Di Can Dündar
Il presidente turco utilizza adesso un nuovo metodo per eliminare i suoi avversari: linciaggi e minacce non vengono praticamente condannate, talora addirittura incoraggiate.
Aleksej Naval’nyj, il quale, dopo essere stato curato in Germania per l’avvelenamento successo in Russia, è ora tornato nel suo Paese, mi ricorda i sovrani ottomani. Nelle lotte di potere nel Serraglio di Istanbul il veleno era un’arma potente; ogni cibo veniva testato da un assaggiatore prima che fosse portato sulla tavola del sultano. Che tristezza vedere che il veleno viene impiegato ancora nelle lotte di potere. Alla corte del presidente Erdogan, invece, organizzata sul modello dei sultani ottomani, è utilizzato un altro strumento per eliminare gli avversari: il linciaggio.
Negli ultimi cento anni questo strumento non è stato utilizzato nella politica turca. Ci sono stati, in effetti, degli attentati a dei leader della resistenza, ma erano dei singoli casi che scatenavano altrettante proteste. Ma nel frattempo gli assassini vengono addirittura incitati da parte del governo e proprio guidati – e in seguito ricompensati con l’impunità.
Gli attentati incominciarono, non a caso, dopo le elezioni comunali, nelle quali Erdogan perse metropoli come Istanbul e Ankara: il 21 aprile, tre settimane dopo le elezioni, durante un funerale nei pressi di Ankara, una folla sobillata si scagliò contro Kemal K?l?çdaro?lu, capo della coalizione dell’opposizione. Fu preso a sassate e a pugni; riuscì a salvarsi a fatica. Dopo tutto ciò non ricevette, da parte del governo, neppure un augurio di guarigione. Il processo contro gli autori di questo attacco, tutti a piede libero, è ancora in corso.
Nel novembre 2020 K?l?çdaro?lu ricevette una lettera di minacce da parte di Alaattin Çak?c?, un boss della mafia che era stato scarcerato. Questi minacciava di impalare K?l?çdaro?lu – un metodo con cui, sotto gli Ottomani, erano puniti i nemici. Tuttavia Erdogan, elogiato dal boss della mafia in uno scritto pubblicato anche sui social media, e anche Devlet Bahçeli, capo del Partito del movimento nazionalista (MHP), una formazione di estrema destra, hanno distolto apposta lo sguardo da queste minacce.
Minacciare gli altri è in effetti praticamente permesso. A Istanbul, la scorsa estate, una banda di picchiatori ha pestato il deputato socialista Bar?? Atay, uno dei più accaniti critici del governo. In precedenza un gruppo di cinquanta radicali di destra aveva compiuto un assalto alla casa di Meral Ak?ener, la presidente del secondo partito della coalizione dell’opposizione. Successivamente toccò all’ex premier Ahmet Davuto?lu e all’ex vicepremier Ali Babacan che hanno voltato le spalle a Erdogan e hanno fondato un loro partito. Adesso il governo prende di mira questi due partiti dato che essi indeboliscono la sua base. I timori si sono avverati. A metà gennaio il vicepresidente del Partito del Futuro di Davuto?lu è stato gravemente ferito davanti a casa sua a bastonate e colpi d’arma da fuoco. Nella stessa giornata dei delinquenti hanno attaccato un giornalista che aveva intervistato l’uomo politico. Neppure questi delitti sono stati condannati da parte del governo. Al contrario, da complici vicini al governo sono stati messi in circolazione dei messaggi di sostegno a questi delinquenti.
Un motivo di questa improvvisa e pericolosa escalation si trova nel fatto che Erdogan, di mese in mese, sta continuando a perdere terreno nei sondaggi. Se si votasse oggi, il totale dei voti del blocco di governo non basterebbero a rieleggere Erdogan. Nei sondaggi di opinione i due sindaci di Ankara e di Istanbul, le cui stelle sono sensibilmente in crescita, si trovano per la prima volta a parità con Erdogan. In fasi di pericolo di perdita di voti Erdogan ha sempre seguito la tattica di procurare delle tensioni a livello internazionale per soddisfare i suoi seguaci e indebolire ulteriormente l’opposizione. Di fronte alla minaccia di sanzioni economiche da parte dell’Unione Europea e con lo sguardo rivolto all’insediamento di Joe Biden negli Stati Uniti, gli è diventato chiaro che non può più usare questa tattica. E’ questo il motivo per cui adesso dirige le aggressioni verso l’interno.
Il mese scorso la polizia ha ricevuto l’autorizzazione, nel caso di disordini sociali, a impiegare anche le armi e a ricorrere ai veicoli dell’esercito. Nell’opposizione si è dell’idea che questo regolamento si debba alla paura della ribellione. All’inizio del mese task force della polizia hanno fatto irruzione negli appartamenti di studenti che avevano protestato contro la nomina a rettore della prestigiosa università del Bosforo di un membro dello AKP [Partito per la Giustizia e lo Sviluppo – il partito di Erdogan].
Anche questo fatto è stato interpretato come una miscela di intimidazione e dimostrazione di forza.Quando nel 2002 Erdogan ha conquistato il governo, nelle prigioni vi erano 60.000 carcerati, oggi sono all’incirca 300.000 – una crescita che si verifica neppure dopo colpi di stato militari. Tra i reclusi si trovano anche i due ex co-presidenti del secondo partito nel Parlamento. Le 94 prigioni costruite negli ultimi cinque anni non possono più coprire il fabbisogno. Un programma di investimenti per il 2021 prevede la costruzione di 39 altre nuove carceri.
Un giornale lealista ebbe a scrivere un paio di anni fa che un team di igiene composto da 5 membri testerebbe i cibi nel palazzo presidenziale. Il “sultano” viene ben protetto dal pericolo di un avvelenamento. Ma per coloro che egli prende di mira il pericolo aumenta di giorno in giorno.
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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