Editoriale del direttore responsabile Emilia Urso Anfuso
Tomasi di Lampedusa, nel suo celebre romanzo “Il Gattopardo”, mise in bocca al personaggio di Tancredi, nipote del principe di Salina, la famosa frase: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi“. Ha un chiaro significato: affinché il potere resti al suo posto deve essere in grado di adattarsi alla nuova politica, ai cambiamenti, anzi, deve sostenerli. Al solo fine di restare al proprio posto.
È ciò che avviene da molto tempo in Italia, anche se nel corso degli ultimi anni si è fatto credere alla popolazione che qualcosa stesse cambiando, o meglio, qualcosa di nuovo sembrava essere finalmente arrivato per cambiare le cose in meglio.
In realtà, l’ennesima rappresentazione del cambiamento serviva solo a calmare acque agitate, a metter buoni i cittadini, a sedare focolai di rabbia popolare.
L’avvento del M5S, per esempio, a molti fece sperare che la propagandata “Aria del cambiamento” avrebbe prodotto un reale ribaltamento della situazione politica, ritenuta – da molti elettori – ormai giunta a un insano distacco dalle esigenze della popolazione, e a un famelico attaccamento a poltrone, potere e denaro.
Al grido di “Apriremo il Parlamento come una scatola di sardine” i 5Stelle arrivarono a sedere ai posti di comando. …Per restarvi stabilmente incollati. Mentre il sistema Italia continuava a traballare, mentre le finanze nazionali invece di essere razionalizzate continuavano a essere sperperate e redistribuite in nuovi rivoli, mai dedicati fasce di popolazione più bisognosa, si maturava l’idea che, prima o poi, il cambiamento promesso sarebbe giunto.
“Diamogli tempo”! e “Fateli lavorare”! sono state le frasi di sottofondo di un periodo storico segnato dai soliti scaldali, omissioni, mala gestione della cosa pubblica, a cui si sono aggiunte misure scopiazzate da altre nazioni – come il reddito di cittadinanza – e adesione totale a quella politica che a parole dicevano di voler ribaltare. Nulla di nuovo.
Nel frattempo l’Italia, che già necessitava di robuste inoculazioni di consolidamento dei vari settori socio economici, crollava miseramente sotto il solito peso: quello della bulimia di potere. Unico elemento certo e stabile nella storia della Repubblica italiana.
Oggi, a fronte di una situazione resa anche schizofrenica dall’avvento dell’emergenza sanitaria, tutto sta crollando e nulla fa pensare a un risorgimento del sistema, sia esso politico, economico, sociale o strutturale.
È sufficiente verificare come ci siamo ridotti con l’obbligo della richiesta di prestiti che ci arriveranno dalla UE, e che ripagheremo con la cancellazione di garanzie di futuro, di diritti e di certezze. Le famose “riforme” non ammoderneranno il sistema paese, perché saranno atte solo a privare gli onesti cittadini di quelle conquiste civili collezionate nel corso dei secoli. Non si tratta di un’opinione personale ma di fatti reali. Si parla già di pensionamento a 67 anni, poi chissà quando, ed è sufficiente leggere la distribuzione dei miliardi di prestiti europei per verificare come, nel settore della salute, siano distribuiti spiccioli. Non è al benessere, al futuro e alle garanzie di mantenimento dei diritti civili che guardano coloro che decidono della vita di ogni singola persona. Questo spero che sia chiaro ormai a molti.
Che tutti crolli affinché nulla cambi. È questa la strategia messa in atto in questo terzo millennio che doveva rappresentare l’era della modernità, e ci ha invece riportati indietro di qualche secolo. D’altronde, in un paese come il nostro, sconquassato da decenni di mala politica e mala amministrazione, è bastata una spolverata di prospettiva di poter morire anzitempo a causa di un virus per tacitare qualsiasi velleità di rivolta contro un potere ormai smisurato, e per rivolta non intendo le manifestazioni di piazza, quanto una riflessione collettiva per rimediare ai livelli di corruzione, e di mala gestione del denaro pubblico, per esempio.
Adesso tutto passa in secondo e in terzo piano, se il rischio prioritario non è più quello di non avere concessi i diritti civili, ma diviene lo spauracchio di potersi ritrovare con un tubo ficcato in gola e di non svegliarsi dalla sedazione farmacologica.
Qualcuno potrebbe dire: al primo posto la salute! Si, certo. Ci mancherebbe.
Peccato che per anni si è perso tempo a colpevolizzare i governi precedenti, le amministrazioni precedenti, le corruzioni precedenti, in un infinito scarica barile che, oggi, ci fa subire la scarsità di posti letto negli ospedali, l’impossibilità di ottenere una cura a una malattia ancora per certi versi oscura, e una nazione che crolla a pezzi, un’infrastruttura dopo l’altra, perché tanto al nulla del sistema di gestione del paese eravamo abbastanza abituati.
È all’abitudine che bisognerebbe dar battaglia in questo paese popolato da persone di scarsa memoria, ma forse ogni singolo cittadino ritiene di averne in abbondanza per rammentare ciò che è prioritario per se stesso. La coesione scarseggia anch’essa, come la coerenza.
Riferimenti
Video editoriale del direttore responsabile Emilia Urso Anfuso
**Immagine di copertina da questo editoriale di Emilia Urso Anfuso pubblicato nel 2019 su Agoravox
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