Di Anna Lisa Minutillo
La nostra è la società delle contraddizioni, ci lamentiamo poiché, a causa del covid, siamo privati e privi di abbracci, interazioni, dialoghi che se non avvengono in presenza, si svolgono a distanza.
Sempre più irretiti dalla rete, che ha aperto schermi nelle case di chi, una volta ricevuta la chiamata, si mostra easy: mollettone tra i capelli, tuta oppure t-shirt da «battaglia» e jeans usurati, troppo per essere indossati in pubblico.
Afferriamo mani a distanza, sembriamo tutti «buoni», comprensivi, disponibili, tutti feriti da giorni non voluti ma suscettibili di pentimenti travestiti da finta condivisione.
Questo perché ci stanchiamo altrettanto facilmente di ciò di cui sentivamo la mancanza.
Abbiamo da fare, dobbiamo riprenderci il nostro tempo, dobbiamo recuperare ciò che avevamo lasciato in sospeso.
Menti che partoriscono idee, le stesse spacciate per innovative e uniche, ma, chissà perché poi, ad uno sguardo un tantino più attento, si mostrano per ciò che sono realmente: solo la scoperta dell’acqua bagnata.
Il tutto accade quando gli innovatori non sono in grado di rinnovare neanche se stessi e le cronache sono tornate a riempirsi di scenari violenti, di una violenza assurda, mai vista, o forse sempre esistita e soltanto mal celata.
Chi sperava nel ravvedimento individuale, si è dovuto velocemente ricredere.
Chi auspicava in un diventare più buoni, dopo aver trascorso mesi in isolamento sociale, ci ha impiegato poco, troppo poco, per tornare ad essere poco paziente e ottimo giudice delle vite altrui.
Accade che ad esprimere giudizi negativi, sia proprio chi un carattere strutturato e forgiato, non lo possiede.
Ed allora, la«normale» conseguenza di questa mancanza, diventa lo screditare gli altri, il tentativo bieco e infimo di creare ostacoli a chi, nonostante tutto, riesce a trovare un modo per fronteggiarsi con le difficoltà della vita, senza ledere gli altri.
Si sconfina nella perfidia, si vedono gli altri come birilli da abbattere perché si deve parlare di se, non di chi agisce correttamente.
Quelli, si sa, sono i meno furbi, quelli da sconfiggere, senza badare a spese.
Atti vili, che parlano di chi si è in realtà, nonostante le autocelebrazioni, i proclami a «social unificati», lo spandere fango, quello stesso fango che li ricoprirà, non appena verranno chiamati a rendicontare la loro «intoccabile preparazione».
Ricordate i tempi della scuola dell’obbligo, quelli in cui si cresceva avendo poco tempo libero, ma molti libri di testo, lavori di gruppo e ricerche infinite sui più svariati argomenti?
Si creavano gruppi di lavoro in sana «competizione», si andava alla ricerca del lavoro ben svolto, del tema meglio trattato, del particolare dimenticato.
Era una «invidia», costruttiva, atta a migliorare il proprio operato.
Un ‘invidia che serviva a prendere esempio, non a diventare «cacciatori» di innocenti prede.
Si ascoltava la valutazione dell’insegnante che premiava gli sforzi, le immagini allegate e ritagliate meglio, i contenuti e la forma con cui venivano scritti e successivamente esposti.
Non solo, si valutava anche la modalità con cui si lavorava insieme, la presenza o meno dell’alunno, quando, in quel dato pomeriggio, si doveva studiare insieme.
Si valutava anche il modo di interfacciarsi agli altri, la predisposizione all’aiuto, il comportamento tenuto quando ci si rivolgeva a quell’alunno che aveva tempi di apprendimento un tantino rallentati, ma, che, con l’aiuto degli altri, superava la cosa.
Aspetti che abbiamo dimenticato forse, o che siamo troppo impegnati a sottovalutare, perché rubano tempo al nostro profilo che deve sempre brillare, non importa a quale prezzo, non importa per quanto tempo, non importa neanche a scapito di chi, ciò che conta è pensare di valere e farlo credere anche agli altri.
Vediamo gruppi di giovani che hanno perso la strada cercando se stessi.
Assistiamo ad episodi in cui si picchia senza controllo, si annienta l’altro fino ad ucciderlo con colpi talmente violenti da spaccare gli organi interni.
Vediamo genitori disperati dietro ad atti studiati per raggiungere le folle che non inneggiano più alla bravura ed alla correttezza, ma che scalpitano, come cavalli allo stato brado, per «l’eroe» del momento, Oquello che conduce la bella vita a spese altrui, quello che ignora valori e morale, quello che fa sfoggio di se solo attraverso atti vili, i soli che conosce, i soli che gli restano per appagare questo egocentrismo esagerato, quello di cui non si può fare a meno.
Parliamo e ci esprimiamo male, ci dipingiamo persone corrette e sensibili ma poi teniamo interi monologhi in cui esultiamo l’io e non pronunciamo mai la parola: noi.
Ci ricordiamo di essere noi quando esigiamo, quando non muoviamo un dito e restiamo a guardare come gli altri realizzano ciò che sosteniamo di aver «inventato» il noi già dimenticato e soppiantato dall’imperante e prepotente io.
Questo continuo esprimersi in prima persona, decantando altruismo e generosità a go-go, fa di per sé a pugni con quanto ostentato che dovrebbe essere riconosciuto da altri se davvero ci appartenesse, invece di inondare pagine bianche che profumano di tutto, tranne che di vita.
Logora questa continua osservazione in «casa» altrui, logora vedere le vite degli altri procedere comunque, tra inciampi e difficoltà, ma arrivare comunque all’obiettivo prefissato. Logora quel finto essere amiche delle persone giuste, urilizzarle e poi gettarle via come se nulla fosse, come se le loro vite fossero nulla.
Il classico predicare bene e razzolare male e guai a difendersi, guai a dire la propria.
Gli invidiosi distruttivi non ci stanno, ti vogliono muto, devi subire perché neanche il diritto di difenderti ti vogliono lasciare. Devi subire perché risiede in te il loro fallimento e non possono sopportare di vedersi sbattere in faccia la realtà, ogni malaugurata volta in cui incrociano il tuo cammino. Come se dipendesse da te che invece di voglia di apprendere, di metterti alla prova, di vivere in armonia, non sei ancora stanca.
L’umiltà di non ritenersi arrivati, lo sguardo attento, il viso aperto, per gli invidiosi sono da tenere a debita distanza.
Non sopportano te perché non sopportano se stessi. Vorrebbero un mondo di burattini da manovrare, sospesi tra fili da muovere e solitudini esistenziali. Fanno terra bruciata intorno a loro per poi lamentarsi di essere soli. Non sopportano la felicità altrui, come se gli altri non avessero problemi, come se venisse loro regalato tutto.
Non vedono i sacrifici le rinunce, le sconfitte, vedono solo il qui ed ora, senza minimamente immaginare i giorni no che i tanto odiati realizzati hanno dovuto lasciarsi alle spalle prima di vedere un barlume di serenità. Non lo canalizzano tutto questo odio, lo fanno emergere in quello sguardo bieco che indirizzano alle loro vittime.
Non accettano di vederli in armonia con le altre persone.
Non accettano il fatto che non siano mai dovuti scendere a compromessi per ottenere ciò che hanno. Coliche e travasi di bile, se poi a tutto ciò si aggiunge la provenienza da famiglie solide, con cui i rapporti sono sereni e duraturi, mentre, se va bene i loro sono circostanziati allo batter cassa per favori o denaro.
Rabbia anche per ruoli ricoperti nella vita, senza pensare minimamente che intanto che loro andavano in giro, altri stavano chiusi in casa, con il capo chino sui libri a studiare. Ci provano a rimediare, lo fanno a modo loro, confondendo l’ostentazione di beni materiali, con l’affermazione e la realizzazione personale.
Comperano auto di alta cilindrata, si travestono da manager con la terza media (quando va bene), si dilettano in vacanze all’estero senza conoscere la storia dei luoghi in cui si recano e solo qualche parola in lingua straniera.
Fanno cose, vedono gente, frequentano luoghi ma restano sempre inappagati, rinchiusi nelle loro elucubrazioni mentali tra deliri di onnipotenza e silenziosi rifiuti che è meglio non raccontare.
Già, non sarebbe semplice percorrere il viale dei ricordi, soprattutto quando da ricordare non vi è nulla.
Spesso si innamorano non essendo ricambiati, confondono una banale conoscenza esaltandola a un probabile corteggiatore. Vedono in una semplice domanda un interesse di origine differente, fantasticano e sognano appuntamenti mai richiesti.
Non accettano i rifiuti e parlano male delle donne o degli uomini che sono sì oggetto dell’interesse di chi non le prende in considerazione come qualcuno/a da amare. Insomma, ci si stupisce sempre che persone apparentemente tranquille possano invece provare sentimenti di inaudita cattiveria, ma tant’è.
Manca la forza interiore per emulare, cogliendo il meglio di ognuno, e si lascia ampio spazio ai sentimenti negativi che non rendono onore e possono, dal momento in cui diventano incontrollati, sfociare in omicidi, in torture psicologiche, in danni che ledono le immagini altrui per lasciare il posto a reazioni violente.
Carnefici che diventano vittime, che accampano scuse per scaricare responsabilità alla società rea di non occuparsi di loro, quando sono proprio questi ultimi ad innalzare muri tra chi dovrebbero stimare e finiscono invece con l’odiare.
Non tutti provano invidia, risentimenti, e considerazione negativa.
Non tutti traggono spunto da modelli discutibili da emulare. Esistono anche persone tranquille che ammirano le doti altrui e non si sentono inferiori se non né possiedono altrettante. Questo perché ognuno, a modo suo, ha maggiori predisposizioni in un campo o nell’altro e riesce a farle vivere tranquillamente nel contesto in cui si è inseriti.
Accettarsi per ciò che si è, diventa il modo migliore per dare prova di maturità e contezza di se stessi. Comprendere che non è demolendo le certezze altrui che si va avanti nella vita, eviterebbe dispendio di inutili energie, verso chi si sostiene di poter fare a meno, ma si trema terrorizzati quando lo si lascia andare.
Al punto da continuare ad interessarsi alla sua vita, al punto da essere ossessionati dai traguardi raggiunti, al punto da smettere di vivere, per non perdere un attimo di quella vita che vorrebbero fosse la loro, ma che non vivranno mai, se non nella visione distorta che si sono costruiti.
Proiettano rabbia quando sostengono di ammirare, si crogiolano in invidie che divorano, diventando cupi e rosiconi, ma di arrotolarsi le maniche e darsi da fare, non vogliono sentirne parlare.
Una vita in guerra contro il mondo, una vita di falsi sorrisi e finti interessi, che cessano non appena il soggetto invidiato troverà il modo di ribellarsi a quella poco salubre trappola in cui era caduto.
Il limite tra follia e normalità è molto labile, ancor di più lo è quello tra la finta ammirazione e l’invidia distruttiva, quella che per danneggiare gli altri, finisce per raccontare quanto sono danneggiati loro.
***Abbiamo stipulato un accordo con le autrici del blog scrignodipandora.altervista.org per la libera ridiffusione di alcuni loro articoli. Il pezzo originale di Chiara Farigu è pubblicato qui: scrignodipandora.altervista.org
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