USA: Trump, Biden e l’immigrazione

USA: Trump, Biden e l’immigrazione

Di Claudio Rao

Joe Biden, Presidente in carica degli Stati Uniti d’America, di fronte all’enorme affluenza di migranti dopo la sua elezione, in un recente intervento televisivo li ha invitati (con un certo imbarazzo) a rinunciare, a restare nei propri Paesi e nelle proprie città. 

Ricordiamo che Biden, membro del partito democratico, aveva criticato le misure (definite « disumane ») del suo predecessore Donald Trump. Ora è lui ad essere accusato dai Repubblicani per aver provocato una crisi migratoria senza precedenti.

È possibile ritenere il presidente Biden responsabile del sogno di migliaia di persone di raggiungere gli Stati Uniti? 

La storia dell’immigrazione negli USA è particolare ed è importante possedere un minimo di elementi prima di proferire sentenze, magari sull’onda lunga di questo o quell’opinionista sentito la sera prima in televisione.

Gli Stati Uniti sono, nell’immaginario collettivo, un Paese d’immigrazione. Una terra di naturale accoglienza. Vediamone la fondatezza.

Risalendo la Storia e solcando l’oceano nell’altro senso, arriviamo in Inghilterra nella prima metà del XVII° secolo. Quando Cromwell assume il potere, caccia dal Paese i «puritani», ovvero coloro che si rivoltano contro il potere monarchico e che si esiliano negli Stati Uniti.

Fuggendo la repressione inglese ed essendo, di fatto, i primi migranti su queste terre.

Sono persone di confessione protestante, pie e devote, che occuperanno le terre dell’Est degli attuali USA. Non sono affatto numerosi. Pensiamo che, un paio di secoli dopo, nel 1800, gli Stati Uniti contano soltanto 2 milioni di abitanti (escludendo i nativi americani).  Nel 1850, saranno 23 milioni.

All’inizio del XIX° secolo, vi è una seconda ondata immigratoria composta essenzialmente da Inglesi, Tedeschi e Irlandesi. Europei del Nord, sostanzialmente. Verso la fine del secolo (1870/1880) le succede un’altra ondata, più variegata: Italiani e popolazioni dell’Europa dell’Est (per lo più di confessione ebraica). Seguiti dai Russi, a seguito della Rivoluzione d’ottobre del 1917.

L’immigrazione dai Paesi asiatici è più costante e continua, anche se potremmo situarne i suoi albori ugualmente in questo periodo.

Nel 1900 gli Statunitensi erano approssimativamente 100 milioni. Oggi sono 350 milioni.

Queste osservazioni ci invitano a riconsiderare il ruolo (francamente eccessivo) che tradizionalmente si attribuisce all’immigrazione in questo Paese. E a rivalutare altri fattori, come per esempio, il tasso di natalità dei primi immigrati inglesi, anche grazie alle loro convinzioni religiose. E, contestualmente, il tasso di mortalità infantile, in forte calo. Due fattori che spiegano ed illustrano la conseguente crescita demografica.

Una data-chiave nella storia degli USA è il 1924. Cinque anni prima della crisi del 1929. In questo periodo gli stranieri sono circa il 15 % della popolazione e gli Statunitensi intendono arrestarne la crescita. Promulgano una legge che impedisce il ricongiungimento familiare (non è più possibile farsi raggiungere dal resto della famiglia) e stabiliscono delle percentuali legate alla nazionalità. Riferendosi ad una statistica della popolazione americana dei primi del Novecento, ne esaminano la percentuale legata ai vari Paesi di provenienza e stabiliscono che non debba più cambiare (non si accettano più immigrati della nazionalità che supererebbe il limite dato).

Legge che ridurrà drasticamente l’immigrazione, se pensiamo che fino al 1970 la percentuale era del 4,7 %. Tuttavia è questo provvedimento (draconiano, visto dal 2021) che favorirà nei decenni successivi la progressiva assimilazione delle popolazioni straniere sul territorio americano.

Il 1965 è una seconda data-chiave nella storia dell’immigrazione statunitense. In quell’anno, sotto la presidenza del democratico Lyndon Baines Johnson, succeduto a John Fitzgerald Kennedy, assassinato due anni prima, abolisce la legge del 1924. Ristabilisce il ricongiungimento familiare e revoca le percentuali  massime consentite.

La nuova legge favorisce de facto l’immigrazione da ogni parte del mondo verso gli Stati Uniti. In particolare dal Sud America, ma anche da Asia e Africa. Questo ci spiega come, più di mezzo secolo dopo, l’immigrazione venga ad imporsi nel panorama socio-politico americano.

Due date, due concezioni della politica migratoria, due diverse conseguenze sociali. Opposte? Complementari? Il dibattito è ampio. E spinoso. Non è nostra intenzione direzionarlo, convinti come siamo dell’importanza della riflessione individuale e del libero pensiero. Pensiero e riflessione che però debbono basarsi su una conoscenza – ancorché minima – dei fatti.

Un breve flash delle conseguenze dell’immigrazione, per completare il quadro. La prima ondata, quella del XVII° secolo, ha provocato la lenta, ma inesorabile estinzione dei nativi americani. Quella odierna, nell’inconscio collettivo degli statunintensi, probabilmente fa temere loro il rischio di progressiva estinzione (ad immagine dei primi abitanti del continente che definiamo spesso erroneamente « Indiani ») ; provocando reazioni viscerali e financo estreme.

L’epopea della popolazione di colore, è volontariamente stata omessa dal quadro (già assai complesso) per via del fatto che la loro fu una deportazione legata alla schiavitù e non un’immigrazione « per scelta ». Una fascia della popolazione, quella nera, i cui diritti sono stati riconosciuti assai tardivamente dalla società americana. E la cui proliferazione è ampiamente inferiore a quella ispanica, per esempio. Demograficamente meno incisiva, dunque.

Tornando all’attualità che ha ispirato il nostro articolo, la richiesta del presidente Biden in un’intervista televisiva ai migranti di restare nelle proprie comunità, non gli si può certamente imputare il sogno di migliaia di persone di raggiungere gli Stati Uniti. Nonostante, così facendo, rinneghi le sue promesse elettorali. Promesse, dichiarazioni e atteggiamenti che hanno in qualche modo incoraggiato il flusso migratorio che ora si trova a subire.

Il problema dell’immigtrazione negli USA resta dunque di bruciante attualità. Una difficoltà imbarazzante con la quale si sono dovuti misurare tutti i presidenti degli ultimi decenni. Lo stesso Obama, tra il 2009 e il 2014 dovette estradare 2 milioni e mezzo d’immigrati clandestini.

Una domanda – un pò provocatoria – per finire. Che quella dell’immigrazione, negli USA, sia una questione legata alla… retorica politica ? I Democratici, pur espellendo gli irregolari sostengono che l’immigrazione è una risorsa per il Paese, mentre Trump (e l’analoga politica “repubblicana”) respingendoli nella stessa maniera, sostiene che sono tutti dei delinquenti. Una retorica che – volenti o nolenti – esordisce i suoi effetti. Sotto la presidenza Trump, infatti, l’America ha conosciuto una caduta libera dell’immigrazione (clandestina e legale, non concedendo più permessi di soggiorno).

Una cosa è certa. L’immigrazione sarà il tema politico centrale dei prossimi anni : sia a livello europeo che internazionale. Prova ne sia l’ancor più recente annuncio della ministra dell’Interno del Regno Unito che intende modificare in senso assai restrittivo la politica di accoglienza dei migranti.

«Affaire à suivre» come dicono i Francesi. 

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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