Una nuova “normalità”…

normalità

Di Sergio Ragaini

Spesso si parla di “quando ci sarà il ritorno alla normalità”. Credo, però, che sia importante chiedersi “quale normalità”.  Infatti, la normalità nmopn è altro che uno stato di equilibrio, in una realtà dinamica che cambia in continuazione. È, quindi, essa stessa un fattore dinamico, cangiante, che si modifica anche molto velocemente. Situazioni come quelle vissute hanno operato trasformazioni tali per cui la situazione di “normalità” è differente. E quindi, non è difficile immaginare che la nuova normalità che ci troveremo a vivere sarà differente dalla precedente. Sarà qualcosa di nuovo, dove purtroppo la socialità, come la conosciamo, potrebbe definitivamente svanire.

Nuova normalità: un nome, un programma. Un qualcosa che dice che, in certi casi, le trasformazioni possono essere irreversibili.

Ed è proprio quello che noi possiamo oggi temere: il fatto che si arrivi a considerare normale quello che non lo è. In fondo, durante il lockdown alcuni hanno considerato del tutto “normale” qualcosa che ha violato i diritti umani. Eppure per troppi “andava tutto bene”: al punto che sulle case lo scrivevano. Al futuro, ma il senso no cambia, visto che il futuro è ignoto!

Ecco: la normalità è relativa, e nella maggior parte dei casi è solo quello che le persone accettano come tale. Anche le cose più assurde, quindi, potrebbero prima o poi diventare normali. Un qualcosa a cui ci si abitua. Credo, però, che si possa partire ancora a monte. Vale a dire, dal cercare di capire cosa è la normalità, e quando questa ha un senso. Cercheremo poi di capire come questo concetto di “normalità” possa trasformarsi, e in che maniera.  Per poi arrivare a discutere la situazione attuale.

Tante volte, soprattutto tra bambini, si dice a qualcuno “ma tu non sei normale”. Di per sé questo vuole dire davvero molto poco: infatti, la normalità è una “media statistica” che poco ha a che vedere con quello che davvero una persona è. La normalità statistica non ha nulla di funzionale: e spesso è solo una sorta di grottesco appiattimento dal quale sovente non si esce così facilmente.

Quindi, in questo caso, la frase “non sei normale” potrebbe facilmente diventare “non sei funzionale”. Così suona molto meglio, direi. E sostituisce, ad un’idea di chiusura ad un comportamento estroso, qualcosa che esula da una funzionalità.

Credo che la funzionalità sia fondamentale nel nostro cammino: infatti, regole disfunzionali, lo dico da sempre, andrebbero davvero massicciamente ignorate. E se, ad esempio, una regola relativa alla circolazione stradale più essere funzionale, quelle del lockdown che abbiamo vissuto erano del tutto disfunzionali, e quindi non avevano alcuno scopo, se non violare la libertà delle persone.

Veniamo ora a quello che è la normalità: questa non è mai un valore assoluto, bensì, devo dire, fortemente relativo. Quindi, appare un  concetto di normalità come funzionalità. La normalità quindi è qualcosa “che funziona”. Nel caso di una persona, quindi, dire “non sei normale” significa affermare che non c’è funzionalità nel loro modo di essere.

Nel caso dell’individuo, quindi, la normalità è solo la funzionalità di comportamento: vale a dire, un comportamento che è funzionale alla situazione. Anche qui, però, non si può parlare di questo in assoluto: ad esempio, se una persona in una sala da concerto si mette a cantare, viene immediatamente allontanato. Nello stesso tempo, se lo fa in altre circostanze, può essere positivo. Quindi, anche qui vediamo una normalità che non ha a che vedere con qualcosa di assoluto, ma di relativo. Una normalità legata al luogo in cui una persona si trova.

L’altro elemento che potrebbe interessarci, oltre a quello spaziale, legato alla situazione, è quello temporale: se, infatti, il concetto di normalità è traslato nello spazio, lo potrebbe essere anche nel tempo. E per tempo intendo tante possibili opzioni: anche quella di un tempo che varia, assieme alle circostanze attorno a noi.

Facciamo un esempio: oggi è normale comunicare con uno smartphone, che permette di fare quasi tutto quello che si può fare mediante un computer. Per contro, anni fa tutto questo non era normale. Questo vuol dire che la “normalità”, come noi la intendiamo, cambia costantemente, ed è quindi un flusso continuo, che si muove nello spazio e nel tempo, e che viaggia, trasformandosi.

La normalità è funzione di tutto questo, e lascia il segno in ognuno di noi.

Tuttavia, questa normalità non cambia solo a causa dell’ambiente, ma anche delle persone: tutto questo è collegato all’ambiente, ma in parte ne differisce, come ben si può capire: infatti, qui mi riferisco soprattutto alle circostanze, agli eventi. Infatti, degli eventi fatti che inducono forti trasformazioni nel mondo attorno a noi possono portare con sé quelle trasformazioni, magari repentine, che provocano forti cambiamenti attorno a tutti noi. In modo che le cose cambino bruscamente.

Insomma: anche le trasformazioni possono non essere continue, quindi variare con continuità, seppur attraverso pendenze diverse (per capirlo, pensiamo ad una curva che può salire o scendere più o meno rapidamente), ma anche fare dei salti. È come se, nel disegnare una corva, staccassimo la mano dal foglio: otterremmo un passaggio altrove, in qualcosa di completamente differente.

Parlando a più dimensioni, e traslando l’esempio all’Universo in cui ci troviamo, è come se attraversassimo un wormhole un tunnel spazio-temporale: ci troveremmo in uno altro spazio-tempo, e forse anche in un altro universo, se il cunicolo che stiamo attraversando non è solo “inter universo” ma “intra universo”, quindi mette in comunicazione universi differenti.

Questi universi, però, possono non essere solo fisici, ma mentali: in fondo, ogni persona, e ogni gruppo di persone, ha un suo universo di idee, pensieri, sensazioni e altro ancora, e determinati eventi proiettano letteralmente in un altro universo, completamente differente da quello di partenza. Proiettano, insomma, quasi in un’altra dimensione, anche percettiva.

E alcuni di questi passaggi possono essere a senso unico: vale a dire, non attraversatili in senso inverso. Prima di proseguire riassumiamo i risultati sin qui ottenuti: abbiamo quindi visto che esistono normalità statistiche e funzionali. In entrambi i casi, abbiamo viso che queste variano con continuità nello spazio-tempo, anche in rapporto alla storia attorno a noi. Nello stesso tempo, però, ci possono essere dei salti, che, non così differenti dai cunicoli spazio-temporali,. Proiettano in mondi differenti. Queste trasformazioni, però, sono reversibili? In teopria sì, ma non in pratica.

Infatti, non solo nel caso di wormhosles, ma anche in fisica classica, molte trasformazioni sono spontaneamente irreversibili. Non tutte le trasformazioni, infatti, si possono invertire, proprio per le leggi stesse che la fisica impone.

Una “spia” della reversibilità o meno di una trasformazione è riassunta in una parola: entropia. Una parola che indica un universo di cose. Ma in particolare ne indica una: il grado di ordine o disordine molecolare di un corpo, di una sostanza. Questa grandezza, così importante, ha una caratteristica: in un sistema chiuso cresce sempre. Questo ci dice chiaramente che non si può invertire una trasformazione che prevede la sua variazione. Come dice il fisico Carlo Rovelli, quando c’è calore, indietro non si torna. Se, ad esempio, prendiamo un foglio di carta e lo spostiamo, questo può essere rimesso dove era prima. Se consideriamo un corpo che rotola per terra, possiamo, anche facendo un certo sforzo, rimetterlo dove era. Tuttavia, se, ad esempio, strappiamo un foglio, questo non potrà più tornare come prima.

Un esempio importante, in merito, sono le trasformazioni che avvengono nel nostro corpo: si tratta di trasformazioni in cui evidentemente l’entropia sale: infatti, si passa da un ordine molto forte (giovinezza) ad un disordine crescente (vecchiaia). Questa trasformazione è irreversibile: infatti, non si potrà tornare indietro, verso una nuova giovinezza. Il cammino è a senso unico. In fisica si dice che “la freccia del tempo punta in un’unica direzione”.

In questo senso, quindi, emerge un concetto di normalità come “equilibrio”. Tuttavia,. Anche qui ci sono equilibri stabili e instabili. Ad esempio, se portiamo un sasso sul cocuzzolo di una montagna, questo è in equilibrio instabile: basterà infatti una piccola spinta per farlo rotolare a valle! Invece, se lo poniamo, ad esempio, su un avvallamento, questo non si muoverà nemmeno con una piccola oscillazione. In fondo, la definizione di stabile o instabile è proprio in questi termini: un equilibrio stabile è tale per cui, anche spingendo di poco, non si cambia nulla. Insomma: è più “solido”.

Ora proviamo ad applicare tutto questo alla situazione attuale: infatti, si può applicare benissimo! Come spesso accade, ciò che porta lontano poi riavvicina di colpo, da una prospettiva più allargata.. Dunque, si parla oggi di “ritorno alla normalità”: tuttavia, ci sarà un vero ritorno alla normalità?

Abbiamo visto cosa è normalità: possiamo ora applicare tutto questo a quello che abbiamo vissuto. In effetti, qualcosa tornerà in maniera stazionaria, almeno appare probabile. A meno che non si verifichi un perpetua “stantuffo” da emergenza a non emergenza. Tuttavia, non credo questo avverrà per sempre, o almeno me lo auguro. Anche se non velocemente, si tornerà verso un equilibrio.Ma non sarà quello di prima. Infatti, ci sarà sicuramente una nuova “funzionalità”. Che comunque sarà diversa da quella precedente. Anche di tanto, secondo me. E quanto detto dopo conferma tutto ciò: le cose variano con continuità, finché non interviene un salto a cambiare tutto.

E qui, direi, il salto è stato molto evidente: l’epidemia. Questa si èp inserita al punto giusto, e ha permesso a un processo di instaurazione della dittatura di prendere sempre più forma. Ne avevo parlato ancora mesi fa in un mio articolo: era quasi l’inizio del lockdown, e ancora si minacciavano sanzioni penali, o se ne era appena usciti, a chiunque rivendicasse il suo naturale diritto alla vita. Tutto era perfetto per un tam tam mediatico fatto di paura. Tutto era perfettamente preparato per spaventare.

Un periodo che per molti ha significato un vero allontanamento dalla vita. Basato su una paura, anzi su un terrore indotto dai media più che reale. Ma mai come in una situazione di negazione della vita si instaurano meccanismi del tutto artificiali, dove la realtà è quella mostrata, e non quella tangibile, che in quel momento appare elusa. E quindi la gente si fidava delle immagini che vedeva in televisione. E credeva che quella fosse la realtà: invece, nella maggior parte dei casi, non la era, o meglio era una realtà deformata ad arte per spaventare.

Insomma: quell’evento ha fatto da “cancellatore”. Non a caso l’avevo paragonato a Shiva, la terza persona della Trimurti Induista, il distruttore/trasformatore, che cancella e cambia. Insomma: è stato davvero come attraversare un wormhole a senso unico., infatti, l’entropia del sisterma è cambiata, e cambiata irreversibilmente la sua configurazione. E non credo che sia possibile, in tal senso, tornare indietro.

Per capire meglio tutto questo possiamo anche “scomodare” le neuroscienze. Nel senso che sappiamo bene che a livello mentale non occorre molto per assumere ed interiorizzare nuovi comportamenti e nuove abitudini: spesso basta davvero poco, molto meno di quello che si possa credere.

Alcuni esperti parlano addirittura di tre settimane.

Ricordo che il lockdownjm è durato dall’11 marzo (considero quella data, anche se è iniziato di fatto alcuni giorni prima: tuttavia, almeno qui da me, sino al giorno 10 la gente era in giro), data di entrata in vigore del decreto “Io resto a casa”, sino al 3 maggio alle 24, quindi al 4 maggio. Poi c’è stata quell’inizio della cosiddetta “fase 2” sino al 18 maggio. Di fatto una “fase 1 allargata”, in cui però, almeno, era concesso di uscire di casa, anche se non diuscire dal proprio comune. Di fatto, però, durante quelle due settimane, non erano con sentite le visite agli amici, ma solo ai parenti. Quindi, le relazioni erano di fatto ancora quasi “bloccate”.

Di conseguenza, la normalità di rapporti è cominciata solo il 18. E nemmeno totale, essendo solo dal 3 giugno che le regioni sono state ufficialmente “riaperte”, e che quindi sono stati consentiti gli spostamenti tra regioni. Quindi, facendo i conti, queste nuove abitudini sono durate per diverso tempo: almeno 54 giorni, e di fatto 68, quindi oltre due mesi.

I due aspetti di prima, quello della paura e quello dellla cancellazione, e quello della trasformazione inconscia, sono avvenuti simultaneamente. Operando comunque una trasformazione nella persona, e di riflesso anche nella società e nelle relazioni sociali. Insomma: le persone, anche a causa della paura, hanno preso nuove abitudini. In fondo la paura rimane, come un’impronta, anche quando le sue cause sono svanite. Rimane dentro, e non se ne va così facilmente. Semplicemente, si trasferisce ad altro, vola altrove: ma la sua energia è lì, e potrebbe stagnare, magari non vista, per lungo, lunghissimo tempo.

In un primo momento, l’ombra delle vecchie abitudini era lì, e la faceva da padrone: tuttavia, complice anche l’attrattore della paura, (che è un forte attrattore ricordiamolo!) queste abitudini sono cambiate, e spesso in maniera molto radicale. Quello che mi ha stupito subito, in tal senso, è stato, alla fine del lockdown, non vedere nelle persone la voglia di rivedersi che mi aspettavo di ritrovare. Questa era quasi del tutto assente. E la cosa mi aveva quantomeno meravigliato.

Poi, anche grazie all’aiuto di un’amica, ho capito: in qualche modo, le persone avevano subito una trasformazione: fisica, sicuramente (un periodo di questo tipo cambia anche da quel punto di vista) ma anche psichica (e, mai come in questo caso, l’aspetto psichico e quello fisico vengono a collimare e a fondersi). Questo, sotto il propulsore della paura, aveva creato davvero una “nuova normalità”. Insomma: era stato come attraversare un tunnel spazio temporale, ma a senso unico: si era entrati in un  nuovo universo pe4cettivo, che nulla aveva a che vedere con quello precedente, se non il fatto che gli elementi erano gli stessi (persone, luoghi e così via): tuttavia, erano già fortemente trasformati. In termini cinematografici si direbbe che il tempo era stato trattato in maniera “ciclica”, vale a dire che tutto era ancora lì, ma diverso da prima, trasformato. E, credo proprio, in maniera irreversibile. 

In sostanza: eravamo in un mondo differente, che poi si è stabilizzato, ed è diventato qualcosa di nuovo, in cui siamo emersi, come da un citato cunicolo spazio-temporale. E il cambiamento è stato irreversibile: l’entropia è salita, e il periodo precedente ha fatto come Shiva: ha cancellato per portarci in un nuovo mondo.

La prosecuzione delle misure di conten mento, inutili ma tuttora presenti oggi, sta facendo il resto, impedendo e chiudendo anche quel minimo barlume di possibilità di una trasformazione inversa. E, quindi, questa assurda realtà, fatta di appuntamenti, di nuovi paradigmi sociali, di nuove regole, diverrà una nuova realtà. La gente ha meno voglia di vedersi rispetto a un tempo. E non è tutto! Anche la società è diversa! Per fare qualunque cosa occorre un appuntamento; i buffet degli aperitivi sono stai aboliti….

E questo è solo un piccolo esempio di una nuova realtà in cui ci troviamo. Ma questo è il meno: purtroppo, il peggio è quello che la gente ha interiorizzato, cioè i suoi comportamenti, i suoi modi di essere e di comportarsi, come assolutamente normali. Qualcosa è cambiato in questo periodo: molti non se ne rendono conto, ma è successo per tutti. E non sempre un cambiamento è qualcosa di positivo: i cambiamenti in questo caso, possono essere stati più brutali di quanto ci si aspetti. Cambiamenti che lasceranno purtroppo il segno per il divenire.

Insomma: tutto torna alla normalità: tuttavia, non sarà la normalità di prima. È una “nuova normalità”, un nuovo punto di equilibrio, più o meno stabile. Un punto di equilibrio differente, qualcosa di diverso, che ora è qui. E che,  purtroppo, mi fa davvero dire che nulla sarà più come prima. Purtroppo.

Riferimenti:

Una “nuova normalità” da brivido, anche nel linguaggio:

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