Di Massimo Casali e Susanna Schivardi – Immagini e video di Susanna Schivardi
Autunno alle porte ci ha accompagnato stavolta a Zagarolo, dove abbiamo conosciuto la famiglia Loreti, la figlia Nicoletta e il papà Claudio ci hanno accolto nella loro azienda, Cantina del Tufaio, raccontandoci la loro storia. La figlia è la sesta generazione, il papà Claudio la quinta, il nonno Luigi, detto Gigi, faceva vino da tavola, che veniva portato nelle osterie di Roma con il carretto. “L’azienda era più piccola – racconta Nicoletta – e mio nonno faceva le romanelle col blocco della fermentazione, poi in primavera veniva portato in grotta alla temperatura di 12,30° fissi tutto l’anno”. Non era un processo meccanizzato, quindi ogni bottiglia aveva un sapore diverso.
“Un giorno mio padre Claudio ha detto a mio nonno Gigi che non era capace a fare il vino e da lì è nata una sfida”. Il padre Claudio ci raggiunge dopo qualche minuto e continua il racconto che si fa sempre più avvincente. “La sfida è nata dalla mia osservazione, ma mio padre mi ha proprio detto di provare a fare il vino, se ne ero capace”. Il percorso è stato lungo e faticoso, perché Claudio aveva studiato come perito e per molti anni aveva lavorato per la Sip, la futura Telecom.
“Non capivo nulla di vino – ammette – così ho iniziato a studiare, rivolgendosi al professor Antonio Calò, dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, il quale mi ha consigliato di fare il corso e di documentarmi su un testo che poi è rimasto per sempre nella mia memoria, Enologia e tecnica del vino di Emile Peynaud”. Claudio e la moglie Maria hanno piantato tutto da soli. “La mamma era entusiasta – racconta Nicoletta –quando con mio padre ha iniziato quest’avventura si è innamorata di un mondo per lei tutto nuovo”.
Nel 1994 viene istituita la Cantina e lo spumante “è venuto quasi per gioco, poi abbiamo iniziato con i fermi, la malvasia puntinata, il trebbiano giallo e il sauvignon, che nel 2013 – continuano Nicoletta e Claudio – viene vinificato in purezza per la prima volta”. Il 2004 invece è l’anno del Calix Aureus al Vinitaly, con la vendemmia del 2003. Quell’anno è fatale perché papà Claudio fa un corso per imparare ad assaggiare l’uva rossa e capire se è pronta, “per questo facemmo la vendemmia dieci giorni dopo il previsto, portandoci ad un risultato inatteso”. Infatti al Vinitaly accadde l’impensato – continua Claudio – perché il produttore di Sassicaia della Tenuta San Guido assaggia il Cabernet Sauvignon e rimane stupefatto, mandando successivamente la sua squadra a visitare la nostra azienda”. Tra gli spumanti di pregio troviamo il Merlot, “ci abbiamo messo 15 anni! – esclama Nicoletta – il 2005 è stata un’annata unica e irripetibile, e da lì sono venute fuori 300 bottiglie”.
Claudio si perde nei racconti del passato, mentre guarda il suo terreno, la sua vigna “se penso che mio padre negli anni ’50 andava con un suo cugino a vendere vino sfuso con la speranza di conquistare il mercato, un vino non annacquato e buono, alcolico al punto giusto. Ma la gente all’epoca non era abituata, così glielo ridava indietro dicendo che era troppo forte. Allora lui riprendeva tutte le botti avanzate e le rimboccava con l’acqua. La volta successiva la gente era soddisfatta del prodotto, perché allora il vino era una bevanda fresca per dissetarsi e non un prodotto in cui si cercasse la qualità”.
Scendiamo nella cantina, una grotta a 13 metri di profondità che regala una temperatura base di 12 gradi, mantenendo le bottiglie in uno stato di perfezione assoluta. “La grotta è stata scavata col filo a piombo nel 1881 alla luce di una candela – Claudio racconta all’entrata della grotta dove già si sente un’aria fresca arrivare dal basso – all’epoca i cinquantanove gradini da scendere e salire erano davvero faticosi. In primavera avveniva questo trasloco nella grotta e il vino si fortificava e diventava più importante. A Settembre tutti cercavano il vino ingrottato per tagliare quello rimasto in superficie che nel frattempo era andato ad indebolirsi”. Qui sotto, alla luce di lampade fioche, avviene il noto remuage manuale, per la rotazione delle bottiglie, e poi il degorgement a la volée, molto suggestivo e antico del metodo classico.
La famiglia Loreti si occupa anche dell’imbottigliamento, e dell’ideazione delle etichette. Le illustrazioni sono di Salvatore Marchese, mentre i nomi sono dediche a noi della famiglia. Allora abbiamo Annikè, che è dedicato a Nicoletta ed è un ottimo Sauvignon, Aggì invece al nonno Luigi, “Ammirose invece è dedicato a me stesso – chiosa Claudio, fiero del suo rosé, un merlot spumantizzato secondo metodo classico – e poi c’è AmMaria, il cabernet sauvignon dedicato alla mamma”.
L’enologo attuale è Carlo Roveda, un personaggio di grandissimo spessore, “qui ci riunivamo anche con Francesco Oristanio – racconta Claudio – e si mangiava tutti insieme. Oristanio è un sommelier master e con Carlo si confronta continuamente”.
Claudio si è inserito da autodidatta in questo mondo tanto affascinante quanto complesso, un tecnico delle comunicazioni che all’improvviso si innamora del vino, passando ormai tutto il suo tempo in vigna e nella tenuta e, memore della tradizione del Lazio, è convinto di poter cambiare le sorti dei vini laziali, ricordando come al Vinitaly ancora qualche anno fa lo stand del Lazio fosse piccolo e poco frequentato.
Seduti intorno ad un tavolo rotondo, nel cortile della tenuta, circondati dalle viti e dai profumi della campagna, Nicoletta ci porta le bottiglie, con qualche fetta di salume e formaggio per accompagnare la degustazione. Vista la grande varietà di vini abbiamo scelto quelli che ritenevamo più opportuni. La prima bottiglia arriva direttamente dalla grotta in quanto è la nuova produzione e per questo è senza etichetta, è una bottiglia di Prima Nicchia pinot 100% vinificato con metodo ancestrale e quindi rifermentato in bottiglia sui propri lieviti. Claudio sbocca per noi la bottiglia che appare subito con un colore chiaro e perfettamente pulito. Perlage numeroso e di buona qualità. Al naso fiori bianchi freschi ed una mineralità molto piacevole. Al gusto fiori bianchi freschi con una frutta fresca a polpa bianca ed una acidità perfetta per i piatti di affettati che ci hanno proposto. Claudio ci ricorda che i loro vini sono tutti in conversione biologici ed in questo caso l’utilizzo dei solfiti è limitatissimo, per questo ci invita a finire la bottiglia senza avere il rischio di cadere in spiacevoli mal di testa.
Il secondo vino che ci propongono è il Tufaio. Malvasia laziale, grechetto, trebbiano giallo e sauvignon blanc. Sarebbe il loro vino base, ma è comunque di una certa importanza. Vino fresco da pasto, macera qualche giorno sulle bucce per poi fare un affinamento in acciaio e poi 3 mesi in bottiglia. Da accostare a piatti di pesce eventualmente crudi, formaggi freschi poco stagionati ed affettati. Minerale e sapido con un’acidità che spicca ai lati della lingua in modo piacevole ed una bella persistenza.
A seguire ci viene servito Aggi’, un omaggio a padre e nonno Luigi, scomparso presto ma che ha lasciato un forte retaggio di esperienza e anche di talento pittorico, come dimostrano i lavori esposti all’interno dell’azienda. Fermenta per quattro giorni sulle bucce, e dieci senza bucce alla temperatura di 18 gradi. Poi si affina in tonneau di rovere per sei mesi e dodici mesi in bottiglia. Lo stesso uvaggio del Tufaio ma con lavorazione differente, sulla fase di affinamento, passando in legno di rovere dona al vino note di cedro e arancia, vanigliate, la nota dolciastra ammorbidisce il vino partendo comunque da una spalla acida elevata e piacevole. Si abbina a carni condite, in salsa, o pesce elaborato come spigola in crosta di patate.
Da degustare in privato acquistiamo due bottiglie di sauvignon blanc , sauvignon in purezza, l’Anniké dedicato alla figlia Nicoletta, che per un giro etimologico risalente al greco riporta alla parola Nike, ossia vittoria, come la scommessa di questa cantina che alla fine ha avuto la meglio su tante difficoltà iniziali. Un vino a nostro avviso favoloso. Esprime tutte le classiche caratteristiche del sauvignon con una forte mineralità e una acidità che compensano i profumi dolci della frutta a polpa bianca matura. I profumi erbacei completano questo vino dove il classico sentore del sauvignon non è aggressivo ma accompagna il prodotto in un bouquet straordinario. Il vino viene prodotto solo nelle annate migliori e, nonostante la temperatura non favorevole, si riesce ad ottenere un risultato ottimo grazie alla qualità del terreno. Da abbinare a piatti di pesce o carne ma non troppo lavorati, per esaltare il sapore del vino.
I racconti di Claudio continuerebbero all’infinito, nel frattempo arrivano coltivatori suoi amici, vignaioli in erba, che chiedono consigli, “prima è arrivato un mio amico – dice Claudio – un musicista bravissimo, che da quando ha la vigna non pensa ad altro”. L’ora di pranzo è quasi ormai passata, la moglie Maria lo chiama al cellulare perché lo aspetta a casa, non abbiamo avuto il piacere di conoscerla, ma la immaginiamo attraverso l’etichetta di AmMaria, a lei dedicata, come parte fondamentale di questa azienda intessuta tutta sulla forza della famiglia.
DONA ORA E GRAZIE PER IL TUO SOSTEGNO: ANCHE 1 EURO PUÒ FARE LA DIFFERENZA PER UN GIORNALISMO INDIPENDENTE E DEONTOLOGICAMENTE SANO
Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
Lascia un commento