Editoriale del direttore responsabile Emilia Urso Anfuso
L’Italia è una nazione basata sulle riforme che ci chiede l’Europa in cambio di prestiti e sussidi. Potrebbe suonare così un rinnovato articolo 1 della nostra Costituzione. Parliamo di riforma delle pensioni, e di come va risolta in fretta la questione. Quota 100, tornata in auge con il governo Conte1 in forma sperimentale per tre anni, non ha dimostrato di essere una soluzione efficace come alcuni speravano. Il governo Draghi aveva quindi inserito, nella prima bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la cancellazione del pensionamento a 62 anni e con 38 anni di contributi versati.
L’Europa, però, a fronte dei prestiti promessi ci chiede – tra le altre cose – massime garanzie sulla solidità e sostenibilità del sistema previdenziale, ed ecco riapparire nel PNRR appena approvato, la riforma pensionistica che doveva essere cancellata entro la fine del 2021.
Tra le varie proposte avanzate per risolvere con urgenza la questione, arriva quella del Presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che ritiene probabilmente geniale di consentire l’uscita anticipata dal lavoro a 62 o 63 anni, coprendo l’assegno mensile utilizzando solo la parte contributiva, per poi aspettare il raggiungimento dei 67 anni per ottenere l’erogazione dell’assegno integrale. Ciò corrisponderebbe a proporre ai lavoratori di andare in pensione prima del previsto, ma ricevendo mensilmente, e per cinque anni, un assegno più basso rispetto a quanto previsto. Secondo il capo dell’Inps si tratterebbe di un sistema flessibile. Secondo chi spera di poter mollare il lavoro e godersi la meritata pensione, in special modo per chi ha affrontato per anni un mestiere usurante, trattasi di botta in testa.
Tridico mira a un ricalcolo della pensione con il metodo esclusivamente contributivo, come ha apertamente dichiarato durante il convegno “Pensioni: 30 anni di riforme”. La proposta, che si aggiunge ad altre sette giunte dai sindacati di tutte le sigle, nasce dall’esigenza di trovare una soluzione rapida al caos provocato da quota 100 sui conti pubblici, su cui graverà fino al 2035, con un esborso pari a circa 3,5 miliardi l’anno, importo che corrisponde allo 0,2% di Pil.
Fredda la risposta dei sindacalisti, che in coro dichiarano di voler sostenere il pensionamento a 62 anni e senza alcun tipo di decurtazione, anche se sostengono il rilancio, da parte dell’ente di previdenza nazionale, della pensione di garanzia contributiva dedicata al futuro dei giovani lavoratori. In considerazione del fatto che nel belpaese, a furia di mal riformare il sistema previdenziale, ci siamo persi per strada anche la pensione minima, con questo tipo di strategia si assicura a tutti un assegno mensile mai inferiore ai 660 euro, somma non legata al calcolo dei contributi versati. Insomma: meglio di un calcio sulle gengive.
Non si tratta di un tema superficiale, perché se non si dovesse trovare una soluzione condivisa dalle parti politiche e dai sindacati, resterebbe lo spauracchio di un ritorno al sistema Fornero, in un continuo carosello di contraddizioni che si abbatte sempre sulle spalle dei contribuenti. Il premier Draghi dovrà adoperarsi per non permettere quest’eventualità, e ci auguriamo che farà di tutto in tal senso.
Ce lo chiede l’Italia…
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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