Di Daniel Abbruzzese
150 anni di unità nazionale, una gestione della pandemia apparentemente fallimentare e la fine dell’era Merkel. In Germania c’è decisamente poco da festeggiare, al momento.
Anniversari e festività mancate
È naturale che un paese con un passato ingombrante come la Germania si trovi in difficoltà con commemorazioni e anniversari. In certi casi il destino sembra addirittura essersi accanito con le date: il 9 novembre ad esempio, giorno della caduta del muro, è talmente carico di significati da non aver mai potuto assurgere al rango di festa nazionale. In questa data si sono infatti sovrapposti l’abdicazione del Kaiser dopo la Grande Guerra, il putsch di Monaco e la Notte dei Cristalli.
Non è tuttavia né a causa della pandemia né per uno scherzo del destino che il centocinquantesimo anniversario dell’unità nazionale non verrà festeggiato. È piuttosto il fatto che il processo di unificazione si sia compiuto con la guerra Franco-Prussiana e la proclamazione del Secondo Reich a rendere questa ricorrenza problematica. Non a caso, uno degli hashtag più ricorrenti in questi giorni è #niewiederdeutschland, mai più Germania. Per molti, l’idea stessa di nazione tedesca è inscindibile da quella di imperialismo, dal militarismo e, ovviamente, dai dodici anni di dittatura nazionalsocialista.
Gli eventi di queste ultime settimane, in particolarmente oltreoceano, ci suggeriscono quanto ciò che avviene sui social media sveli in maniera più profonda ciò che accade nella realtà. E in effetti, quel “mai più Germania” è sintomatico del sentimento che domina in questo momento storico: l’insofferenza, nei confronti del passato, ma soprattutto nei confronti del presente. Se infatti il governo Merkel aveva gestito la prima fase della pandemia in maniera esemplare, in questa ondata invernale sembra ripetersi ciò che è avvenuto in Italia in primavera: misure sempre più restrittive e illogiche, che non sortiscono alcun effetto positivo né sul numero di contagi né sui decessi, aiuti economici alle piccole e medie imprese elargiti con estrema fatica e con grande ritardo.
Neanche il futuro offre prospettive più rinfrancanti: è ormai certo che i prossimi tempi non porteranno un ritorno alla normalità. Ed è altrettanto certo che a settembre 2021 volgerà al termine l’era di Angela Merkel: sedici lunghi anni di crescita economica e di prestigio internazionale, nella comune narrazione, ma soprattutto tre lustri trascorsi senza grandi scossoni. E per la maggioranza dei tedeschi, ancorati alle abitudini come ad una religione, la fine di questa continuità rappresenta quasi un evento apocalittico.
Un domani che tarda ad arrivare
Lo hashtag della campagna elettorale della CDU, “per domani”, avrebbe voluto riecheggiare i toni di cambiamento e rottura di gran moda fra i giovanissimi. In realtà, quel #wegenmorgen suona più come una promessa di continuità, che si basa sulla certezza che anche il prossimo cancelliere sarà espresso dal partito di Angela Merkel. Il congresso online della scorsa settimana ha eletto un nuovo segretario, ma è servito ancora di più a liquidare le figure meno adatte al ruolo di capo di governo: i candidati di destra Röttgen e Merz, per cui Merkel, si mormora, non abbia mai nutrito simpatia, e soprattutto uno dei volti più celebri all’interno del partito, l’attuale ministro della salute Jens Spahn.
Fino a poche settimane fa uno dei volti più amati dalla popolazione, soprattutto a causa dell’atteggiamento pragmatico con cui ha affrontato la pandemia, su di lui si sono addensate alcune ombre negli ultimi tempi. Il suo passato di lobbista per una casa farmaceutica gli avrebbe permesso l’acquisto di un appartamento ad un prezzo stracciato, la banca nel cui consiglio di amministrazione Spahn ha seduto per qualche tempo gli avrebbe accordato un mutuo ad un prezzo di favore. Essendo Berlino in posizione periferica rispetto a Washington, è bene che chiunque si avvicini ad una posizione di potere sia al di sopra di ogni sospetto. Ed essendo la provincia tedesca molto diversa rispetto alla capitale, è comprensibile che in diversi delegati della CDU abbiano salutato con entusiasmo l’esclusione di un candidato così giovane ed apertamente omosessuale. Successore di Angela Merkel è stato dichiarato, almeno per il momento, Armin Laschet, che non era fra i favoriti.
Un successore, un nuovo avversario o un prolungamento dell’era Merkel?
Cresciuto ad Aquisgrana in una famiglia piccolo-borghese, Armin Laschet ha intrapreso una lenta carriera all’interno del partito, fino a diventare governatore del Land Nordreno Vestfalia. Espressione rassicurante, un eloquio affabile, ha abituato i suoi uditori ad un’aneddotica familiare che mette d’accordo tutti: il padre minatore che gli ha insegnato che, quando si lavora sotto terra, tutti gli uomini sono ugualmente importanti, la madre che lo accompagna da lontano nel suo percorso politico, incoraggiandolo a farsi valere. Si tratta insomma di aneddoti che nulla raccontano (come quando nel 2005 Angela Merkel si fece conoscere come un’amante del giardinaggio e della zuppa di patate), ma che trasmettono un messaggio univoco: Armin Laschet è uno come tanti, figura talmente levigata dalla quotidianità che ogni critica non può che scivolargli addosso.
In maniera simile ad Angela Merkel, è sempre stato riluttante a prendere posizioni definitive. Acceso difensore dei diritti della persona nella prima metà del 2020, si è distinto nell’autunno per il suo appoggio a misure draconiane per contenere la pandemia. D’altra parte, di questi tempi, la capacità di equilibrio e di gestione dei conflitti, così come il sapersi mettere al riparo da ogni ritorsione, sono requisiti fondamentali di un leader. Ci si potrebbe dunque attendere un passaggio di consegne pacifico tra Merkel e Laschet.
Sullo sfondo rimane Markus Söder, il cui nome continua ad emergere spesso, quando si parla delle prossime elezioni. Il governatore della Baviera si è autoescluso da tempo da ogni ulteriore ruolo in politica, eppure, per il suo atteggiamento estroverso e le sue prese di posizione, rimarrà ancora a lungo una delle figure centrali nel panorama politico tedesco. Sua è stata la decisione di esporre un crocifisso in tutti gli uffici pubblici della Baviera, a simboleggiare i valori unificanti che chiunque vive in Germania deve accettare. Da lui è stato concepito il lockdown applicato ormai in buona parte della Germania, con coprifuochi notturni, limitazioni degli spostamenti e obbligo di mascherine FFP2 in tutti i luoghi pubblici. A lui va il merito di aver reso interessante il partito cristiano-democratico anche per i critici del corso liberale seguito da Angela Merkel. Oltre ad un sarcasmo molto apprezzato sui social, Söder vanta amicizie importanti, come l’economista Klaus Schwab, che ha immaginato la crisi pandemica del 2020 come punto di inizio di una nuova economia di mercato: non più un’economia sociale tradizionale, né un capitalismo sregolato, ma un sistema in cui i protagonisti della finanza si reinterpretino in una veste più etica, magari ispirandosi al socialismo.
Markus Söder non è sicuramente interprete di una visione così complessa della società tedesca del futuro, ma va sicuramente incontro alle aspettative di chi si augura uno stato che agisca in maniera decisa di fronte alle divisioni sempre più presenti nella società. Mentre in Danimarca e nei Paesi Bassi la popolazione inizia a sfogare la propria insofferenza in maniera anche violenta, in Germania in molti credono ancora che sia possibile, in un futuro prossimo, ripristinare il contratto sociale. E forse una figura come Söder sarebbe indicata per accompagnare la transizione verso una nuova normalità, in cui la limitazione dei diritti individuali non rappresenterà più uno stato di eccezione.
Solo un arrivederci?
Angela Merkel non si è espressa in merito ai risultati del congresso del partito. La settimana scorsa, all’indomani del vertice con i governatori dei Länder, è tornata a sottolineare l’importanza del rispetto delle regole per limitare le conseguenze della pandemia, ma si è attribuita anche il merito di non aver istituito ulteriori divieti, consapevole di quanto il lockdown quasi totale che dura da tre mesi stia incrinando la fiducia della popolazione nelle autorità. Ha evitato l’introduzione di un coprifuoco federale e la sospensione dei servizi di trasporto pubblico, salvo poi appoggiare, nella giornata di ieri, la sospensione del traffico aereo ed una eventuale chiusura repentina delle frontiere a causa delle mutazioni del virus. Fermo restando il suo appoggio alla neoeletta amministrazione Biden oltreoceano, ha assicurato una maggior cooperazione con la Russia, sul fronte del gasdotto Northstream e della produzione del vaccino Sputnik. E alla domanda se sarebbe disposta a candidarsi per un quarto mandato, ha risposto che rimarrà a disposizione del paese anche dopo le elezioni del prossimo settembre, se risultasse difficile formare un nuovo governo. Dovrebbe essere ormai noto, dopo sedici anni, che le parole di Angela Merkel, anche quando sembrano di circostanza, significhino più di quanto sembri.
DONA ORA E GRAZIE PER IL TUO SOSTEGNO: ANCHE 1 EURO PUÒ FARE LA DIFFERENZA PER UN GIORNALISMO INDIPENDENTE E DEONTOLOGICAMENTE SANO
Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
Lascia un commento