Di Luca Sambucci
In ambito AI è spesso necessario separare la crusca dalla farina. Oggi molte aziende sbandierano soluzioni di intelligenza artificiale che però di intelligente hanno ben poco. Un professore di Princeton, Arvind Narayanan, ha pubblicato una sua presentazione dove prova a smontare molti “miti” e bugie delle aziende che promettono risultati oggi ancora irrealizzabili.
La presentazione è disponibile qui in pdf: How to recognize AI snake oil
Dalla sua analisi emerge che mentre l’AI oggi ha raggiunto ottimi risultati nel percepire le informazioni fornite dai dati (ad es. riconoscere le immagini) e risultati mediocri nell’offrire decisioni autonome (ad es. nelle recommendation engine), lascia ancora molto a desiderare quando gli chiediamo di prevedere conseguenze in ambito sociale. Chi tornerà a delinquere, chi sarà più o meno bravo in un certo ruolo lavorativo, chi rappresenta un rischio terroristico, quale bambino sarà un ragazzo a rischio, eccetera, sono tutti aspetti che l’AI oggi si è dimostrata non in grado di gestire con soddisfazione.
Proprio in merito all’intelligenza artificiale in ambito risorse umane, seguendo le slide ho scoperto uno studio dell’anno scorso che mi era sfuggito: Mitigating Bias in Algorithmic Hiring: Evaluating Claims and Practices. In questo studio alcuni ricercatori di Cornell University vivisezionano e smontano i modelli di 18 start-up che si occupano di vagliare i CV dei candidati.
I risultati confermano le intuizioni del Prof. Narayanan, ovvero che le soluzioni oggi in vendita sono poco performanti e disseminate di pregiudizi. In altre parole, la strada che porta all’HR artificiale è ancora estremamente lunga.
Abbiamo stipulato un accordo con l’autore, Luca Sambucci, per la diffusione dei suoi articoli. L’articolo originale si trova al seguente link: Notizie.ai
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