La storia di un uomo che ha avuto il coraggio di cambiare vita per dedicarsi alla produzione del vino dalla “a alla zeta”.
Un amore per il vino nato poco a poco quello di Francesco Rizzo, proprietario dell’Azienda VINISOLA a Pantelleria, e che deriva proprio dalle sue origini pantesche, coltivate attraverso i nonni, e poi riscoperte e apprezzate dieci anni or sono, grazie all’idea di far rivivere i vecchi terreni a vite e dare inizio a quella che oggi è un’azienda vinicola in piena espansione.
Formatosi alla Bocconi, Francesco Rizzo vive e lavora a Gavirate provincia di Varese, quindi ben lontano dalle sue origini. “Sono il primo da generazioni a non essere nato a Pantelleria perché mio padre per lavoro, negli anni ’50 si è trasferito al Nord. Lui pantesco ha cercato di riavvicinarsi almeno alla Sicilia, nostalgico del sole e del mare e ha sempre mantenuto i terreni nell’isola di origine”.
Francesco quindi vive e conosce Pantelleria grazie alle lunghe vacanze estive con i nonni “e in quei tempi mi ricordo le gabbiette ricolme di uva da portare immediatamente al porto per farle arrivare nei mercati siciliani”. In quei luoghi avere la terra coltivata a vite è la normalità, tanti sono gli appezzamenti di terreno dei contadini dalle mani corrose a furia di cura e dedizione “tutti i panteschi si fanno il vino in casa!”. Così Francesco, dopo le sue lunghe esperienze in società finanziarie di tiro internazionale “dove ho avuto responsabilità per Italia e Grecia, tanto per nominare il mio ultimo posto di lavoro”, decide di riprendere i terreni e produrre vino di qualità.
Grazie all’aiuto del grande enologo pantesco, Antonio D’Aietti che conta alle spalle 40 vendemmie, oltre ad aver fatto l’azzonamento dell’isola con il professor Attilio Scienza, nel 2010 nasce l’azienda Vinisola, omaggio già nel nome al luogo di origine. “D’Aietti mi spinge a compiere questo passo a seguito del fallimento della maggior parte delle cooperative di Pantelleria e soprattutto perché ancora mandavamo le uve a vinificare in altre aziende”. Quindi, con la spalla forte del cantiniere storico, Antonio Lo Presti, si susseguono l’affitto dei magazzini, l’acquisto dei macchinari e l’azienda inizia a produrre il vino “dalla a alla zeta”. “Con D’Aietti – ci spiega Francesco – abbiamo unito le due grandi passioni, che noi chiamiamo anche pazzie, il vino e l’isola”.
Uva principe dell’isola è ovviamente lo zibibbo vinificato secco e dolce. Rizzo ci tiene a precisare la differenza tra passito naturale e liquoroso, dove l’aggiunta di alcol fa il suo gioco. “Noto che spesso tra passito dolce e liquoroso si fa confusione, e questo non rende l’idea della produzione reale, perché di passito naturale in effetti non ce ne è tantissimo”. Sulla stessa isola il rapporto tra passito naturale e liquoroso è circa uno a otto. “Produciamo tutto al 100% con uve doc dell’isola, e ultimamente abbiamo deciso di raccogliere l’uva in cassette da 12/13 kg, quindi l’uva deve essere perfetta, pur essendo più costoso questo accorgimento ci dà una garanzia di qualità – ci conferma Francesco Rizzo”.
Le uscite dell’azienda che danno il via a questa fortunata storia, sono ben tre: il bianco secco chiamato Zèfiro, nome preso dal vento della primavera cantato anche da Petrarca, che avremo in degustazione, per l’anno 2019, mentre veniamo a sapere che il 2018 è già sul book di Vinitaly, e ha meritato 2 bicchieri Gambero Rosso nel 2017. Il secondo è Arbaria, un passito dolce chiamato così dal dialetto che significa calma piatta, “abbiamo immaginato di sorseggiarlo su uno scoglio bollente in uno di quei giorni rari e calmissimi a Pantelleria” – ci racconta Francesco. Infine il Moscato Liquoroso che non abbiamo la fortuna di assaggiare oggi.
Lo Zèfiro ha una storia dietro che ci fa ridere e pensare “risale – continua Rizzo – ad una degustazione con alcuni inglesi che non volevano assaggiarlo perché ha questa aromaticità tipica dello zibibbo e hanno detto no, è un vino dolce, allora ho risposto guardate, provate a scollegare cervello e naso e sentite solo quello che avete in bocca, troverete il sale, mare, questa sapidità col finale mandorlato. Con loro lo chiamammo sweet and salty e così lo nominano ancora quando mi fanno nuovi ordini”. Parlando con Francesco ci accorgiamo che lo zibibbo è versatile e si presta a diverse sperimentazioni. Basti pensare come da un vitigno dolce abbiano prodotto una gamma di vini che vanno da quello invecchiato con 0 grammi zuccherini, allo Zèfiro che ne conta intorno all’1, poi un frizzante con 10 gr zuccherini, un Moscato demisec con 32/35 gr zuccherini, il moscato liquoroso intorno ai 110 gr zuccherini e infine il passito che viene mantenuto sempre fra 135 e 145 grammi zuccherini, in equilibrio con una spalla acida che rende questo vino molto piacevole. “Normalmente le nostre bottiglie appena aperte scompaiono, l’enologo dice che bisogna cambiare fornitura perché evidentemente hanno dei buchi!” – esclama sorridendo Francesco, e non ha tutti i torti, il vino è davvero ottimo!
Francesco e il suo enologo però non si fermano qui. A Pantelleria una volta c’era lo spumante “allora ho detto perché non lo riportiamo? Erano 25 anni che non si faceva più dalla a alla z sull’isola”. Ed è così che nel 2013 fanno arrivare due autoclavi sull’isola e nasce Shalai “che significa piacere intenso e profondo, perché è stato un piacere riportare sull’isola questo prodotto che noi facciamo demisec, quindi poco dolce – continua il nostro ospite – in cui si sente l’acino dello zibibbo, il Mediterraneo, un vino molto particolare, ma apprezzato da chi lo assaggia”. Rizzo ci racconta anche che in un certo periodo i contadini facevano un secondo vino che fermentava molto a lungo e diventava frizzante, ma usavano uve diverse, “noi invece lo abbiamo fatto col 100% di uve zibibbo, ed è l’unico esistente al mondo. Si chiama Amanolibera. Ci domandiamoperché –allora ci racconta con goliardia Francesco – “erano le otto di sera e stavamo parlando da ore, e io ho detto a D’Aietti, senti hai mano libera, adesso però andiamo a mangiare! E lui da quel momento si è scatenato!”. Di questo frizzante sono state prodotte anche 8.000 bottiglie, perché è un vino fresco ed estivo che si fa molto amare.
Il terzo frizzante, che fortunatamente abbiamo in degustazione è Vòta e Firrìa, che sempre in dialetto significa voltati e gira, come una trottola, “questo vino ripercorre la storia ma voltandosi al futuro. Infatti a Pantelleria una volta c’era un’uva rossa, il Perricone, che adesso sta scomparendo. Sostituito dallo zibibbo, qualche contadino se l’è tenuto e qui sull’isola è probabilmente precedente a quello del trapanese, tanto che gli isolani lo chiamano nostrale”. Lo zibibbo si volta al passato, prende il Perricone e insieme volteggiano al futuro. Ne parleremo nella sezione dedicata alla degustazione.
Francesco però dedica ancora qualche minuto per parlarci dello zibibbo, simbolo dell’isola e vetrina di una geografia varia e complessa come quella italiana. “Il terroir conta, anche con lo stesso tipo di vitigno – ci dice Francesco Rizzo – il vitigno zibibbo trapanese nasce per esempio su un terreno alluvionale, il nostro invece sta su uno zoccolo vulcanico ancora in movimento con i soffioni e l’acqua calda. Il mio terreno, da cui facciamo il sesto vino Dop, l’A’mmare vino bianco invecchiato, è a rocce vulcaniche affioranti, con cappero e vite, 35 metri s.l.m. e gode del mare a 200 metri, quindi avrà determinate caratteristiche, però il suo valore rimane forte anche nei terreni più interni. Sarà infatti l’abilità dell’enologo a creare il giusto mix di uve che vengono da zone diverse, per il passito per esempio utilizziamo zone più calde tipo Campobello, mentre cambia la scelta per il bianco secco che vuole uve prese sopra il lago, verso l’interno”.
La scalata all’Olimpo del vino però Francesco la compie con A’mmare, quando nel 2011 decide di tenere in un silos l’uva del terreno lasciata a maturare con batonnage periodici, “lo abbiamo imbottigliato nel 2016, con 15,5% e zero gr zuccherini e ricco di sentori di fieno e tabacco, è uno spettacolo con un bel baccalà alla vicentina. Ci è anche capitato di averlo degustato nel sud della Sicilia con gamberoni alla griglia, e al tavolo accanto il nostro vicino ha detto ironicamente io aspetto il sigaro!”. Il passo dalla produzione al podio è breve “per questo vino abbiamo scelto confezioni di legno, solo 1040 bottiglie tutte numerate”. Per scommessa Francesco manda A’mmare a Londra per il Decanter World Wine Awards “Siamo nel 2018 e saliamo sul podio dei vini siciliani con ben due premi, A’mmare zibibbo secco del 2011 con 96 punti, e con il passito Arbaria del 2015 che si merita medaglia d’oro con 95/100, quasi un testa a testa con il Ben Ryé di Donnafugata”. Ci ricorda altre soddisfazioni col passito premiato con un platino come miglior vino dolce del sud Italia nel 2016 per la vendemmia del 2013. Ma non solo, la lista è lunga e destinata ad ampliarsi.
Francesco è una persona amabile, la sua vivace risata riempie il nostro spazio virtuale con grande spirito e presenza. Ammette di non avere l’esperienza dei contadini che fanno questo lavoro da oltre cinquant’anni, ma riesce comunque ad esprimere grande elasticità e capacità di movimento in un racconto che si dipana perfettamente in tutte le frange del mondo del vino, anche quelle più ruvide, tra vigneti, uvaggi, lavorazioni e resoconti finali. “Ascolto quello che enologo e cantiniere mi dicono, anche i contadini, con loro ho un rapporto tale che in periodo di vendemmia e potatura li raggiungo e cerco di imparare qualcosa. Il mio contadino che ha iniziato da piccolo avrà almeno cinquant’anni di esperienza!”. In questo atteggiamento si legge uno sforzo costante di mantenere i vitigni di Pantelleria vivi ed evitarne la scomparsa.
L’estero accoglie ancora poco questa azienda che ha molta strada da fare, per ora Belgio e Olanda con il passito, ma in un periodo post emergenza Covid, Rizzo non ha dubbi sul fatto di riuscire ad allargare gli orizzonti. Si stanno iniziando rapporti con Germania e Polonia. Su un e-commerce si raggiungono i clienti privati in Inghilterra, i famosi di sweet and salty, Francia e Stati Uniti. “Siamo contenti per i nostri primi dieci anni, ma sappiamo di essere appena una start-up”.
DEGUSTAZIONE
Ed eccoci al momento della degustazione. Il Perricone rosato frizzante, Vòta e Firrìa, è il primo vino che andiamo a degustare ed è anche un prodotto unico nel suo genere, con uva Perricone all’85% e 15% di Zibibbo. Un rosato intenso, quasi un rosso, con un’effervescenza abbastanza persistente ma non troppo invadente. Profumo singolare, erbaceo, minerale e balsamico. In bocca fresco con accenni di frutta rossa matura e speziato. Servito alla giusta temperatura e con l’aiuto dell’effervescenza, questo vino si può abbinare tranquillamente a piatti di pesce crudo o ad un ostrica Bèlon dal gusto poco salmastro. Il secondo vino che ci racconta Francesco è lo Zèfiro. Uno Zibibbo dal giallo paglierino brillante. Al naso, oltre alla grande mineralità, esce subito fuori il dolce classico dell’uva utilizzata, con sentori di frutta a polpa bianca matura, fiori bianchi. In bocca il dolce rimane solo con note di glicerina ma ci accorgiamo subito della sapidità avvolta da una splendida freschezza. La frutta matura fa da bilanciere alla sapidità rendendolo equilibrato ed intenso. Ovviamente un vino importante da abbinare a piatti complessi di pesce ma anche a carne non troppo elaborata. Francesco ci ricorda che “l’affinamento si fa solo in acciaio, perché lo zibibbo ha già tutto nella buccia e nell’acino e quindi non ha bisogno di legno”. Il terzo vino che apriamo è il Passito di Pantelleria Arbaria 2016. Vino giallo ambrato, elegante già nel colore. Al naso il profumo dell’uva è molto intenso con accenni balsamici. In bocca ottima l’acidità che fa da spalla ai 135 gr di zucchero lt. Vino molto persistente da abbinare a formaggi erborinati e pasticceria secca.
Giunta l’ora dei saluti, lasciamo il nostro amico con rammarico, perché grazie alla sua simpatia abbiamo sentito meno la distanza, breve ma sempre intensa, quando si tratta di profumi e sapori che sarebbe bello gustare insieme.
Arrivederci al prossimo appuntamento. Stavolta torneremo a casa con belle sorprese da Frascati!
DONA ORA E GRAZIE PER IL TUO SOSTEGNO: ANCHE 1 EURO PUÒ FARE LA DIFFERENZA PER UN GIORNALISMO INDIPENDENTE E DEONTOLOGICAMENTE SANO
Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
Lascia un commento