Di Anna Lisa Minutillo
Il silenzio, quello in cui si sprofonda dopo il primo maltrattamento subito. Che sia verbale o fisico, poco importa. A fare da padrone a tutto ciò è quel senso di inadeguatezza in cui si sprofonda, quel timore di essere giudicate, piuttosto che ascoltate e supportate, quel timore di non valere nulla e quasi di ” meritare” il primo “vaffanculo”, oppure il primo schiaffo. Quella che si osserva riflessa nello specchio, è un’immagine che inizia a rimandare qualcosa di differente di se, e diventerà ciò che accompagnerà le molte osservazioni, quelle che lasciano incredule, che non hanno motivazione, che non devono trovare giustificazione. Perché è così che tutto ha inizio: I toni della voce che si alzano, la prepotenza che irrompe, le mani che si alzano, ti afferrano, ti scuotono, come se tu non fossi più tu, come se non rappresentassi più nulla, come se diventassi una bambola di pezza con il cuore che sanguina. E tutto intorno quel freddo silenzio, quella calma apparente, quel fare finta di niente, che tutto vada bene, affinché quel tutto passi presto.
il silenzio di chi sente, ascolta ma non sa che fare, non vuole intromettersi nella vita altrui, tranne però quando il giorno successivo si ritrova a commentare insieme a qualche altro condomino “attento”, “perspicace”, “vigile”, tutto tranne che intervenire, chiamare soccorsi, segnalare, in modo anche anonimo, ciò a cui assiste da un po’. Forse cambierà, forse sarà un momento difficile, forse ci saranno preoccupazioni o tensioni lavorative, forse avrà trovato un’altra, forse non mi ama più, forse ho mancato in qualcosa. Queste le domande che affollano la mente delle tante vittime di questa inaudita violenza. E non importa come si chiamino, quanti anni abbiano, o dove vivano. Perchè, nulla di tutto ciò che si domandano, hanno commesso: basti pensare che, se per ogni errore commesso da chiunque, ognuno di noi dovesse pensare di risolvere la situazione alzando le mani, allora andremmo tutti in giro con evidenti lividi.
Il silenzio e i lividi invece chi riceve “trattamenti di questo tipo” li porta con sé, quando si trucca in modo più pesante per evitare che le occhiate indagatrici delle colleghe, delle altre mamme, quelle a cui tutto sembra andare bene, quelle che hanno la “famiglia del Mulino Bianco” perfetta, possano vedere. Segni che mai più devono arrivare ai famigliari che le immaginano “felici” e realizzate, che spesso magari non condividevano neanche la scelta di quel compagno, ma hanno rispettato il modo di pensare della loro “bambina”, quella che tra mille sacrifici hanno cresciuto, quella a cui è stata data un’istruzione adeguata, quella che ha dato mille soddisfazioni. Difficile mostrarsi oggi con quel volto segnato, con quello sguardo triste, con quella sensazione di fallimento che ci si porta dentro.
Allora si diradano le visite, si evitano i contatti, si smette di dialogare, di raccontarsi, quasi come se le colpevoli fossero coloro che subiscono, reee di essersi fidate, di non aver ascoltato di aver seguito il cuore e non la razionalità. Una gabbia e neanche dorata, una trappola mortale, una tela tessuta con calma, con costanza, in cui “l’orco” ti ha fatto cadere, isolandoti sempre più, perché una vita senza te non la può neanche immaginare, ma questo solo in caso sia tu a decidere di tagliare i fili di questa tela.
Il silenzio che tace dove dovrebbe parlare, i giorni pesanti che si susseguono, la situazione che pare non cambiare mai, ma anzi si ripete e con maggiore frequenza. Una volta a riempirti di cazzotti è il tuo voler “apparire”, la tua volontà di essere una donna curata, che si veste in modo troppo provocante, che anela troppa libertà, che riceve consensi da chi non dovrebbe. Altre volte la colpa è per essere stata negligente, per aver “osato” rispondere alle solite sterili menate che non hanno una spiegazione logica, ma diventano l’abitacolo delle più assurde paure, insicurezze, frustrazioni. Quelle che il carnefice sfoga sulla sua vittima, sentendosi autorizzato a farlo.
” Trascorri troppo tempo sui social”, “esci troppo spesso”, “non hai pulito casa come avresti dovuto”, “non mi hai stirato la camicia che mi serviva domani”. E così, tutto è dato per scontato tutto, tranne le mancanze di chi ti sta accanto, tranne quel non esserci mai a dare una mano concreta, perché, “poverino”, si sa, lui deve lavorare, deve essere sempre impeccabile, si stanca se deve sparecchiare, o ritirare la biancheria dallo stendino.
Lui, si stanca, la sua colf, schiava, succube, inascoltata e non considerata compagna non ha questo diritto… Tutto, in questo assordante silenzio al fine di giustificare questo assurdo tutto fatto poi di niente. Tutto quello che accade, non va giustificato, tutto quello che non si deve chiamare amore, perché è tutto tranne che amore. Allora i giorni passano, il corpo cambia, i lividi aumentano e “scegli” di uscire indossando gli occhiali da sole, accampando come scusa, la sensibilità improvvisa dei tuoi occhi alla luce, in modo che
nessuno veda, che nessuno capisca, che nessuno ti possa dire nulla.
Quella luce del sole che portavi dentro si è spenta da molto tempo ormai, ed è quella a bruciare, non certamente la luce che proviene da un giorno di sole che vorresti tornare a guardare, facendone parte, come sarebbe giusto accadesse. Discussioni, tensioni, bimbi che urlano, che si nascondono, che iniziano a temere quell’orco che non è più un “padre” ma una figura nefasta, che si aggira tra le mura di casa, portando con se, in questo silenzio quella inaudita violenza che un giorno finirà per colpire anche loro. Zitti: “nessuno deve sapere, non parlate con nessuno, non accennate a nulla, soprattutto con le insegnanti, con gli altri bimbi, papà è solo un po’ nervoso ed ha chiesto scusa alla mamma”.
Le bugie che ci si racconta per sopravvivere fino a quando sarà possibile, quelle che ci si racconta perché in fondo non si riesce a concepire un cambiamento simile nell’altro. Quell’altro che ha sfidato il mondo, il volere contrario dei genitori, pur di stare con te, di creare la sua famiglia con te, di riempirti di quelle attenzioni tanto decantate in tutti quegli anni di frequentazione antecedenti il matrimonio. Le bugie che racconti ai tuoi figli per non ledere la figura di questa “specie di padre” che non si interessa mai a loro, che non li segue durante i compiti, che non ha mai tempo da dedicargli. E tu sempre lì, avvolta nel mare di questi segreti e bugie che sono visibili agli occhi del cuore di chi ti vuole bene e che mai ti giudicherebbe, ma anzi potrebbe aiutarti, anche solo ascoltandoti, anche solo dedicandoti un po’ del suo tempo, anche solo consigliandoti per il meglio.
L’ennesimo scontro, l’ennesimo litigio, quelle mani serrate intorno al collo, quell’aria che ti manca, annaspi in quella sensazione di stordimento ma al tempo stesso di pace, quella pace che vivendo in questo scenario squallido che si ripete ogni giorno, da molto tempo, da troppo tempo, pare diventare un’ancora di salvezza in questo mare di indifferenza, di oscurità, di buio e silenzio.
Non sai se pregare che stringa più forte, non sai cosa augurarti, smetti anche di divincolarti e lui allenta la presa, sembra ravvedersi, ti chiede perdono, il più delle volte piange anche. Tu sei lì, come un giunco piegato, pensi ai tuoi bambini, pensi a quanto abbiano ancora bisogno di te e cerchi di riprendere a respirare, cerchi di scacciare via tutto. Lo sai che la morte è stata ad un passo da te, lo sai che domani sarà tutto uguale lo sai e non lo vuoi più. Con quel po’ di coraggio che ti rimane, decidi di comunicare la tua decisione : ” é meglio che le nostre strade si dividano, è meglio finirla qui, è meglio darsi un’altra possibilità”… Ecco, un’altra possibilità, quella che questo carnefice travestito da essere umano, si prenderà per ucciderti, per lasciarti sì, ma così, in un mare di sangue, con quella smorfia di dolore e stupore disegnata sul viso, con quei sogni appesi tra la speranza di un cambiamento e la sensazione che non avverrà mai.
Il giocattolo si è rotto, il gioco si è concluso, il silenzio quello di pace, liberatorio si è verificato. Di te resterà una foto tessera nel peggiore dei casi, oppure un’immagine di quelle rare, in cui sorridevi alla vita abbracciando i tuoi figli, promettendo loro che gli saresti sempre stata accanto, che avrebbero sempre potuto contare su te. Sono state 103 le donne uccise nel 2019, nel 2018 :135 e nel 2017 131. Numeri e storie di donne che si rincorrono, articoli scritti con migliaia di parole battute, appelli e mobilitazioni, manifestazioni e programmi televisivi, libri e convegni scritti e partecipati, gruppi di ascolto e psicologi interpellati, questa piaga non si ferma, i segreti e le bugie vanno avanti, le soluzioni paiono dare una battuta di arresto e lo fanno solo per pochi giorni, dopo, tutto torna come prima… la certezza della pena continua a mancare, l’associazione della parola “raptus” sempre più usata, quando questi invece sono tutti assassini silenziosamente annunciati.
Si parla di femminicidio come di emergenza nazionale, un’emergenza che miete vittime troppo spesso dimenticate, vittime silenziose che non disturbano neanche quando anelano l’ultimo, respiro di quell’aria di cui da troppo tempo venivano private. Non deve avere un prezzo così alto lo scegliere di dire basta a tanta violenza, non si deve morire per tornare ad essere libere. Basta con queste battutine sulle donne, su questi commenti viziosi e viziati che i vostri figli faranno propri per ritrovarsi ad essere i cultori della violenza di domani. Basta con il silenzio, ma basta anche con i giudizi, espressi troppo facilmente per e nella vita di chi non conosciamo o non vogliamo conoscere.
Basta con il ritenere che queste cose accadano a chi non ha studiato, a chi vive al sud, a chi non ha la preparazione sufficiente per affrontarle. Basta con le troppe parole non richieste e con il silenzio laddove ci sarebbe bisogno di supportare, di non voltarsi dall’altra parte. Basta con il guardare questi assassini con gli occhi dell’amore, perché è svilire il suo valore associare la parola amore a simili criminali. Basta con il dire basta. iniziamo ad agire affinché tutto questo smetta di accadere. Educhiamo ai sentimenti evitando noi di diventare violenti per ogni minima cavolata, smettiamo di usare parole forti quando siamo deboli, siamo persone che possono sbagliare, che valutano male e non per questo dobbiamo vergognarcene. I bambini ci guardano e perdere l’espressione “angelica” per trasformarsi in “orco” è un processo molto più breve di quello che siamo in grado di immaginare. Costruiamo, non demoliamo altrimenti a questi ragazzi non resterà nulla, neanche : l’amore.
***Abbiamo stipulato un accordo con le autrici del blog cheventochetira.altervista.org per la libera ridiffusione di alcuni loro articoli. Il pezzo originale di Anna Lisa Minutillo si trova al seguente link: https://cheventochetira.altervista.org/silenzi-e-bugie/?fbclid=IwAR06w8EVd1DVI23Q2w-sHEfWhBT2ovKvZLSW6mvvTG5ZM_fn09I9CxxxZ1k
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