Nonostante la crisi globale da Covid-19, l’export del Made in Italy agroalimentare verso il Regno Unito, con un valore di 2,2 miliardi di euro tra gennaio e agosto, cresce del 5% sullo stesso periodo del 2019.
Cia-Agricoltori Italiani commenta i dati Istat pubblicati di recente, mettendo in rilievo il rischio per 40mila aziende italiane di perdere un importante sbocco commerciale senza l’accordo post Brexit, attualmente in discussione nel Consiglio Ue. L’impatto di un “no deal” sul settore agroalimentare interromperebbe una scia positiva che ha portato nel decennio 2010-20 a un aumento del 46% nelle esportazioni del cibo Made in Italy Oltremanica.
Dal 1° gennaio 2021, con una Brexit “no deal”, le vendite di prodotti tricolore rischierebbero una forte contrazione a causa dell’introduzione di barriere tariffarie, di una minore domanda interna e del deprezzamento della sterlina. Il Regno Unito -ricorda Cia- è il quarto mercato di sbocco per l’export agroalimentare nazionale, che nel 2019 ha raggiunto i 3,4 miliardi di euro. Nella top ten dei prodotti più esportati, il vino resta il prodotto più venduto (19%), seguono l’ortofrutta trasformata (14%), prodotti da forno e farinacei (10%), i lattiero-caseari (10%) e le carni trasformate (+6%). Hanno un forte impatto su questo primato i prodotti a indicazione geografica protetta (Igp), che incidono per oltre il 30% sulle nostre esportazioni verso Londra e non saranno più riconosciute e tutelate in territorio britannico, senza un accordo commerciale.
E’fondamentale – conclude Cia – che l’Europa resti protagonista di un rapporto privilegiato con il Regno Unito e si arrivi a una positiva conclusione delle trattative, poiché un addio al buio comporterebbe un ulteriore trauma per un’economia già flagellata dallo shock da Covid-19.
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