Recensione della nostra inviata Susanna Schivardi
Il decreto del governo ha chiuso nuovamente i sipari e i palcoscenici dei teatri nazionali, dissipando speranze e frustrando aspettative. Il Teatro Vascello si era preparato all’emergenza, osservando scrupolosamente le disposizioni anti-contagio per lasciar entrare i suoi spettatori in totale sicurezza. Eppure questo non è bastato ad allontanare lo spettro delle chiusure, che insieme ai battenti hanno imprigionato anche la creatività degli attori e le attese del pubblico.
In mancanza di una presenza fisica, gli attori si sono accontentati di entrare nelle case degli spettatori, intrufolandosi nei loro salotti o nelle camere da letto, dove gli schermi hanno trasmesso in streaming i movimenti, la parole, le battute e le didascalie non dette dei copioni. Ed è proprio in questi giorni che il Teatro Vascello propone una commedia amara dal finale a sorpresa, “La consuetudine frastagliata dell’averti accanto”, interpretata da Claudia Vismara e Daniele Pilli, di Marco Andreoli e prodotta da La Fabbrica dell’Attore, Compagnia I Poli a K.O.V., Luigi Biondi il light designer, tecnicismi di Francesco Traverso e i costumi di Livia Fulvio.
Storia d’amore che inizia con un buio interiore del protagonista, lui Elia, altrimenti chiamato Universo dalla sua fidanzata Laura, lei soprannominata Cielo e Mare. I due si incontrano e si abbracciano sulle note di It’s such a good night, verrebbe da dire, un buon momento per morire, per terminare sulla melodia struggente di total eclypse of the earth.
Il memento è inossidabile sulle loro teste, fin dall’inizio si presagisce un senso di fine che si ammanta di un realismo violento, i due vivono insieme e il loro incontro viene ricordato come un evento imperdibile, il 9 Luglio 1982, in un bar, ad un tavolo, dove Elia siede da solo e vede lei, bellissima, disperando che lei possa accorgersi di lui.
Invece l’insperato accade e tutto sembra volgere al meglio. Il meglio però non arriva mai, l’illusione è data da lampadine al neon illuminate come insegne di botteghe cinesi qui in Italia, APPLAUSI e RISATE invece di APERTO. Lampeggiano come lumini sfiniti senza più gas ad alimentarli, come un amore che sta al suo volgere e le scene si susseguono a volte riavvolgendosi e ripetendosi come in una pellicola analogica.
Elia sembra il deus ex machina di una vita sempre uguale, senza slanci, senza progetti, e ci si chiede continuamente, durante tutto lo spettacolo, perché Laura, così bella, si sia lasciata imprigionare da un uomo così freddo e privo di vitalità, che ogni giovedì mangia zuppa di porri e ogni mercoledì si aspetta che lei cucini pasta col pesce. Laura ogni giorno compie gli stessi gesti, aspetta per tutto il giorno che Elia torni dall’ufficio per ascoltare sempre gli stessi racconti, per guardare insieme un documentario sui leoni e poi addormentarsi sfiniti dall’esistenza senza mai nemmeno fare l’amore.
Solo al termine il nodo si spana, la chiave apre le porte alla comprensione, un guizzo di genialità avvolge la sceneggiatura, lasciando lo spettatore attonito e sconcertato.
Un testo intenso, fitto di monologhi lunghi e frastagliati, proprio come il titolo. Alcune brevi lungaggini, scusate l’ossimoro, che però appesantiscono nella giusta misura la dimensione già tesa, spinta alle estreme conseguenze di una storia che non è semplicemente un romanzo d’amore ma una riflessione difficile sul senso del tempo, sulla possibilità di pensare dimensioni parallele, e sulla finitudine dell’uomo rispetto al mistero del destino e della predestinazione, delle infinite possibilità del reale che si perdono in luoghi a cui non è dato l’accesso.
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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