Di Daniel Abruzzese
A volte, una carriera si gioca più sugli incontri giusti, magari durante una partita di calcetto, che sui testi universitari. Così diceva Poletti, ministro del lavoro di qualche anno fa. E la compagine governativa che sta traghettando l’Italia fuori dall’emergenza del Corona Virus sembra dargli ragione.
“Inoltre, non solo gli uomini sono sottoposti alle sofferenze, alle quali, la natura li espone, ma sono fonte per la maggior parte dei loro stessi mali. Sono loro che si fanno la guerra, non certo la natura li costringe a lottare e a morire nei campi di battaglia. Anche se la natura avesse avuto un ordinamento differente e non avrebbe arrecato alcun tipo di dispiacere o di difficoltà agli uomini, loro comunque non sarebbero stati capaci di essere felici proprio a causa del loro carattere infelice”.
La citazione non è presa da un tema di prima superiore, come la formulazione un po’ infantile potrebbe far pensare, ma da una tesi di laurea specialistica in filosofia su Voltaire e Rousseau. Né l’uso casuale della punteggiatura e la confusione fra congiuntivo e condizionale lasciano la speranza in un pezzo di carta conferito alla svelta per sfoltire la popolazione universitaria: autrice del testo è infatti la ministra che oggi presiede all’istruzione, all’università e alla ricerca.
Lucia Azzolina era assurta all’inizio di quest’anno agli onori della polemica, accusata di aver prodotto una tesina di specializzazione per buona parte copiata.
Dall’opposizione si vociò per qualche giorno, confondendo fra l’altro significativamente tesi di laurea e tesi della scuola di specializzazione, e pretendendo immediate dimissioni. Per un plagio commesso nelle dissertazioni, infatti, alcuni ministri tedeschi (fra cui la ministra per l’istruzione Annette Schavan e quello della difesa Karl-Theodor zu Guttenberg) avevano dovuto rinunciare di recente a titoli accademici e cariche pubbliche.
Per fortuna, l’Italia non è la Germania, e la polemica si esaurì in un paio di tweet.
Forte del piglio arrogante che contraddistingue l’attuale governo, la giovane ministra prosegue a tutt’oggi la sua attività, dibattendo di pareti di plexiglas, mascherine obbligatorie e simili scenari inquietanti. Le decisioni pratiche su come la scuola dei prossimi mesi dovrà funzionare sono ancora una volta demandate a dei tecnici esterni.
Perché il governo italiano ha gestito l’emergenza sanitaria in modo esemplare (anche se i numeri dicono altro), ma è l’unico esecutivo in Europa che senza l’aiuto di “addetti ai lavori” non riesce ad uscire dallo stato di crisi.
E appunto, una dottoressa in filosofia che ritiene che gli uomini siano esposti alle sofferenze, ma anche causa dei loro stessi mali, avrà poco da rispondere ad un piano come quello della commissione Colao, che mira al superamento del mismatch tra l’offerta di competenze prodotte dal sistema formativo e la domanda del tessuto socio-economico.
Non che alla ministra manchino solo le competenze per immaginare qualcosa di concettualmente diverso da questo, ma lei stessa è probabilmente un prodotto delle disastrose riforme universitarie promosse negli ultimi anni in tutta Europa, di cui quelle del comitato tecnico sono il compimento. Riforme che, trasformando la formazione scolastica superiore in un vestibolo del mercato del lavoro, hanno svuotato i contenuti degli insegnamenti, lasciandone intatto solo uno scheletro di crediti formativi e di competenze.
Se negli studi tecnici e scientifici la riduzione dei tempi di studio si è rivelata utile per un collegamento diretto col mondo del lavoro, nell’ambito delle scienze umane il cosiddetto Processo Bologna ha avuto conseguenze nefaste. Lo sa bene chi si è trovato a contatto con il mondo accademico durante il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento, ovvero da laurea magistrale a 3+2, o a bachelor e master, denominazione quest’ultima che ha avuto molto successo nel resto d’Europa (significativo fra l’altro che il bachelor fosse originariamente, nel sistema americano, un percorso di studi propedeutico per colmare le lacune prima di iniziare gli studi nelle università europee).
Al di là della quantità dei materiali di studio, ridotta almeno della metà, il sentimento che si faceva largo nell’osservare la nuova generazione di studenti era quella di un grande vuoto lasciato dallo spirito critico; che a ben vedere somiglia molto alla mancanza di una visione completa della materia che lamentano gli studiosi di materie scientifiche.
Certo, lo spirito critico non è spendibile in un piano votato alla Education-to-employment – come la si trova definita nel piano Colao. Tuttavia, in un mondo ideale, potrebbe rimanere la speranza che un qualsiasi laureato in filosofia abbia ben presente la differenza hegeliana tra Kultur, l’insieme delle nozioni apprese, e la Bildung, la capacità di utilizzare la propria cultura anche per comprendere quella dell’altro. Nel mondo reale, si può sperare al massimo in una ministra dell’istruzione che vede una contrapposizione fra felice e infelice, incerta anche sulla distinzione fra uno stato d’animo ed una qualità del carattere.
Nulla di più appropriato in un mondo reale che è costituito solo da contrapposizioni: a favore o contro, scientista o complottista, privilegiato o oppresso, like o dislike (ce lo insegnano i tecnici, dove non arrivano più le idee e le citazioni, è d’aiuto l’inglese), bianco o nero, senza nessuna sfumatura intermedia.
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