Di Claudio Rao
«Covid, positivi 15 anziani della Rsa Cremona Solidale vaccinati con Pfizer. Gli anziani erano stati vaccinati tra gennaio e febbraio».
La notizia, pubblicata dalla Collega Francesca Morandi del Corriere della Sera in data 26 marzo u.s., invita tutti alla prudenza e alla riflessione. Se rifiutare aprioristicamente il vaccino – per principio, potremmo dire – non sembra un atteggiamento razionale, la sua attesa messianica e liberatoria pare altrettanto esagerata.
Per questo l’articolo di Francesca Morandi, segnalatomi – per amor del vero – da un amico medico, ha interpellato il mio spirito cartesiano e mi ha spinto a documentarmi meglio. Evitando gli estremi.
Nel rispetto che devo ai miei lettori, capaci di riflessione autonoma e scelte responsabili, fornirò semplicemente qualche informazione che non toglierà, intendiamoci, l’interrogativo al nostro titolo, ma suggerirà elementi utili per forgiarsi un’opinione personale e più disincantata sull’argomento.
Un anno di pandemia ci ha insegnato alcune cose che possono fornirci una visione meno vaga, dunque meno emotiva e più razionale del SARS–CoV–2.
Ormai sappiamo per certo che l’uso delle mascherine è fondamentale. Abbiamo anche appurato che questo mefitico virus può colpire le persone sotto i 50 anni e perfino sotto i 30. Anche se, com’è noto, il rischio aumenta con l’età (a causa dell’invecchiamento del nostro sistema immunitario) e le comorbidità. Le persone che soffrono d’ipertensione, diabete e obesità risultano chiaramente più esposte.
Allo stato attuale, le mascherine FFP2 e le visiere protettive sono le uniche capaci di proteggerci negli ambienti a rischio. Sappiamo infatti che la diffusione del virus avviene attraverso l’aria e non soltanto tramite le goccioline di saliva che emettiamo parlando, tossendo o starnutendo. E che penetra nel nostro organismo via bocca-naso-occhi.
Nonostante il Covid non sia l’influenza, molti dei loro sintomi si assomigliano: febbre, tosse, senso di stanchezza e spossatezza. Alcune persone avvertono ugualmente dolori muscolari, mal di testa e sono colpite da vomito e dissenteria. Entrambe queste patologie (influenza e coronavirus) possono essere trasmesse da individui in salute, i cosiddetti asintomatici (in altre parole, dai “portatori sani”).
Altro insegnamento. La trasmissione del contagio attraverso i sacchetti o gli imballaggi alimentari (della spesa, per intenderci) è infimo. Nell’agosto dello scorso anno, l’OMS ha dichiarato che non c’era « nessun caso documentato di Covid-19 trasmesso da alimenti o imballaggi alimentari ».
Per ciò che riguarda la consegna a domicilio, l’unica raccomandazione è quella di lavarsi accuratamente le mani dopo il ritiro. L’igienizzazione costante e continua delle mani resta l’imprescindibile gesto salvavita. Alcuni esperti suggeriscono di utilizzare una sola volta i sacchetti di plastica.
Infine, di Covid purtroppo ci si può riammalare. I ricercatori dell’azienda sanitaria britannica «Public Health England» ci rassicurano, precisando che la maggioranza dei pazienti che hanno contratto la malattia (l’83%) risultano immunizzati. Tuttavia in diversi Paesi si conoscono (rari) casi di persone reinfettate. E le diverse varianti non rassicurano al riguardo.
Riflettendo su questa pandemia, una delle evidenze più sconcertanti è stata quella di constatare come medici con formazioni ed esperienze analoghe, abbiano visioni ed opinioni diverse sul Covid, sulla sua diffusione e sulle precauzioni da adottare. Alcuni di loro si sono spesi per curare le patologie conseguenti, gli effetti collaterali di questo illustre sconosciuto (al momento incurabile), limitando così l’arrivo di molti pazienti nei servizi di rianimazione.
Se la linea che ha prevalso in Occidente è stata quella di un confinamento generalizzato delle popolazioni per favorire il calo dei contagi e ridurre l’afflusso alle strutture ospedaliere ormai al collasso, il metodo dei Paesi asiatici è stato quello di testare, individuare e isolare le persone positive a rischio. Paesi che, ricordiamolo, hanno ottenuto buoni risultati nel contenimento dell’epidemia.
Il primo approccio che si è rivelato efficace è stato quello di reperire i focolai d’infezione e di isolare unicamente gli individui contagiati, mettendoli in quarantena (a questo scopo, l’analisi delle acque delle fognature si è dimostrata utilissima). Ristabilendo contestualmente un controllo alle frontiere per ottenerne le dovute garanzie sanitarie.
In Australia, per esempio, il controllo alle frontiere si è prodotto per volontà dei governatori dei singoli Stati, nonostante l’opposizione del Primo ministro.
Potremmo ipotizzare che – se il nostro sistema giuridico lo permettesse – l’isolamento dei pazienti testati positivi in apposite strutture o in hôtel (con il conseguente controllo e sostegno finanziario) sarebbe più efficace ed economico di un lockdown generalizzato.
Istituti scolastici, case di lunga degenza e di riposo, ambienti di lavoro potrebbero essere dotati di sensori di CO2 (l’anidride carbonica, responsabile dell’effetto serra) per segnalare quando è necessario aerare gli ambienti.
In Gran Bretagna, l’uso degli ossimetri (apparecchietti tascabili per misurare la quantità di ossigeno legata all’emoglobina nel sangue) si è rivelato un utilissimo strumento di monitoraggio e prevenzione.
In Corea del Sud, l’uso del QR Code (codice a barre) per il tracciamento dei contatti ha dato ottimi risultati. Affidato ad autorità indipendenti e strettamente vincolate alla normativa sulla privacy. Uso che potrebbe essere esteso per regolare le code ai servizi, negli uffici o ai supermercati.
Altro suggerimento efficace è quello di dotare le scuole – che, ricordiamolo, apriranno anche in zona rossa con un corteo di docenti ultracinquantenni – di decontaminatori a perossido di idrogeno per le mascherine trasparenti e le visiere protettive. Oltre che per le superfici ad uso corrente.
Infine, perché non fare appello ai nostri giovani ricercatori per suggerirci strumenti e metodi per la purificazione e la sanificazione dell’aria, l’individuazione delle zone e dei mestieri più a rischio? Sappiamo infatti che i lavoratori di fabbriche che usano solventi o coloro che vivono in quartieri particolarmente inquinati hanno una fragilità polmonare che li espone maggiormente ai rischi legati al SARS-CoV-2.
La quarantena impostaci sta tenendo conto degli ambienti più a rischio? È noto che la trasmissione avviene prevalentemente tra amici, nelle mense aziendali, nelle sale di riunione, nei bar, nei parchi gioco, sui trasporti pubblici, negli ospedali (laddove non vi sia, come in certi Paesi, la differenziazione tra Ospedali-Covid e Ospedali-no-Covid) e decisamente meno per strada, all’ingresso di negozî e supermercati, negli uffici pubblici e nelle scuole dove vengono applicati protocolli piuttosto precisi e puntuali.
Torniamo alla nostra riflessione sull’opportunità della vaccinazione. Omettendo emozioni e stati d’animo per concentrarci sui dati. Interroghiamoci, fronte alle impressionanti statistiche sui decessi Covid (veri e propri bollettini di guerra, a forte impatto emotivo) sul reale tasso di letalità di questa pandemia. Sottraendo i decessi che avremmo comunque, fatalmente, ogni anno per età, malattia ed incidenti. Tenendo conto di quelli che abbiamo evitato per la riduzione degli episodi influenzali grazie alle misure igieniche preventive adottate. Aggiungendo quelli causati dai rinvii e dalla sospensione delle cure per via della paralisi del sistema ingenerata dalla pandemia. Domandandoci banalmente quanti sono stati i morti DI Covid (causate dal virus) e quanti i morti COL Covid (che si è aggiunto ad altre patologie accelerandone il decorso). Troppi, senza dubbio. Ma con una differenza talora sostanziale.
Questa pandemia ha miracolosamente sbloccato fondi e risorse eccezionali e congiuntamente genera miliardi di danni.
Allora, da cittadini e contribuenti possiamo legittimamente domandarci perché nel fare appello in maniera fideistica alla vaccinazione senza approfondirne rischi ed effetti collaterali (che talora si manifestano a distanza di lustri), non venga esplorata come alternativa al lockdown delle zone rosse almeno qualcuna di queste suggestioni?
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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