Indagine sui rifiuti urbani: una situazione fuori controllo

Indagine sui rifiuti urbani: una situazione fuori controllo

Indagine del direttore responsabile Emilia Urso Anfuso

Italo Calvino, nel suo racconto “Leonia” che fa parte della raccolta “Le città invisibili” pubblicata nel 1972, previde bene il futuro, immaginando una società sommersa dalla spazzatura prodotta dal consumismo sfrenato.

Quanti rifiuti produce, annualmente, ogni cittadino italiano? 489 chili. Il dato è fornito dall’edizione 2018 del rapporto ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ma è una cifra media e la statistica, lo sappiamo, è una scienza che anche a me assegna il consumo del solito pollo e mezzo l’anno, anche se non amo mangiarne. I dati statistici vanno sempre approfonditi e studiati per poterne ricavare qualcosa di utile.

Sono ovviamente le metropoli a generarne un maggior quantitativo pro capite, esattamente 15 che – globalmente – producono il 18,5% sul totale. Tra le ragioni di questa super produzione, non vi è solo la maggiore percentuale di residenti quanto gli afflussi di turisti e pendolari. La questione importante, però, non è tanto quella relativa a quanti scarti si producano bensì al come si smaltisca, ed eventualmente si riutilizzi, il prodotto dei nostri consumi.

Su base europea non siamo messi male: la Danimarca ci supera quasi del doppio con 770 chili pro capite, seguita quasi alla pari da Svizzera e Norvegia.

Il problema arriva quando si affronta il tema dello smaltimento. Nel 2011 le cronache nazionali, ma anche internazionali, svelarono una nuova situazione parossistica a Napoli, invasa da quella che tutti chiamavano “La monnezza”.  Già nel 2012, a causa della mala gestione in Campania tra il 1994 e il 2009, l’Italia si beccò una condanna da parte della Corte Europea, che riconobbe la violazione del diritto alla salvaguardia della vita privata e familiare. In poche parole, lo Stato non può permettere che si creino situazioni di simile degrado tanto da far vivere i propri cittadini letteralmente sommersi dalla spazzatura.

Doveva essere un monito per tutte le amministrazioni comunali del bel paese, e invece ci ritroviamo con la capitale sepolta da montagne di ripugnanti sacchetti abbandonati ai margini delle strade che, con l’afa e le piogge, rischia ogni giorno di divenire un’emergenza sanitaria a causa della fermentazione che ne deriva.

Eppure, a leggere i dati sulla spesa inserita in bilancio, la giunta capitolina è quella che sembrerebbe dedicare maggiori risorse economiche al settore.

Paradossale? No, dipende da cosa si decide di inserire in bilancio, sotto quale voce. Per ciò che riguarda la città amministrata dal Sindaco Raggi, la spesa pro capite è pari a 597,57 euro. Milano spende molto meno, 213 euro per cittadino, ma non versa certo nella stessa condizione di degrado, anzi.

E allora? Com’è mai possibile che chi più spende meno rende? La gestione del settore è molto articolata, ma questo vale per ogni comune italiano perché i protagonisti sono tanti: allo Stato è affidato il compito di definire i criteri generali, attraverso il DL152/2006, che all’articolo 195 elenca tutte le competenze per ciò che riguarda il tema della nettezza urbana. E’ poi compito di regioni, comuni e provincie fare il lavoro sporco – è proprio il caso di dirlo – organizzando le funzioni di pianificazione per ciò che riguarda la raccolta, la differenziazione e il riciclo, e sviluppando i piani regionali. Un gran lavoro.

Perché la capitale è messa così male se annualmente versa all’AMA – l’azienda fondata e totalmente partecipata dal comune – una cifra pari a 800 milioni di euro?

Leggendo i bilanci capitolini del 2016, questa cifra non era inserita nella spesa per cassa, bensì in quella per competenza. È una differenza di grande rilievo, perché la prima voce si traduce nei fondi che il Campidoglio ha effettivamente versato all’azienda, mentre la seconda è riferita a ciò che ci s’impegna a sostenere come spesa per quel comparto specifico.

Nella realtà dei fatti, AMA ricevette solo 386 milioni e l’anno successivo il Monte Capitolino fu costretto a versare un importo molto più alto del solito. Ciò ha determinato molte delle criticità che tutti stiamo osservando, e che si traducono nell’impossibilità di risolvere una situazione ormai giunta oltre il limite della sopportazione.

Un altro esempio: sulla carta appare una lista di dieci centri di smaltimento, ma sette di essi non sono in servizio. Di contro, la città meneghina può contare su un maggior numero d’impianti attivi rispetto a Roma, che ancora oggi non riesce a risolvere la situazione e spende, per paradossale che possa sembrare, altri 140 milioni ogni anno solo per trasportare altrove la spazzatura prodotta dai romani.

L’AMSA – l’azienda che a Milano si occupa del servizio di nettezza urbana – ha inoltre organizzato un servizio di ritiro porta a porta che garantisce, anche, la gestione della differenziata. Non basta, perché esiste la possibilità del riciclo, e anche questo gli amministratori milanesi lo sanno far bene, avvalendosi di 14 impianti di compostaggio e 11 termovalorizzatori, che producono energia attraverso il trattamento dei rifiuti. Per la città eterna tutto questo è fantascienza…

Non serve spendere di più per avere un buon servizio. Serve saper gestire le risorse, sapere cosa fare e come, scoprendo così che la sana gestione fa anche risparmiare un mucchio di denaro, come farebbe qualsiasi capo famiglia col sale in zucca.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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