Rubrica di Susanna Schivardi e Massimo Casali
Oggi non racconteremo soltanto della collaborazione tra Massimo Pulicati meglio conosciuto come l’Oste del ristorante L’Oste della Bon’Ora (a Grottaferrata) e la neo Associazione Vignaioli in Grottaferrata – unita a quella dei ristoratori, Gustati Grottaferrata, di cui Pulicati è il presidente e a cui aderiscono Il Cavallino in Villa, La Briciola di Adriana, La Casina del Buongusto, La Cavola D’Oro, Ristorante Mangiafoco, Taverna dello Spuntino, Taverna Mari, Osteria del Fico Vecchio – ma parleremo di Massimo Pulicati anche come uomo e ristoratore, originale e divertente e soprattutto con molto da raccontare, cose che i libri non dicono.
L’intento dell’Associazione, come abbiamo detto in altre occasioni, è quello di portare a tavola un prodotto di qualità, al pari dei vini delle regioni del Nord. Il Lazio ha in realtà da pochi anni intrapreso questo percorso di qualità, e l’Oste è uomo di esperienza e consapevole che per raggiungerla non ci vuole un giorno. “Che cosa significa qualità? – si chiede lui stesso per primo – da che cosa viene e chi la riconosce?”. Massimo è seduto al tavolino con noi, anche se a distanza, nel ristorante di Via dei Banchi Vecchi che fa il trittico con quello gourmet di Grottaferrata, gestito dal figlio Flavio e dalla moglie Marisa, e l’altro anch’esso giovane, di Cinecittà, la Bonora gestito dalla nuora Daniela. Massimo è schietto e dietro di lui notiamo omaggi numerosi a uno che di vino e ristorazione se ne intendeva, Luigi Veronelli.
“Oggi 29 novembre – continua Massimo – ricorre l’anniversario della morte di Veronelli, avvenuta nel 2004”. Un nome importante, scrittore, critico, amante ed esperto di vino, uno che già trent’anni fa parlava di biologico, che ha lavorato e dialogato a stretto contatto con la famiglia Ludovisi Boncompagni nella Tenuta di Fiorano e che ha fatto da maestro e guida a Massimo Pulicati, fin da quel 1987 quando al Vinitaly si conobbero. “Io avevo il ristorante a Zagarolo – ci racconta Massimo – e quando mi resi conto di non sapere che cosa fossero chardonnay e sauvignon, mi decisi che era ora di prepararmi, studiare e allora cercai Veronelli, presi il vecchio elenco dei numeri telefonici e lo chiamai.
Era Novembre, lui mi disse che ci saremmo incontrati a Marzo al Vinitaly” da quel momento Veronelli diventa sua guida e Massimo cresce, battezzato dal grande maestro, anche se così non voleva essere chiamato. “Mi disse che io non dovevo fare il maître o il sommelier ma ero nato per fare l’Oste e così feci”. Avere un ristorante vuol dire anche essere imprenditori “mio figlio è un vero imprenditore, io ho imparato ad amare la cucina fin da piccolo, poi ho incontrato mia moglie Marisa, la vera chef di casa e soprattutto sua madre Anna che aveva il ristorante Attila a San Giovanni, cuoca eccelsa. Marisa prepara la maggior parte dei piatti e tutti devono passare per la sua approvazione”.
A 20 anni si conoscono, a 30 dopo aver lavorato come agenti secondari di custodia penitenziaria a Rebibbia, si ritirano dal lavoro in carcere e aprono il primo ristorante a Zagarolo, “ma è con il vegetariano a Roma e con l’Oste della Bon’ora a Grottaferrata che arriviamo al battesimo di Veronelli”. A Grottaferrata è più difficile, ci spiega Massimo, vendere il Frascati “quello ormai è un ristorante gourmet, ha vinto parecchi premi, tra cui il Bib Gourmand della guida Michelin. Chi viene a mangiare da me vuole la qualità, non bada al prezzo, ed il vino laziale trova molta concorrenza”. La scelta etica di aiutare l’Associazione Vignaioli inserendo nella carta dei vini molti prodotti del territorio si accompagna anche e soprattutto alla sua ricerca di qualità “non tutte le cantine ovviamente sono all’altezza, qui a Roma però è più facile vendere il prodotto laziale, perché a Banchi Vecchi i clienti scelgono anche bottiglie da 10 o 12 euro..
Normalmente – ci spiega – su sei vini, quattro sono da consigliare e due possono sicuramente migliorare”. A sua detta è fondamentale capire il cliente e guidarlo verso una scelta giusta, specialmente per quanto riguarda i vini. “Io rimango eticamente legato al territorio ma devo anche pensare al lato economico, quindi non sempre posso suggerire un prodotto del territorio se il cliente cerca altro”. Chi determina la qualità? E’ un suo obiettivo costante e parlare di vini non è semplice. “Per molti anni si è venduto un Frascati di bassa qualità e questo è stato un grande errore”. Il palato del cliente si deve abituare alla bontà dei prodotti, Massimo è convinto che un palato non educato finisce per mangiare qualsiasi cosa, anche il fast food, in realtà non sceglie e cerca solo di spendere poco.
“Io non chiedo quanto costa un servizio ma che cosa mi offri, perché se quello che mi offri vale la pena allora sono pronto a spendere senza lamentarmi”. Vorrebbe che questa fosse la mentalità diffusa, come in altre zone di Italia, invece a volte vede nel Lazio una classe di persone che cerca il prezzo basso a discapito della qualità. “Tutto parte dalla scelta dei prodotti – continua a raccontare – è ovvio che se compro un formaggio di qualità e lo faccio pagare una certa cifra, il palato non abituato si indignerà di pagarlo così tanto e finirà per criticare il mio ristorante”. Massimo la qualità se l’è data, col tempo, ha capito che fare certe scelte ripaga di tutti gli sforzi. Oggi a Grottaferrata il suo impegno è ripagato dai riconoscimenti e a Roma, sia a Banchi Vecchi, da appena un anno, che a Cinecittà ha il suo buon riscontro.
Ci fa assaggiare un piatto di apertura chiamato carcotto che è una punta di vitella porchettata, il quinto quarto del vitello quindi teoricamente lo scarto che però lavorato con questo metodo diventa una specialità. Lo assaggiamo con un bianco, il Bombino delle Cantine San Marco, molto buono, fresco, minerale al punto giusto. Una chicca a sorpresa che non rientra nella cerchia delle aziende dell’Associazione Vignaioli in Grottaferrata, di cui abbiamo già conosciuto i prodotti, come Castel De Paolis, Emanuele Ranchella, Gabriele Magno e gli altri di cui abbiamo ampiamente parlato in altre occasioni, ma fa parte di una rosa di vini a cui l’Oste tiene particolarmente.
A seguire un’amatriciana perfetta e per concludere la crema Marisa, un omaggio alla moglie che è sempre stata motore e presenza costante in tutto quello che Massimo ha fatto. Alle spalle il Veronelli sembra seguirlo come un’ombra, e ancora prima di lui un certo Libero, il maestro spirituale, che Massimo ha conosciuto quando aveva 19 anni e grazie al quale ha imparato che il cibo dovrebbe essere sempre in simbiosi con lo spirito “se non capisci questo – commenta sorridendo – rimani un cannibale, uno che mangia per sopravvivere, invece il cibo entra in stretto contatto con lo spirito oltre che con il corpo, capito questo, capisci tutto della gastronomia!”.
Se ne va mentre parla al cellulare perché da Grottaferrata lo cercano, deve avviarsi. A Banchi Vecchi a causa del virus i clienti sono pochi, ma non si preoccupa, perché nella normalità la domenica a pranzo arrivano anche sessanta o settanta persone. Il virus si è portato via la possibilità di uscire e di fare una normale vita sociale ma la qualità non viene meno e questa prima o poi si riprenderà la sua rivincita, facendo tornare alle luci della ribalta professionisti come Massimo Pulicati, che hanno avuto il coraggio di mettersi in gioco. “Per quanto riguarda l’Associazione Vignaioli – conclude – si dovrà vedere fra qualche anno. Funziona come con la guida Michelin, non è che dopo pochi mesi ti inseriscono nella loro lista, ci vogliono anni per meritare il riconoscimento e dimostrare di saper resistere sul territorio”.
Foto di Susanna Schivardi
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