Rubrica a cura dei nostri inviati Susanna Schivardi e Massimo Casali
Gibellina, località siciliana, è una perla di terra a metà tra due sponde bagnate dal mare e dove il sole sembra non tramontare mai. E’ qui in questi luoghi che incontriamo virtualmente Alessandro Parisi e Annapaola Cipolla del settore marketing e comunicazione, chiamati a raccontare la storia dell’azienda vinicola per la quale lavorano da anni, Tenute Orestiadi, un vero cameo, dove il terreno produce uva di ottima qualità e la cui storia ci riconduce, attraverso labirinti impetuosi, in luoghi di cerniera tra mito e realtà.
“Tutto inizia con una tragedia greca – introduce Annapaola Cipolla, amante e studiosa di storia e arte classica – anzi la tragedia per eccellenza, l’Orestea che nel 1981 fu tradotta da Emilio Isgrò in dialetto siciliano, la trasposizione in dialetto però la rendeva di difficile fruibilità finché l’arrivo di Ludovico Corrao la vede finalmente in scena”. Ludovico Corrao è il trait d’union tra mito, arte e vino. Sindaco di Gibellina e grande esperto di arte, da lui nascono le idee, l’innovazione e la possibilità per Gibellina di vivere finalmente il riscatto dopo il terremoto devastante del 1968, che mise a terra più di dieci paesi nella zona, radendo al suolo millenni di storia. “Le scene furono realizzate da Arnaldo Pomodoro – continua Annapaola col suo bell’accento deciso – e tanti cittadini furono coinvolti nella rappresentazione”. Nel 1981 nascono le Orestiadi di Gibellina, Festival di arti, musica, danza e teatro, in scena ogni anno tra Luglio e Agosto, e che nel 1992 sono la base per la nascita dell’omonima Fondazione. Gibellina nel frattempo si incornicia di opere d’arte contemporanea, trasformandosi in museo en plein air grazie al contributo di artisti come Burri, Pomodoro e Consagra. La Fondazione si pone da subito in primo piano con attività legate al territorio, in una continuità di intenti che difficilmente, senza una personalità di spicco a fare da collante, potrebbe realizzarsi. Il vino in tutto ciò è anch’esso protagonista silente ma ampiamente celebrato. “Nella realizzazione del Barriques Museum – ci racconta la Cipolla – l’arte e il vino si fondono, partendo da un’idea di Tenute Orestiadi e dell’Accademia di Brera del 2015, ogni anno le opere di docenti, studenti e artisti vengono esposte nella nostra barricaia”. La Cantina Orestiadi inoltre sostiene gli studenti dell’Accademia che annualmente restaurano le opere d’arte, erose dagli agenti atmosferici, disseminate nella città belicina. E’ in questo periodo in corso proprio il restauro di un’opera di Isgrò.
E qui si chiude il cerchio. Da dove abbiamo iniziato il vino fa capolino, ritagliandosi un posto d’onore. Le Tenute Orestiadi nascono nel 2008 grazie all’incontro di Ludovico Corrao col Presidente della Cantina Ermes che a sua volta nel 1998 nasceva come cooperativa con appena nove soci viticoltori. In pochi anni diventa la più grande cooperativa in Sicilia con ben 2300 soci, andando a gestire direttamente altre cantine nelle regioni di grande produzione vinicola, Puglia, Veneto e appunto Sicilia. “Il vantaggio di questa realtà seppur molto grande è stato quello di aver agito sempre con una continuità amministrativa, e aver fatto le stesse scelte con obiettivi comuni – sottolinea Alessandro Parisi”. Andiamo avanti e scopriamo nella parte orientale della Sicilia, l’azienda agricola La Gelsomina, in provincia di Catania. “Di proprietà della famiglia Turrisi, la Gelsomina è andata in gestione a Orestiadi nel 2018”, e Annapaola racconta che da quel momento hanno pensato loro a tutto, dalla produzione alla distribuzione, dando anche vita ad un’attività ricettiva che dall’anno scorso sembra funzionare bene. “Entrambe le aziende dialogano in parallelo, perché crescano mettendo in risalto le proprie caratteristiche – continuano a raccontare Alessandro e Annapaola – tentiamo inoltre di riportare la vita in una zona che con gli anni si è andata spopolando, una zona ricca di storia e che merita di essere ricompensata”.
La Gelsomina comprende 12 ettari di vigneto e 3 ettari tra ciliegeti e uliveti, di contro la realtà più imponente delle Tenute Orestiadi che contano 140 ettari, con altitudine fino a 600 metri, “ed è proprio sul punto più alto, sopra la vecchia città di Gibellina che troviamo il Ludovico bianco e rosso”. I vini dedicati al grande Ludovico Corrao. I colori della terra, il nero il rosso e il bianco, si alternano tra argilla, sabbia e calcare, “la varietà estrema ci permette viticolture differenti, se consideriamo l’esposizione abbiamo la perfezione a sud per il Nero d’Avola e a nord per il Catarratto. Nel percorso che porta alle uve del Ludovico si vedono le due coste della Sicilia. E’ un paesaggio di rara bellezza”. La brezza continua, il mare, i trattamenti solo un paio di volte l’anno, rendono questi vini inqualificabili, per armonia ed equilibrio. Sono questi i fattori che spingono definitivamente verso il biologico. Tra le linee dei vini troviamo “la Selezione che viene fuori dalla zonazione di qualche anno fa, con selezione delle bottiglie, fino a 25.000, per il Pacenzia addirittura 12.000, mentre per il Ludovico bianco Riserva produciamo solo 7.000 bottiglie. L’annata del 2017 è stata grandissima e abbiamo deciso di metterla in commercio. Non è detto che esca fuori tutti gli anni” – ci spiega Alessandro.
Nella Selezione, abbiamo detto, ci sono sei varietà di autoctoni, Catarratto e Perricone, poi Grillo, Zibibbo, Frappato e Nero d’Avola, dalle zone vicino alla vecchia città, nella Valle del Belìce. Veniamo poi a I Contemporanei, utilizzati per la banchettistica, con un buon rapporto qualità prezzo, prodotti in quantità consistente, vini freschi di pronta beva. Abbiamo poi le Specialità, cinque vini con caratteristiche particolari e la specialità sta nel metodo di vinificazione. C’è una vendemmia tardiva di Zibibbo, il Pacènzia ed è il simbolo di colui che sa aspettare i tempi della natura; poi un Syrah da uva leggermente appassita; uno spumante metodo charmant; un bianco leggermente frizzante e il Marsala.
I Cru a seguire comprendono il bianco e rosso di Ludovico ed entrambi sono composti da varietale autoctono, Nero d’Avola e Catarratto che stanno a significare le forti radici nel territorio. Presentano poi un 10% di varietale internazionale, chardonnay e cabernet, e questi stanno ad indicare un occhio rivolto all’esterno, una mentalità aperta che ha permesso a Ludovico Corrao di trasformare questa terra devastata in una terra di arte e cultura. “I due vini tributo nascono in due momenti differenti, il rosso qualche anno fa, il bianco invece è entrato in commercio da pochi mesi, ed è l’annata del 2017 come bianco riserva presentata a Giugno”.
Anche le etichette qui raccontano una storia, nate dall’alfabeto ipotetico dei popoli del Mediterraneo, disegnato da Arnaldo Pomodoro e che ha fatto da scenografia alla tragedia. Poi divenuto simbolo della Fondazione e oggi ricorda che “negli anni ’90 Arnaldo Pomodoro e Ludovico Corrao – sottolinea Alessandro – già pensavano a costruire ponti invece di erigere muri”.
La realtà internazionale dell’azienda si apre a 29 paesi nel mondo, la distribuzione comincia effettivamente nel 2013, e i numeri sono impressionanti, 1 milione 200 mila bottiglie per le Tenute Orestiadi, ma Alessandro tiene a precisare “ci siamo fermati perché i vigneti sono quelli e ne andrebbe della qualità, non è stato bruciato alcuno step, ci siamo consolidati e alla richiesta di fare più bottiglie, rispondiamo che i vigneti sono quelli e di più non si può fare. Vogliamo concentrarci su qualità e identità dei vini. Non è semplice, infatti il nostro direttore tecnico Giuseppe Clementi ha voluto un taglio identitario dei vini, soprattutto i bianchi, per questo puntiamo sul mono varietale. Molti in Sicilia sono stati blendati, invece lavorare con l’autoctono in determinate zone dell’isola, ricercando l’equilibrio, regala ottimi risultati. I bianchi siciliani devono essere sempre degustati dopo un buon riposo in bottiglia, la bottiglia aiuta a calmare il vino, a renderlo armonioso”. L’azienda pur avendo a disposizione delle tecnologie forti, riesce a raccogliere le uve e a vinificare separatamente “Soprattutto facciamo sperimentazione – continua Alessandro – l’azienda non rimane ferma, facciamo tante microvinificazioni per capire come si comportano i lieviti indigeni, di solito sono tra i 5 e i 7 anni quelli che si prendono come test. Il Ludovico bianco ne è un esempio. “Quando lo abbiamo presentato sul Cretto di Burri – racconta con orgoglio Alessandro – nei suoi luoghi, simbolo di rinascita di Gibellina, abbiamo detto che sarebbero uscite solo 7.000 bottiglie e gli agenti sono rimasti scioccati però, abbiamo risposto, il vigneto non è giovane e quello può produrre. L’importante è mantenere la barra dritta e non virare solo perché il mercato richiede più vino”.
La nostra degustazione, anche se virtuale, inizia con il Catarratto che significa abbondanza, ed è un’espressione autentica di una viticultura di un tempo, “ormai in pochissime zone si trovano piante di catarratto allevato ad alberello, che hanno anche cinquant’anni. Qui la viticultura è nata negli anni ’70 – ci spiegano Alessandro e Annapaola – c’è stata un’evoluzione e poi la corsa al cambiamento con introduzione di vitigni internazionali. Di fatto l’autoctono davvero rappresenta l’azienda e mette radici, identitarie di un luogo e capaci di raccontare un territorio. Il catarratto è quello che beviamo volentieri, dietro c’è la storia, come quella del nonno che andava a prendere dal carro il mosto sporco e grezzo, per farsi il vino perpetuo, un vino caldo e resistente all’agire del tempo e all’ossidazione”.
Il profumo intenso e profondo ci fa già immaginare che berremo un vino molto interessante. Profumi minerali, frutta fresca a polpa bianca ed un ottimo floreale. In bocca rispecchia molto l’esame olfattivo. Molto fresco con un’ottima mineralità, quasi sapido come a rispecchiare quel territorio nei pressi del mare. Un grandissimo corpo accompagna questo vino con una persistenza lunga e piacevole probabilmente grazie ai mesi di riposo in bottiglia, “questo è il momento in cui si deve degustare il bianco, – Alessandro ci spiega – questo vino all’inizio è rampante e dopo mesi in bottiglia prende forma e carattere”. Vino eccellente da abbinare a piatti di pesce anche crudi.
Secondo vino è il Perricone, rappresentativo dell’azienda, “ha una sua intensità storica, e l’altro nome è pignatello, che deriva dal nome della pignata, la pentola fatta della caratteristica terra rossa. Siamo nella provincia di Trapani, dove il Perricone regala massima espressione, unico varietale a bacca rossa in quest’area. Molto diffuso e legato al territorio poi subisce un declino dagli ‘80 e ‘90, quando era più facile commercializzare il Nero d’Avola, mentre da almeno dieci anni c’è percorso di riscoperta di Perricone, da cui si è avuto un riscontro molto positivo”. Unico dei rossi che non fa passaggi in legno. Si sentono vaniglia, pepe nero, liquirizia, note che escono da fermentazione e soprattutto da quell’anno di bottiglia bella e coricata in cui il vino riesce ad evolversi e a maturare. Il vino ti stupisce, come dice Giuseppe Clementi l’enologo, il Perricone presenta note evolutive proprie di un vino affinato in legno anche se non lo fa. Non arriverà mai ad invecchiare perché finisce prima, ha una bella freschezza e un ricco bouquet floreale, si lascia scoprire un poco alla volta. Il Colore rosso porpora inganna un po’ il degustatore il quale si ritrova in bocca un vino di grande importanza. Frutta forte, amarena che segue, prugna, pur essendo un 2018, un rosso molto complesso, si lascia bere bene, uno dei vini che in estate si tiene a 16 gradi almeno, visto che in Sicilia d’estate ci sono 38 gradi!
Abbassando la temperatura, si possono osare abbinamenti particolari, “non è facile da abbinare perché c’è un ampio bouquet di fiori e frutti, quindi il piatto deve essere molto ricco”. Alessandro si ricorda di un tonno rosso coperto di crosta di mollica, cipolla, pomodoro, condito come lo sfincione, che è una pizza, ma fatto con del pesce e abbinato proprio a questo rosso portato alla giusta temperatura.
“Durante il nostro percorso – ci racconta amabilmente Alessandro – abbiamo conosciuto uno chef molto creativo che ha abbinato il Pacenzia ad un secondo con crema di lenticchie, ali di pollo brasate e con spruzzi di mistura fatta con whisky e chinotto”. Il Pacenzia, con la sua bella acidità, ripulì perfettamente i sapori esaltando il piatto molto meglio di qualsiasi altro vino e i centoventi invitati furono tutti soddisfatti. Di fatto ogni vino è diverso e se si conoscono bene le materie prime si trova il giusto equilibrio.
Apriamo quindi il Pacènzia e lo abbiniamo ad un piatto di pesce elaborato. Uve zibibbo appassite in vigna che donano a questo vino un’intensità enorme. Un bel giallo dorato intenso al naso, sentiamo subito il profumo di frutti maturi, mandorle tostate, miele. In bocca frutta candita, albicocca, mandorla, cedro e miele rendono questo vino dolce al punto giusto grazie anche alla stupenda acidità che fa da spalla forte alla percentuale zuccherina.
Arriviamo al vino di punta dell’azienda. Orestiadi Ludovico, Nero d’Avola al 90% ed il restante cabernet sauvignon. Come già detto in precedenza il vitigno internazionale è stato integrato per dare un occhio al mondo che lo circonda ma anche per dare un aiuto al nero d’avola donando forza e vigore. Annapaola ci consiglia di aprire la bottiglia una mezz’ora prima del consumo e noi, in vista di un arrosto di vitello cotto in pentola con brodo di gallina ed olive taggiasche, lo stappiamo con un’ora di anticipo. Nel calice abbiamo un 2012 con un colore rosso intenso rubino, al naso minerale con profumi di frutta rossa matura, prugne e amarena. Una buona balsamicità ed una punta di pepe nero. Nei profumi terziari non manca il sentore di tabacco e cacao. Il sapore rispecchia in pieno il gusto olfattivo. Molto avvolgente ed intenso con queste note fruttate molto piacevoli. La mineralità rispecchia il territorio ed essendo un vino del 2012 la freschezza la fa ancora da padrone. Un vino pronto ma che sicuramente può aspettare ancora qualche anno. Il tannino avvolgente e di ottima qualità dona un ottimo corpo e persistenza il che ci dà ragione sulla scelta del piatto in abbinamento che abbiamo preparato.
Sullo sfondo della nostra intervista un quadro in blu e giallo di un artista che ha lavorato nel corso della Notte Gialla, evento dedicato al melone giallo e organizzato a Gibellina sempre in un’ottica di rivitalizzazione del paese. La dea Flora molto grande appare come una protettrice all’interno di questo ufficio dove il marketing e la passione soprattutto di Alessandro, Annapaola e Pietro Maltese, collega oggi assente, esplorano le vie infinite che il vino può percorrere, riunendo i paesi nel mondo e creando ponti e non muri proprio come fecero Corrao e Pomodoro tanti anni fa, e come ancora oggi questa generazione porta avanti con un messaggio che lega tradizione e sguardo al futuro.
Foto e videoripresa: di Susanna Schivardi e Massimo Casali
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