza dei tamponi positivi.

“Chiudiamo tutto!”, finalmente

È stato un gruppo di attori teatrali e di star del cinema a dar voce alla frustrazione che serpeggiava fra i tedeschi, con l’iniziativa #allesdichtmachen, “chiudiamo tutto”, dove ironicamente chiedevano al governo di decidersi a vietare definitivamente ogni manifestazione culturale. Un anno, sostenevano i protagonisti di questa campagna nei loro video, dovrebbe essere bastato per capire che del teatro, del cinema e della cultura non c’è più bisogno; tutti dovremmo aver imparato che basta uno schermo a soddisfare i nostri bisogni secondari, al sicuro nelle nostre case e naturalmente distanziati e protetti da mascherine.

La voce della coscienza nazionale, a mezzo social, non si è fatta attendere: gli artisti sono stati accusati di farsi gioco dei morti e del personale medico e infermieristico. E dunque, i protagonisti provvedevano prontamente a rimuovere i loro video provocatori dalla rete; non abbastanza prontamente, però, perché i media (in prima linea Die Zeit) non iniziassero ad indagare. Si scopriva così che dietro questa azione si nascondeva una cospirazione intessuta da gruppi di estrema destra. Del resto, in questo le autorità e i giornali sono d’accordo, dietro ognuna delle proteste che hanno avuto luogo negli ultimi mesi, dietro ogni forma di scetticismo verso le misure di contenimento, così come dietro alle preoccupazioni per l’erosione delle strutture democratiche, si nasconde una rete di neonazisti, che mira al sovvertimento delle strutture democratiche.

“Devo controllare tutto! Devo entrare dentro il suo segreto! Devo diventare Caligari!”

Probabilmente, ciò che rende impossibile un’interpretazione univoca del capolavoro di Robert Wiene è il finale della pellicola. Vediamo qui il Dottor Caligari conversare amabilmente con i pazienti della sua clinica, alcuni dei quali riconosciamo come i protagonisti del film. Tutti sono vittima di un delirio, spiega il dottore ad un suo collega, in cui il loro medico curante ha i tratti di uno spregiudicato assassino. Fatichiamo a riconoscere nell’affabile psichiatra il folle dottore che commissionava gli omicidi ad un sonnambulo, ma al tempo stesso non sappiamo distinguere se Franzi e la sua amata Jane siano immersi forzatamente in un quieto mondo allucinatorio, oppure se la tranquillità in cui vivono nelle sale dell’ospedale sia il loro stato di coscienza ideale.

Nello stesso periodo in cui Angela Merkel imponeva al paese il freno di emergenza, la sentivamo parlare collegata col Forum Economico Mondiale con tono dimesso. Ora che si profila un’emergenza climatica, sarà necessario abituare le persone a cambiare radicalmente il loro stile di vita, costringendole anche con misure coercitive ad abbandonare le fonti di energia fossili – così suonavano le parole della Cancelliera (riprese in maniera più vaga anche da Mario Draghi). Dopo oltre un anno di misure draconiane, possiamo immaginare quale possa essere il punto di partenza di queste misure.

Che la prossima guida della Germania non sarà Angela Merkel non è una consolazione. Al momento, la persona più quotata per la sua successione, almeno stando ai sondaggi, è Annalena Baerbock, l’agguerrita segretaria dei Verdi. La Baerbock è espressione di una politica giovane, che ha ben presenti le mete da raggiungere: ambiente, economia verde e tante idee indiscutibilmente buone, dalle città liberate dalle automobili private alle energie rinnovabili, passando per la massificazione della dieta vegana, la transizione ad un’economia verde, la digitalizzazione, fino alla promozione di uno stile di vita sano per tutti. Si può star certi che l’esperienza degli ultimi mesi del governo Merkel sarà utilissima nella prossima legislatura; e che, nel prossimo mandato, non sarà necessario nemmeno un dissenso, tanto sono rosei i tempi che si profilano all’orizzonte.

**Immagine di copertina da YouTube

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