Un viaggio inedito nella Domus Hortae di Rosanna Melchionda

domus hortae

Di Massimo Casali e Susanna Schivardi Foto di Susanna Schivardi

Vi racconteremo oggi di un’azienda pugliese, la Domus Hortae, che vede i suoi albori, nella coltivazione della vite, nel lontano 1788, presso il Passo di Grassano, contrada adiacente alla Locatione d’Horta, un territorio distinto dai camminamenti sotterranei che conducono fino alla antica residenza di Federico II di Svevia.

Da qui il re governò in un periodo compreso tra il 1194 e il 1250, lavorando poi all’emissione della “Constitutiones Regni Siciliae”, che sarà il fondamento per il Tavoliere alla consacrazione di granaio d’Italia. Orta Nova è il nome successivo, risalente al 1863, dato alla località per distinguerla dalle altre con simile nome, la Nuova Orta, come segno di rinascita, oltre al fatto che Orta è sempre stato il centro nevralgico di questa zona rinomata per la pastorizia e la transumanza e poi luogo di esperimento di colonizzazione agraria ad opera di Ferdinando IV di Borbone, nel 1774.

Ed è proprio su questi regali camminamenti che sorgono i vigneti di cui raccontiamo, le uve e i prodotti dell’azienda Domus Hortae, in quello che un tempo era terreno arido d’estate e ricco di paludi. “Nonostante sia bagnata da due mari la Puglia è una regione caratterizzata dalla siccità e i cambiamenti climatici certo non favoriscono la produzione ma questo, per la qualità dei vini, è un fattore alquanto positivo”, ci spiega Rosanna Melchionda, titolare dell’azienda. Il cambiamento climatico sembra non incidere che favorevolmente sulla qualità dell’uva, “infatti, avere stagioni primaverili ed estive segnate dalla siccità, per quanto possa stressare le piante, rende l’ambiente particolarmente adatto alla coltivazione della vite, il che, unito a un terroir aziendale di medio impasto, calcareo e sub-alcalino e grazie anche all’ottimo drenaggio ed alla presenza delle rocce sedimentarie si avranno dei vini ricchi di mineralità, struttura e alcolicità importante”.

Lavorano al punto vendita ancora i nonni, Emilia e Antonio, e poi alla produzione il giovane figlio Antonio, quest’ultimo futuro enologo e dal quale nasce l’idea di questa azienda, se vogliamo, dai suoi primi passi ancora inconsapevoli, quando era piccolo ma già viveva immerso tra apertura di bottiglie, sentori e assaggi.

L’idea della vinificazione nasce circa 12 anni fa e la prima bottiglia è del 2017. Gli anni precedenti sono stati sfruttati dalla famiglia per fare il vino e affinare la tecnica ma senza imbottigliamento. Dagli albori del vigneto l’uva era stata sempre venduta ad altre aziende, ma vedendone la bontà, Rosanna ha avuto l’idea di imbarcarsi in questa meravigliosa avventura, proprio quando i vigneti sono diventati di sua proprietà.

Lei si occupa anche di storia e il marito di agronomia, e durante la gravidanza, incinta di Antonio, ha iniziato ad avere qualche presentimento del futuro. “In gravidanza non riuscivo a bere perché rimettevo qualsiasi liquido – ci racconta Rosanna – poi ho scoperto che l’unica bevanda che non mi faceva male era proprio il vino. Era estate e soffrivo di disidratazione, contro ogni parere medico mescolavo il vino con ghiaccio e bevevo questa bibita annacquata tutto il giorno. Quando è nato Antonio ho avuto un’illuminazione.

A 3 anni il bambino mi dice che vuole fare lo scienziato del vino. A 14 vuole iscriversi in una scuola nel Salento con indirizzo enologico, ora ha 18 anni e l’anno prossimo dopo il diploma andrà a studiare Enologia”. Nessuno è figlio di nessuno, ama ricordare Rosanna, e in questo motto si coniugano perfettamente il suo amore per il territorio e i suoi studi storici.

Da eventi tra loro apparentemente scollegati nasce quindi questa idea, di fare vino buono e imbottigliarlo.

All’oggi la sensibilità della famiglia, grazie anche all’indirizzo agronomico del marito di Rosanna, verso la salvaguardia del benessere delle piante e dei consumatori si dimostra con l’utilizzo di prodotti ecologici non tossici, per offrire ai consumatori un residuo zero, grazie ai principi rigorosi di un’agricoltura integrata e biologica. Delle 30.000 bottiglie l’anno, il 10% va a finire su tavole di paesi esteri, e le preferenze per adesso vanno ai meno noti, per così dire, Nero di Troia e Minutolo, rispetto al Primitivo che non riesce ad esprimere una tale vivezza di sapori come i primi due, nonostante la sua notorietà.

Come il territorio dove questo prodotto viene a nascere, anche l’uva stessa, il vitigno, sono documenti da cui riemergono antiche storie e miti. Il Nero di Troia ha già nel suo nome una ridondanza che non avrebbe bisogno di presentazioni. Forse dal mito di Diomede?

Eroe greco arrivato da Troia che dopo la guerra portò con sé il vitigno, ma anche altre teorie si affacciano all’esegesi, che il nome del vitigno derivi dalla omonima cittadina di Troia a ovest di Foggia e fondata dai coloni Greci nel 700 a.C., o dalle antiche località, una albanese, la città di Kruja, l’altra dalla regione galizio-catalana e poi portato nella giurisdizione di Troia nel 1745.

Già Omero nel Libro XVIII dell’Iliade parlava dell’uva di Troia, mentre la prima documentazione storica ci riporta all’anno mille, si parla infatti di un “corposo vino di Troia”, bevuto alla corte di Federico II di Svevia. Tra alterne fortune arriva fino ad oggi come vitigno tardivo e rustico, molto resistente a prolungati periodi di siccità. Bacca rossa con grappolo compatto, acino sferoidale e buccia spessa e coriacea, ricco di tannini e antociani, spesso vinificato in rosato per ottenere vini con sentori di fiori freschi e fruttati.

Le varietà proposte dall’azienda sono il Kia Ros, il Kalinero e il 17 88, quest’ultimo in produzione limitata per l’esiguo numero dei grappoli destinati ad una lavorazione complessa, con uve selezionate già in fase post-allegagione, raccolta tardiva a novembre e manuale, con appassimento di grappoli in pianta, e infine macerazione lunga e affinamento di 13 mesi in barrique di rovere francese, per esaltarne complessità e struttura. Parlando di bianco l’azienda propone il Minutolo, vitigno aromatico con profumi spiccati, freschezza e frutta tropicale, già prediletto alla corte Svevo-Angioina, dove Federico II amava unirlo alla cacciagione spalmata di miele e arrostita con erbe aromatiche. Da questo vitigno a breve l’azienda presenterà una chicca, un passito con caratteristiche aromatiche importanti. Storia e gusto che ancora una volta si intersecano come rette destinate ad incontrarsi in un connubio di sapori e bellezza, la natura stessa è bellezza, come dice Rosanna, amante della storia ma anche di arte “qual è la forma suprema di arte – chiosa l’intervista – se non la natura stessa?”.

Sapienza, studio e passione che ancora una volta danno lustro alla superba tradizione vinicola italiana.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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