Di Anna Lisa Minutillo
Ospiti di un immenso pianeta, traballanti nei nostri modi di agire e di pensare.
Alla ricerca di affermazione effimera, di consensi di sconosciuti, del sistema in cui ci si impegna meno e, senza grandi sforzi, si ottengono i migliori risultati.
Persi tra un chi eravamo ed un cosa siamo diventati, qualcuno, a margine della pandemia sosteneva saremmo migliorati, altri che chi era stronzo lo sarebbe diventato ulteriormente, ed altri ancora che facciamo più schifo di prima. Chi ha ragione? Chi si barcamenava e continuerà a farlo in modo palese e osannato, oppure chi da certi atteggiamenti pressapochisti e individualisti ha sempre preso le distanze?
Quesiti che non troveranno mai una risposta sola, forse perché una sola risposta non c’è. Uno «squallido teatrino» dove tutti incolpano tutti e pochi si assumono responsabilità. Assistiamo a perdite di vite, quasi come se si trattasse delle scene di un film, con la sola eccezione che, non è un film e che quando si muore, si muore davvero. Questa cosa è agghiacciante: il fatto che nessuno pensi che, quando si spegne un sorriso tutta l’umanità si ritrova ad essere più buia.
Questo è intollerabile, spaventa, disorienta, fa di noi degli involucri vuoti e proni al volere di chi ci spiana la strada, colorandola con orpelli che ci condurranno all’autodistruzione, se procediamo così. Non curanti di valori insegnati dalla notte dei tempi, in cui veniva chiaramente spiegato che non bisogna mai fare squadra prendendosela con i più deboli, con una persona sola, indifesa, perché questo non avrebbe fatto di noi delle persone da rispettare ma, al contrario, avrebbe solo esaltato la nostra pochezza, le nostre fragilità, l’insicurezza. Cose difficile da comprendere in questo momento storico, in cui, continua a passare il messaggio della superficialità sfrenata.
Dall’alto della nostra spocchia, pensiamo di essere invincibili, dimentichiamo ciò che abbiamo vissuto, o forse lo ricordiamo talmente bene che ci sentiamo riscattati, quando teniamo con gli altri gli atteggiamenti subiti, chissà. Carrellate di passaggi della « patata bollente», le famiglie demandano alla scuola, la scuola alla famiglia ed alla società, la società alle palestre, le palestre al buon senso di ognuno, insomma: tante, troppe parole e le vittime di atrocità, restano lì, dimenticate quasi, prese a cazzotti nell’anima oltre che nel fisico. Impossibilitati al potersi difendere, a dire la loro, perché messi nell’assurda condizione, di tacere per sempre.
Pagine e pagine riempite con foto, interviste, visibilità sfrenata che prende il posto delle notizie che lottano più di altre per risalire la china, perché non fa notizia parlare di ciò che funziona, di ciò che pochi volenterosi, in ogni ambito, fanno quotidianamente per rendere questo mondo, se non migliore, almeno accettabile. Copia incolla sfrenati, giudizi che diventano duri, cattivi, che esprimono rabbia al massimo livello (anche giustificata se vogliamo), ma che non fanno altro che accomunarci a ciò che tanto critichiamo. Esposizione mediatica per chi non la merita e poco rispetto per il dolore che non si può quantificare se non vissuto, provato sulla propria pelle. La pelle già, quella che se di colore differente dalla nostra sentiamo questo assurdo bisogno di specificarne la provenienza.
«Capoverdiano», invece di italiano, complimenti! La pelle già, quella che quando si parla di accettazione, condivisione, integrazione, trova la maggior parte di noi solidale, unita: nessuna differenza, già, a parole. Nei fatti, non è così: sappiamo bene, quanto debba faticare, impegnarsi, dimostrare chi ha una carnagione differente dalla nostra. Sappiamo anche bene, quanto faccia comodo sfruttarli, assegnare loro «lavori» discutibili, retribuiti malamente e senza alcun diritto. Ma anche qui, facciamo finta di non vedere, di non sapere, di essere distratti. Un’integrazione che va guadagnata, sudata, che lascia sfiniti lungo gli argini dell’indifferenza della massa.
Però siamo tutti buoni, tutti comprensivi, tutti moderni, emancipati e nonostante questo continuiamo ad alzare muri di divisione in modo costante.
Come la goccia che finisce con lo scavare la roccia, manteniamo tarli che logorano quei pochi neuroni che siamo riusciti a conservare ed a preservare da quelle brutture che ci hanno imbruttiti senza pietà.
Pensiamo a quanto accadeva con i meridionali fino a qualche manciata di anni fa, e forse, per alcuni, funziona ancora così: ghettizzati e allontanati, derisi e quasi annullati, solo perché? Vai a capire le reali e inesistenti ragioni, persone appartenenti alla stessa Nazione abbiano dovuto accettare che con loro si «giocasse» alla «guerra al terrone».
Culliamo nella testa pregiudizi nocivi per la comunità salvo poi incolpare la società quando siamo noi a mancare di socialità.
Doloroso ammettere quanto lavoro ci sia ancora da fare, rosolviamo tutto giocando allo scarica.barile, dimenticando chi raccoglie i nostri pomodori, chi lavora nelle stalle mungendo le nostre mucche, chi fa consegne fino a tarda sera e poi non ha da mangiare, ma poco importa: soddisfano le nostre esigenze, non sono più «extracomunitari» che anche se morti , devono (non si sa bene a quale titolo» valere meno delle altre persone. Cerchiamo soluzioni «semplici» per drammi difficili, in cui si muore senza un perché, dove nessuno riesce a dire:«ora basta!», dove chi tenta di difendere un amico, già, l’amicizia, quella parola usata per riempirci la bocca il più delle volte, ma poi, mai realmente dimostrata, perde la sua stessa vita.
Si da’ la responsabilità alle palestre, dimenticando che, proprio attraverso le arti marziali, viene insegnato il controllo, l’autodiscoplina, il rigore, il rispetto, le regole.
Forse, dimenticando che in palestra, così come in altri ambienti, si arriva già come esseti che dovrebbero essere raziocinanti, educati e formati.
Quali sono gli insegnamenti ricevuti? Sono stati interiorizzati, assimilati, fatti propri?
Non ci interessa puntare il dito, ci interessa riflettere, usare il buon senso, quel poco che siamo riusciti a preservare, a difendere da questa corsa al diventare popolari attraverso comportamenti poco etici ed educati.
Questo perché è inutile parlare di vite specchiate, di normalità, di valori, se poi anche noi, diventiamo complici di condotte basate sul facile «successo»,predicando bene ma, razzolando male. Dovremmo fermarci, osservarci dall’esterno, guardare se ciò che viene passato per vita decente, alla fine lo sia davvero. Dovremmo smettere di rincorrere auto di lusso, marche di tendenza, loock di cattivo gusto ci rappresentano correttamente. Dovremmo smettere di identificarci con il «tutto e subito», senza preoccuparci del male che le npstre distratte azioni potrebbero avere sugli altri.
Qualcuno sostiene che le donne siano intetessate solo a muscoli, tatuaggi, e denaro facile, dimenticando che le Donne, non sono tutte uguali, così come fortunatamente, non lo sono gli uomini. Forse ci sarà anche chi la vedrà in questo modo, ma attenzione a non mettere tutte sullo stesso piano, a non cadere nella trappola del «sono tutti/e uguali», altrimenti ci condanniamo alla superficialità eterna, al pressapochismo, a ciò da cui diciamo di voler fuggire. Nomi, volti, commenti sgradevoli, pregiudizi, concetti banali, non devono interessarci, ciò che deve interessarci è il rispetto per la vita, per i valori, per l’educazione, per la serenità di un dialogo costruttivo e non la violenza ingiustificata e distruttiva. Annullare gli altri non porta a nulla, dà solo dolore, tanto dolore.
Assistere a manifestazioni di odio, razzismo, e inciviltà, senza fermarsi, senza prenderne le distanze, dimostrando con il nostro vivere di essere differenti da ciò in cui alcuni si identificano, non ci rende migliori. Tutto questo mostrerebbe solo le nostre fragilità, la nostra arrendevolezza, il nostro male di vivere, la nostra inadeguatezza nel fronteggiare problemi da soli e la necessità di diventare branco per sentirsi «forti», senza tenderci conto di quanto invece siamo deboli e malleabili.
Dovremmo chiedere scusa per ciò che qualcuno di noi, ritenendosi intoccabile, fa, dovremmo rispettare e chiedere scusa, dovremmo comprendere un dolore così grande e restare accanto a chi, suo malgrado, si ritrova a viverlo essendone schiantato.
Cerchiamo di restare «brave» persone, persone che non sono violente inutilmente, persone che conservano un’anima e non la barattano solo per credersi migliori, persone con le mani pulite che non grondano di sangue, quel sangue che ha lo stesso colore del nostro, se non vi siete accorti …
***Abbiamo stipulato un accordo con le autrici del blog cheventochetira.altervista.org per la libera ridiffusione di alcuni loro articoli. Il pezzo originale di Anna Lisa Minutillo si trova al seguente link: https://cheventochetira.altervista.org/vittime-del-male-di-vivere-o-del-vivere-male/
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