Di Sergio Ragaini
Quando una persona pensa ai luoghi della cultura, spesso pensa alle accademie, alle grandi scuole. Questi, tuttavia, molto spesso sono luoghi, stereotipati, dove non c’è circolazione di idee. Sovente, se non quasi sempre, sono i luoghi dove c’è circolazione e libertà quelli dove la cultura prende davvero forma e sostanza. In testa ci sono bar e osterie, in cui i principali movimenti culturali sono nati: ma anche parchi, cortili e luoghi di circolazione in generale sono perfetti per lo scopo. E poi, co’è davvero cultura? Credo che sia importante cercare di comprenderlo assieme!
L’ho sempre sostenuto: i luoghi di maggiore circolazione di idee e di progetti non sono le Accademie. Infatti, in queste, come spesso affermo, girano solo “busti impagliati”, lì per decenni e decenni, sempre uguali. Tra le loro polverose scalinate, la scintilla della novità difficilmente potrà davvero prendere il via. Allora, se le accademie non sono i luoghi dove il nuovo si fa strada, quali sono questi luoghi, vi chiederete? La risposta è semplice! Sono i caffè, le osterie, in generale tutti i luoghi dove c’è circolazione di idee. Quei luoghi, insomma, dove la cultura, circola, prende forma.
Non a caso, i grandi Movimenti Culturali non sono nati nelle accademie, ma nei caffè.
La cosa non mi stupisce: i secondi sono luoghi dinamici, pieni di vita e di emozioni. Sono luoghi dove, ai busti impagliati, che non cambiano da e per decenni, si sostituiscono spesso le foto dei clienti, gioiose, e dove il paesaggio umano cambia in continuazione.
E dove, soprattutto, non occorrono concorsi e bandi per poter professare la propria cultura, non ci sono titoli ed onorificenze: semplicemente, chi ha qualcosa da dire lo dice liberamente, lo proclama talvolta., magari tra un bicchiere di vino e un po’ di salame di buona qualità che, per i vegetariani o i vegani, può essere egregiamente sostituito da filetti di melanzane sottolio, o altra verdura. Dico così perché penso ad un amico siciliano, qui a Magenta, che ha un locale davvero speciale, un vero “punto di aggregazione”, perfetto come meravigliosa nota luminosa nel grigiore circostante, di persone che girano come ebeti nelle loro museruole, che tolgono loro il sorriso e, forse, anche la spinta vitale.
Qui, invece, di spinta vitale ce n’è da vendere, e la musica è di casa. Quella al pianoforte, che suono anche io, e quella di altri strumenti, quali le chitarre. Il titolare è un ottimo cantante, dalla calda voce baritonale, che, quando può, si “lascia andare” a vocalizzi che sanno incantare. Ma i frequentatori di questo posto, sempre pieno di vita, vogliono affermare che è bello vivere. Per questo, entrandoci, in questo periodo, “La Posteria” appare davvero un’isola con il nulla attorno. Ed è bello così.
Questo mi serve per parlare di quello di cui voglio parlare:; la cultura fuori dai suoi luoghi principe, le Accademie, appunto, e che invece va verso la gente, che va verso il popolo.
Come appena detto, la cultura non è nozione o informazione: è patrimonio comune di un Popolo, è spinta vitale popolare che vola verso nuovi lidi di bellezza. In fondo, nei luoghi citati, si danno spesso solo nozioni, ma non si fa cultura.
C’era anche chi sosteneva che “la cultura è quella cosa che rimane nella memoria quando si è dimenticato tutto”. Credo che potrebbe avere ragione: la cultura non è conoscenza, ma afflato vitale, spinta, costruzione di parametri liberi. E, spesso, anche libera associazione, libera aggregazione di idee. Quella libera aggregazione che, troppo spesso, nelle Accademie è del tutto negata.
Spesso la conoscenza precostituita, infatti, è solo una gabbia: una gabbia che lega, che avviluppa, che impedisce la vera espressione libera e democratica delle idee. La vera conoscenza è altro, come ben si sa. Non a caso, ad esempio, le più grandi intuizioni mediche sono spesso giunte da non medici, invece che da medici. Il tutto perché un medico, che studia all’università, è spesso ingabbiato dalla sua stessa conoscenza. La conoscenza, insomma, precostituita, che lega, che impedisce di vedere altro.
Chi non è passato da quel tipo di conoscenza, sovente, può volare più alto, non è mai stato vittima di sovrastrutture che lo legano a schemi, a protocolli. Protocolli che, quasi sempre, sono nemici della conoscenza, e bloccano, ostacolano. Chi ne è libero può librarsi nel cielo della vera conoscenza, senza quelle barriere che legano e tirano verso il basso.
Insomma: chi è libero da conoscenza precostituita, spesso è capace di andare oltre, di superare quelle gabbie e quelle barriere che chi non è in queste condizioni non conosce.
Quando lavoravo in campo informatico, ormai molti anni fa, mi era capitato di avere a che fare con persone laureate e non. Ebbene: chi non era laureato, sovente, era molto più capace, esperto, preparato. Infatti, durante il tempo in cui il laureato erra intento a studiare, il diplomato studiava quello che gli serviva in quel settore specifico. Quindi, a lato pratico era ben più bravo e capace di chi aveva una sequenza infinita di nozioni, che però non servivano a quello scopo.
Inoltre, spesso, i diplomati erano persone molto più aperte anche nell’umiltà di apprendere e imparare: i laureati, sovente, avevano quella “puzza sotto il naso” che li portava a trincerarsi dietro al loro titolo e che li rendeva incapaci di aprirsi ad altro che non fossero i loro schemi.
Insomma:; il “pezzo di carta” non è sicuramente sinonimo di cultura e conoscenza.
Ho conosciuto persone con la licenza media, o addirittura solo elementare, che hanno enormi conoscenze, ben superiori, spesso, di quelle di coloro i quali hanno titoli a non finire.
E poi, se vogliamo estendere il discorso allo spirituale, la conoscenza è lì, per tutti, e tutti possiamo attingervi. Il caso di Srinivasa Ramanujan, di cui parla il bellissimo film “L’uomo che vide l’infinito”, persona che risolveva problemi incredibili senza alcuna conoscenza matematica (infatti il concetto di dimostrazione per lui non esisteva!), e che poteva davvero volare sopra le cose, in virtù di un’intuizione che gli veniva da “altro”, è, credo, piuttosto emblematico di una conoscenza che non deriva da studio, ma dall’attingere ad un ipotetico “serbatoio universale di conoscenza” a cui tutti siamo collegati, e dove, pare, basta trovare la chiave giusta per accedervi.
Se consideriamo le cose in quest’ottica, la conoscenza a priori diviene inutile, e diviene, invece, più importante sintonizzarsi con una conoscenza interiore, che tutti abbiamo dentro di noi, e che basta solo ritrovare.
Qui il discorso ci porterebbe lontanissimo, sul cercare di comprendere se la conoscenza sia “scoperta” o “riscoperta”. In fondo, Henry Gee, Senior Director di “Nature”, la principale rivista scientifica mondiale, affermava senza dubbi che “dobbiamo guardare dove è il buio, non dove è la luce”. Questo è credo fondamentale: guardare verso l’oscurità, per illuminarla. Guardarla senza paura. Questo è fare “davvero” cultura, al di là di ogni idea preconcetta.
E questo lavoro è difficile, e spesso impossibile da svolgere, da coloro i quali hanno già in loro una verità precostituita, una verità che li porta a scegliere e a decidere in base a schemi precostituiti. Chi spesso ha titoli, si barrica dietro la luminosità fatua e vuota di questi, e non va con gioia verso quell’oscurità che rivelerà, una volta illuminata, grandi meraviglie.
Per questo, spesso, chi non ha questa conoscenza a priori, ha una vera “marcia in più” per poter conoscere. Per questo, quindi, luoghi come i bar e le osterie sono luoghi di vera conoscenza: non ci sono schemi, non ci sono barriere, e quindi si va a ruota libera. E, talvolta, anche il vino può aiutare, sempre che non si esageri! Il mio sogno, e ne parlavo con amici di Roma, sarebbe quello di fare delle conferenze di meccanica quantistica in una tipica osteria romana, un luogo quasi sospeso nel tempo. Esiste dal 1921, ed è sulla Via Trionfale. “Da Caporale” il suo nome, perché è stata fondata nel 1921 da un “vero” caporale, bisnonno del gestore attuale. Un luogo dove il tempo sembra essersi fermato, e dove, chiudendo gli occhi, si percepiscono, si “annusano” ancora le atmosfere di quando questi luoghi erano del tutto fuori città, e dove, tra “vino dei castelli”, fave e pecorino, le giornate scorrevano. Perché non farvi scorrere anche i paradossi della Meccanica Quantistica, magari con improbabili (ma possibili) “pizze quantistiche” che si mangiano fuori mentre il cameriere te le serve al tavolo? In fondo, per la fisica moderna, una cosa si localizza solo quando la si osserva! Pare un assurdo, da un punto di vista logico, ma per la meccanica quantistica è tutto possibile!
Almeno per le particelle elementari! Anche se quella pizza nessuno la mangerà mai: tuttavia, è bello potervi pensare… naturalmente mangiando la loro ottima pizza al tavolo! O, magari, sostituendola con una “tonnarelli cacio e pepe”, specialità tipica romana, che va benissimo allo scopo! In fondo, la meccanica quantistica non ha confini, e di conseguenza le specialità romane vanno perfettamente! Enrico Fermi, poi, e i “Ragazzi di Via Panni Sperna” erano proprio di “stanza” a Roma!
Anche luoghi come i cortili, le piazze, i parchi, sono luoghi di cultura., sono luoghi “aperti”, dove si circola, dove ci si muove, dove la gente va e viene.
Paradossalmente (almeno per alcuni), infatti, è proprio questo “andirivieni” che genera cultura: la staticità, i “pass”, i permessi e così via non la generano, secondo me. La cultura è un moto libero, consapevole, e quindi è proprio nella libertà di questo andirivieni, di questo poter stare sino a quando si vuole, che la cultura prende davvero forma. Le barriere, di qualsiasi tipo esse siano, la fermano, impediscono il suo essere naturalmente bellissima e libera.
Gli sbarramenti non creano mai quel flusso che fa della cultura qualcosa di speciale. La meccanica quantistica tra l’abbacchio a scottadito, o tra le pappardelle al sugo d’anatra, o tra i crostini alla N’duja e del buon vino, va benissimo. E forse meglio che sui banchi di un’università.
E poi cosa è cultura? Dal latino, questa parola vuole dire “coloere”, coltivare. Infatti, ha la stessa etimologia latina di “coltura”, coltivazione. Quindi, cultura è coltivare qualcosa. Senza limitazione.
Qualsiasi espressione, quindi, derivi da “coltivazione” di qualcosa, sia esso interesse o altro, è cultura. Tra queste “coltivazioni”, spiccano gli usi e i costumi locali, di qualsiasi tipo essi siano.
Un piatto tipico di una regione, di una zona, come la citata “pasta cacio e pepe” è cultura. E chi la fa al meglio, trattandosi di un piatto semplice, ma che richiede ottima “manualità” per essere perfetta, è un custode di cultura. Le danze tipiche di un luogo, quali la bellissima “pizzica salentina”, sono inequivocabilmente cultura: chi potrebbe dire il contrario? Quindi, tutte le “accademie per la preservazione di prodotti tipici o di usi tipici” sono cultura, perché “coltivano” qualcosa, e la preservano nel tempo.
E non è per caso cultura il fare ricami, manufatti, e anche aggiustare ad arte un’auto, magari percependo da un rumore, come il mio meccanico, dove è il problema, senza bisogno di complesse centraline e simili? Certo che lo è! E nessuno potrebbe mai affermare il contrario!
Il mio meccanico, simpaticissima persona in un Paese della Valsassina, sopra Lecco, situato proprio di fronte alla sede della nota acqua minerale “Norda”, che nasce “là dove volano le aquile”, come diceva una nota pubblicità. Lui, però, sa far “volare” i motori come pochi. Non ha bisogno di alcuna apparecchiatura, come dicevo: ascolta e capisce subito. Pare davvero incredibile, ma ha avuto una buona scuola, nel mio precedente meccanico, di cui era stato per anni aiutante! Quindi, cultura è il patrimonio comune di un popolo, quello che un popolo fa e costruisce di bello e luminoso. È la sua produzione, la sua storia, la sua vita. C’era anche chi diceva che, se si vuole fare cultura, occorre andare per le strade, dove la gente vive.
E qui ci si ricollega alla cultura nei parchi, nelle osterie, nei luoghi “aperti”, la vera cultura la si vive lì, perché la vita pulsa. Nelle accademie, troppo spesso, questo non accade, e si respira una vita statica, senza vita, ma solo stereotipata. E la cultura è libertà. Quella libertà che è bello davvero respirare. Ogni volta che la si cerca e la si brama davvero. Con il sorriso del cuore sempre presente.
Riferimenti:
Gli indirizzi dei luoghi citati:
La Posteria, Corso Garibaldi 12, 20013 Magenta (MI). Tel: 02.92279876
Ristorante Pizzeria Da Caporale, Via Trionfale 11387, 00135 Roma. Tel: 06.30810302
Autoriparazioni Panzero Fiorenzo, Viale Carso 29, 23819 Primaluna (LC) , Tel: 0341.980573
DONA ORA E GRAZIE PER IL TUO SOSTEGNO: ANCHE 1 EURO PUÒ FARE LA DIFFERENZA PER UN GIORNALISMO INDIPENDENTE E DEONTOLOGICAMENTE SANO
Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
Lascia un commento